Induismo - La scuola Dvaita Vedanta e la setta Hare Krishna


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Il Dvaita Vedanta  (Vedanta dualistico) appartiene al sentiero della Bhakti (devozione) della tradizione induista e dal punto di vista delle credenze è quello che ha una maggiore affinità con le religioni di origine semitica:  ebraismo, cristianesimo e islam. Cioè i fedeli credono in un Dio personale denominato Vishnu e di cui Krishna è la  principale incarnazione e messia. Nell'ebraismo questa funzione è rivestita in parte da Mosè, nel cristianesimo da Gesù e nell'islamismo dal profeta Maometto. Nella mitologia dualistica vishnuita, come nelle religioni semite, le anime restano sempre separate dal loro creatore ed il massimo bene possibile è l'ascesa ad un "paradiso" in cui godere permanentemente  della presenza divina. 

Chiaro che  tale  paradiso, quasi un luogo spazio-temporale,  occorre guadagnarselo, con opere di fede, di speranza e di carità, ed il visto  (nel caso del vishnuismo) viene rilasciato da Krishna, da qui la necessità di essere a lui devoti per ingraziarsene i favori. Non tutta la filosofia vishnuita è totalmente dualistica (esiste anche il Vishishtadvaita, ovvero il non dualismo differenziato) ma quella più specificatamente correlata alla devozione verso Krishna lo è in modo particolare.  Il dualismo nasce proprio dalla formulazione di un Dio personale, più semplice da interpretare da parte delle masse di persone che non conoscevano le alte speculazioni filosofiche upanishadiche, ma sentivano l'esigenza di un dialogo con il mondo divino. Ecco perché il dualismo si contrappone alla filosofia Advaita Vedanta.

La teologia della scuola dualista è basata sui pancabheda o cinque differenziazioni. Secondo questa dottrina il divino è differente dai jiva e dalla prakriti (natura). I jiva sono differenti l'uno dall'altro e dalla prakriti, e i vari evoluti da essa sono anche differenti l'uno dall'altro. La metafisica dvaita formula due categorie, alla prima, realtà indipendente, appartiene solo Dio, alla seconda, realtà dipendente, appartiene tutto il resto.  Vishnu è sì interpretato come un Dio personale, ma nell'accezione più alta non ha una forma fisica, un'immagine antropomorfica, ma si manifesta attraverso i suoi avatar, fra cui Rama e Krishna sono i suoi principali impersonificatori.

Alla scuola dualistica vishnuita, più precisamente alla scuola  gauḍīya (che fa riferimento al santo bengalese Caitanya, una presunta reincarnazione di Krishna) apparteneva, in tempi recenti,  un monaco chiamato Swami Bhaktivedanta (al secolo Abhay Charan De), nato a Calcutta il 1 settembre 1896 e deceduto a Vṛndāvana il 14 novembre 1977, egli fu il maggior propagatore della dottrina Dvaita Vedanta in Occidente ed il fondatore del movimento Hare Krishna (formalmente "Associazione internazionale per la coscienza di Krishna"). Nel 1965, all'età di 69 anni, grazie ad un passaggio gratuito su una nave mercantile, riesce ad arrivare negli Stati Uniti, fermamente convinto di dover proseguire oltre oceano la sua missione di propagatore religioso, e qui con estreme difficoltà riesce comunque pian piano ad attirare attorno a sé un certo numero di anime, forse attratte dalla speranza di una redenzione, forse affascinate da quel mondo variopinto pieno di profumi e scosso da singhiozzi di emozione e da canti estatici. Sicuramente  quelle conversioni, avvenute principalmente tra le fila dei disperati che vivevano ai margini della società americana (un po' come accadde ai primordi del cristianesimo) alimentò una speranza ed allontanò tanti giovani dalle droghe e dalle perversioni. Bhaktivedanta ottenne tutto ciò principalmente attraverso i canti devozionali ed in particolare per mezzo del mantra:  "Hare Krishna Hare Krishna Krishna Krishna Hare Hare - Hare Rama Hare Rama Rama Rama Hare Hare". In verità questo mantra, nella originale  edizione induista, inizia enunciando  prima il nome di Rama, un avatar di Vishnu  antecedente a Krishna, ma Bhaktivedanta cambiò la posizione dei nomi, sia per una sua particolare predilezione nei confronti di Krishna sia perché i vishnuiti ortodossi gli proibirono, prima della sua partenza verso l'America, di utilizzare quell'antico mantra (definito Maha Mantra - Grande Mantra) che apparteneva specificatamente al Sanatana Dharma (Legge primordiale) e che secondo loro non poteva essere impartito ai "mleccha"  (ovvero a chi non appartiene alla tradizione induista). 

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In India infatti in tutti i templi e negli ashram tradizionali si continua a cantare  "Hare Rama Hare Rama Rama Rama Hare Hare - Hare Krishna Hare Krishna Krishna Krishna Hare Hare".

In un certo senso si può dire che la setta fondata da Bhaktivedanta  è una sorta di "eresia", propagata in occidente, un po' come lo fu il cristianesimo di San Paolo rispetto all'ebraismo originale. Ed ora -di ritorno- come spesso accade, anche in India ha preso piede questa "eresia", infatti a 
Vṛndāvana, la città  sacra a Krishna, esiste un tempio dell'IKSON  (la setta fondata da Bhaktivedanta) in cui si recita esclusivamente il mantra invertito, 24 ore su 24, tutti i giorni dell'anno.

Ma lascio da parte queste considerazioni per raccontare ai lettori l'esperienza personale che ebbi incontrando Swami Bhaktivedanta. 

Dovete sapere che nel 1974, da poco reduce  dal mio primo viaggio in India,  ebbi diversi incontri con discepoli e maestri di diverse scuole. Avvenne in quel di Roma. In quel tempo glorioso infatti ero  tornato a vivere nella città in cui ero nato,   la madrepatria mi aveva richiamato al dovere della presenza, ed io zitto zitto me ne stavo in trincea, da solo,  nella vecchia casa di Via Emanuele Filiberto 29. 

Nella mia ricerca sincretica non trascuravo i numerosi centri di yoga che, come funghi autunnali, erano sorti un po’ ovunque. Il più caratteristico, indianeggiante al 100%, era sicuramente il Tempio degli Hare Krishna. Ricordo i canti con accompagnamento musicale, l’atmosfera festosa, le vesti sgargianti delle ragazze, i musi lunghi dei ragazzi sempre attenti a non cadere in tentazione. Visitavo spesso quel  gruppo seguendolo nei vari spostamenti che subì in varie zone di Roma. Purtroppo non potevo fermarmi molto a lungo con loro, solo visite mordi e fuggi,  poiché altrimenti venivo preso d’assalto dai “missionari” sempre pronti a convertire nuovi adepti ed io –come sapete- non sono convertibile a nessuna religione. Però gli Hare Krishna mi stavano simpatici e li trovavo persino divertenti, così quando venni a sapere che il loro maestro Swami Baktivedanta  Prabhupada  sarebbe venuto in città non rifiutai l’invito ad incontrarlo. 




La riunione coloratissima avvenne  all’Hotel de La Ville (vicino al Giardino Zoologico) e praticamente c’era tutto il popolo esotico di Roma. Nella grande hall l’aspettativa era immensa, le persone eccitatissime come alla venuta di una grande star,  finalmente sul palco apparve il maestro…. In quel momento sentii l’impatto fisico di migliaia di cuori concentrati su di lui, un grande “upsurge” devozionale,  tant’è che sentii anch’io l’impulso di unire le mani in gesto di saluto inchinando il capo.  Ero consapevole però che tutta quella concentrazione amorosa dipendeva dalla devozione provata da tutti i suoi seguaci innamorati. Swami Baktivedanta  in se stesso pareva alquanto legnoso e distaccato, un po’ come  tutti gli altri maschi Hare Krishna, timorosi di Dio (e della donna tentatrice). 

Beh, il prasad cucinato dalle loro donne era comunque celestiale e ne mangiai a piene mani… Stranamente però da quella volta non sentii più l’impulso di visitare il Tempio, anche se di tanto in tanto incontravo i "devoti" e addirittura organizzai degli eventi assieme a loro pure quando andai ad abitare a Calcata, essendoci un loro ashram proprio lì nelle vicinanze. In fondo continuavano a piacermi e poi mi ricordavano quell'India magica  che ormai non c'è più... 

Paolo D'Arpini

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