La ricerca spirituale laica inizia e finisce nel Sé

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Un aspirante maturo può anche non aver bisogno di incontrare un maestro in una forma fisica, ma può trarre insegnamento e guida dalle situazioni vissute e da ispirazioni interiori. Tali cercatori sono talmente rari da poter affermare che la "realizzazione finale" non è possibile senza la Grazia di un vero Maestro realizzato. Pertanto occorre perfezionarsi nella propria ricerca con sincerità, onestà e perseveranza finché non si possa ricevere la Grazia di un tale Maestro. Dopodiché la ricerca prosegue spontaneamente secondo le proprie predisposizioni e destino. Per quanto riguarda la frequentazione di altri devoti può essere utile per mantenere accesa la fiamma della "ricerca", sapendo che il lavoro è sempre svolto all'interno dalla persona direttamente interessata.
Va tenuto comunque in considerazione che la ricerca spirituale laica non può essere un “atteggiamento” od il risultato di un conformarsi alle norme scritte da qualcuno, spiritualità laica è semplicemente essere consapevolmente quello che si è, senza vergogna e senza modelli di sorta. Perciò il Guru, ovvero la capacità di apprendere ed insegnare attraverso la vita quotidiana, in termini spirituali laici è la capacità intrinseca di riconoscere quella “verità” in tutto ciò che noi manifestiamo o che a noi si manifesta.
Il Guru non è una persona, quindi, o perlomeno non soltanto una persona visto che comunque può manifestarsi in ogni forma, bensì l’intelligenza illuminate che ci libera dalle sovrastrutture mentali e dalle finzioni religiose o morali.
A questo proposito vorrei raccontare 3 storielle esemplificative, la prima è una mia personale esperienza, la seconda appartiene alla tradizione ebraica e la terza è riportata negli annali di un monastero zen.
Nell'estate del  1973 mi ritrovai per la prima volta in vita mia a dovermi confrontare con me stesso, aldilà del giudizio altrui ed essendo pulitamente in sintonia con la mia natura. Avvenne allorché incontrai il mio Guru Muktananda a Ganeshpuri. 
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Con il contatto diretto con la sua limpidezza spontaneamente si risvegliò dentro di me la discriminazione e fui perciò obbligato, tramite una spinta interiore alla chiara visione, a rivedere tutti i parametri di spiritualità e religione che sino ad allora erano stati accumulati nella mia mente. Un giorno sentii che una prova grande mi attendeva, riguardava la comprensione della verità interiore. Così osservandomi mi ritrovai a camminare lungo la strada asfaltata che univa l’ashram di Muktananda al tempio/tomba di Nityananda, il Guru del mio stesso maestro. Durante il percorso sentivo di dover tenere una via mediana, non considerando gli estremi ma il mezzo della vita. Con questi pensieri giunsi al tempio, molti di voi sapranno che in India si entra nei luoghi sacri senza scarpe, ed infatti presso ogni tempio c’è un custode che riceve le calzature dei viandanti e le custodisce per la durata della visita, ma dentro di me pensai “che differenza c’è fra il dentro ed il fuori del tempio? Anche le mie scarpe sono sacre visto che mi hanno portato sin qui”.
E seguendo lo stimolo interiore invece di depositare le mie ciabatte all’esterno le presi in mano e mi avvicinai devotamente all’altare di Nityananda, dove il prete di servizio riceveva le offerte rituali, ed a lui offrii le mie scarpe vecchie. Ovviamente il prete restò allibito ma forse comprese che qualcosa stava accadendo in me ed infine accettò che io depositassi lì nel sancta sanctorum le mie sporche e sgangherate espadrillas che mi avevano accompagnato lungo il viaggio. Dopo essermi inchinato e soffermato per qualche tempo in meditazione ripresi la via del ritorno, a piedi nudi…. Ed ancora prove solenni mi aspettavano… chi conosce il caldo dell’India saprà che l’asfalto in estate diventa semiliquido dal calore, i miei piedi erano bruciacchiati ma la voce interiore mi diceva che dovevo restare nella via di mezzo, perciò non potevo spostarmi ai bordi della strada ma camminare al centro.
Il momento difficile fu quando sopraggiunse una corriera carica di pellegrini che vedendomi in mezzo alla strada (appena sufficiente a contenere la corriera stessa per quanto era stretta) prese a strombazzare rumorosamente per avvertirmi e farmi spostare… Macché, la voce discriminante che mi stava mettendo alla prova era più forte di ogni ragionamento, restai caparbiamente in mezzo alla strada… il conducente si fermò a pochi metri da me e mi invitò in tutti i modi corroborato da alcuni passeggeri affinché mi togliessi di mezzo, ma non mi spostai di un centimetro restando in assoluto silenzio… Alla fine il conducente risalì sull’autobus e con grande fatica riuscì allargandosi lateralmente a scansarmi e procedere nel percorso.
Allora anch’io mi mossi e prosegui sempre al centro della strada con l’asfalto sempre più bollente. Ecco che di lì a poco un’altra corriera sopraggiunse a gran velocità, stavolta capii che l’autista non aveva nessuna intenzione di fermarsi, infatti l’autobus giunse quasi a toccarmi e si arrestò di botto con un sussulto dell’ultimo momento… L’autista ed alcuni passeggeri uscirono infuriati e presero ad insultarmi con foga, ma siccome non mi muovevo e guardavo mesto per terra con i piedi in fiamme, alla fine incerimoniosamente mi spinsero fuori dalla carreggiata sino alla mota che stava sui bordi….
Oh che piacere quella terra… non mi sentivo per nulla offeso… finalmente la mia via di mezzo aveva ritrovato una piacevolezza, stavo con i piedi per terra e non sull’asfalto infuocato….. Mentre i pellegrini infuriati mi abbandonavano al mio destino di folle dello spirito, mi ritrovai tutto contento a capire che la via di mezzo significa accettare sia la gloria che l’infamia, sia il successo che l’insuccesso, sia il riconoscimento che l’offesa. Pian piano con la mente serena me ne tornai all’ashram del Guru, stranamente sollevato e felice, i miei piedi rinfrescati dal fango e la mia mente rischiarata. Ad attendermi un compagno ashramita che per la prima volta da quando stavo lì mi sorrise fraternamente e mi offrì un infuso caldo di erbe, com’era buono!
Ed ora lo spirito della legge, secondo Baal Shem Tov
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Un giorno un ebreo che stava viaggiando di venerdì, ebbe un incidente al suo carro, le ruote si staccarono, dovette di fretta riparare il danno ma malgrado tutti gli sforzi non riuscì ad arrivare in tempo alla funzione del sabato. Il suo rabbino Mickal gli inflisse una dura punizione, obbligandolo ad una lunga e severa penitenza. L’uomo non sapeva che fare, in aggiunta al suo lavoro per mantenere la famiglia ora doveva sobbarcarsi questa imposizione del rabbino ed era disperato, allorché sentì che lì dappresso stava viaggiando il famoso santo Baal Shem Tov e si recò immediatamente da lui invocando la sua misericordia per il peccato commesso.
Baal Sem fu molto dolce e gli disse “Porta un oncia di candele alla casa di preghiera” e questa fu la sola penitenza che gli inflisse. L’uomo temeva che il santo non avesse compreso la portata della sua mancanza e gliela ripeté ma Baal Sem confermò quanto detto aggiungendo: “Per favore riferisci al rabbino Mickal se gradisce di venire a trovarmi a Chvostov dove officerò il prossimo Sabbath”. E così fu fatto.
La settimana successiva il rabbino Mickal stava viaggiando verso Chvostov per raggiungere il maestro, ma il suo carro si ruppe irrimediabilmente all’asse, egli continuò la strada a piedi e malgrado andasse persino di corsa non riuscì a giungere in tempo alla cerimonia. Il suo cuore era a pezzi. Quando arrivò davanti al santo la cerimonia era iniziata e Baal Shem aveva in mano il calice dell’offerta rituale, il maestro gli sorrise e gli disse: “Benvenuto rabbino Mickal, mio puro amico, sino ad oggi non avevi potuto gustare il dolore del peccato, il tuo cuore non aveva mai tremato dalla disperazione.. non è cosi? Forse da ora in poi capirai meglio il significato e la misura delle penitenze imposte…!”
La storia amorosa della monaca Ryonen
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Un tempo in Giappone viveva una bellissima monaca di nome Ryonen, famosa per la profondità del suo intelletto e per la sua discriminante attenzione. Un monaco che stavo nello stesso monastero si innamorò perdutamente di lei ed una notte si introdusse furtivamente nella sua stanza. Ryonen non si turbò affatto ed accettò volentieri di giacere con lui. Ma l’indomani quando l’innamorato si ripresentò ella disse che in quel momento non era possibile… Il giorno seguente si svolgeva nel tempio una grande cerimonia per commemorare l’illuminazione del Buddha alla presenza di una gran folla e di parecchi monaci venuti da lontano. Ryonen entrò senza indugi nella sala colma e con totale naturalezza si pose di fronte al monaco che diceva di amarla, si denudò completamente e gli disse: “Eccomi, sono pronta, se vuoi amarmi puoi farlo qui, ora…”.
Il monaco se ne fuggì per non far più ritorno mentre Ryonen con quel gesto aveva reciso le radici di ogni illusione.
La storia di Ryonen e la sua totale adamantina aderenza alla verità continua, come pure continua la morale/non-morale di Baal Shem e pure la mia avventura spirituale prosegue nella sua crudezza...
La spiritualità laica è un fiore che mai appassisce!

Paolo D’Arpini

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