Gandhi non si è fermato a Mumbai

Bombay o Mumbai? – Che stranezza, è proprio vero che ognuno cerca quel che non ha avuto. In occidente, dove il consumismo ha stancato ed il materialismo religioso ha fiaccato gli animi, molte persone si rivolgono a diete salutiste ed etiche, come il vegetarismo, e verso forme di spiritualità laica ed approcci nonviolenti alla vita. Al contrario dove c’è sempre stata una cultura alquanto rispettosa della vita, ad esempio in India, ove la nonviolenza è una antica regola di condotta, e dove l’alimentazione vegetariana è sinonimo di coscienza elevata e buona salute, oggi ci si rivolge verso le mode consumiste, verso la corsa al successo mondano, verso la violenza… 
Gli indiani vogliono mangiare più carne, anche quella di vacca (che è considerata sacra) e magari pure quella di maiale (che è considerata impura). Oltre naturalmente a cercare di munirsi di telefonini, di radioline e televisori, e se possibile di una moto o di una macchina. Magari continuando a vivere in slum od in periferie degradate, ovvero nelle condizioni urbane più disastrose.
Come a Bombay (oggi Mumbai) ove si osservano kilometri e kilometri di baracche munite di antenna televisiva, botteghe di “delicattessen” con carni appese e salsicciotti. Dove fino a trent’anni fa circolavano mucche libere a raccattare torsoli e bucce e si scorgevano le scimmie, quelle belle scimmie gialle dagli occhi furbi, sempre attente a cogliere il momento adatto per rubacchiare qualche banana dalle bancarelle, ora non vi sono più spazi adatti alla vita, tutte le strade sono un ingorgo di mezzi meccanici strombazzanti. Anzi mi sa che oggi girano più biciclette in una qualsiasi città italiana che a Mumbai.
Mi scrive Marinella Correggia: “Ciao! Brutte notizie sul fronte vegetariano: i 300 milioni di indiani della classe media vogliono la carne! Pazzesco. Ed è così ovunque, mentre qui se ne mangia di meno, nel terzo mondo i consumi aumentano. Io ho il polso della situazione perché ricevo un prezioso bollettino dall’India, ma è disperante Ci vorrebbe un video universale che fa un appello a NON diventare carnivori (in genere si fanno appelli a diventare vegetariani)…” – Mia rispostina: “Mi dici queste cose proprio oggi che è l’anniversario della uccisione di Gandhi… che così muore due volte, sia per la partizione fra India e Pakistan che per la fame di carne degli indiani moderni… Che vergogna!”
Paolo D’Arpini


Dal pacifico politeismo naturale al violento dio patriarcale giudaico-cristiano-islamista



All’epoca del Politeismo c’erano meno guerre e più ordine nel mondo, per il fatto che più Dee e Dei, ognuno controllava il proprio settore intervenendo prontamente al sorgere di eventuali dispute terrene, ma col passare del tempo e lo sviluppo dell’innovazione, ci siamo imbattuti con il falso progresso dove grandi filosofi scoprirono che Dio era ed è uno solo, (un unico Dio) il quale non riesce a controllare da solo l’intero universo, favorendo l’astuzia dell’uomo il quale ha scoperto dove e come beneficiare dei propri interessi a danno degli altri, quando il Signore si distrae.

In fondo siamo tutti creati ad immagine e somiglianza di Dio godendo e soffrendo dei medesimi atteggiamenti. Molti hanno avuto il sospetto di una forzatura del proprio pensiero ma non avevano i mezzi per intervenire e correggere una ideologia ormai diffusa.

Passarono molti anni e l’argomento si fece sempre più pressante sino ai nostri giorni, richiamando il pensiero di grandi uomini di azione. Hitler non era il solo a voler eliminare Roma per raggiungere la Pace nel mondo, ma non c’è riuscito a causa del fulmineo intervento Americano, che ha salvato il Vaticano perdendo di vista il Duce che intendevano salvare per gli alti meriti come Statista, in un periodo molto sofferto della Politica Italiana, minacciata dal pericolo Comunista, dallo strapotere della Chiesa e dagli abusi dei Gerarchi fascisti identici ai Politici attuali.

Un popolo immerso in una situazione Politica che rende quasi impossibile amministrare, incapace di eleggere i propri rappresentanti politici, probabilmente per il livello di disinformazione creato dalla moltitudine di Partiti, e la presenza della Chiesa intenta a difendere i personali interessi per costruire l’Impero Universale fondato sul Monoteismo Dottrinale e Amministrativo, generando non poca confusione fra le anime timorate di Dio.

Eventi scottanti duri a morire nella nostra lunga storia di continue sofferenze formulate su racconti Mitologici, Filosofici e Politici che si alternano secondo gli interessi del momento, frenando il vivo desiderio dell’uomo comune di tutti i tempi, di socializzare con l’intera umanità in modo coerente.

Man mano che trascorre il tempo, si fanno sempre più convincenti le accuse verso la pseudo Democrazia impastata con gli interessi personali dei candidati Politici, offuscati da interferenze Religiose, producendo come risultato un regime di Totalitarismo libertario di Gruppo, distruggendo la Nazione Governata da arrampicatori di poltrone, seminando disgusto verso l’Autorità e di conseguenza causando l’avanzare di una nuova Fede molto diversa e forse superiore che concorre per la conquista del mondo, ponendo seri problemi al Cattolicesimo.

“Il Profeta Maometto” i cui insegnamenti di umiltà, fratellanza e povertà al servizio del Signore, sono rimasti immutati nel tempo e progrediscono attraverso la ramificazione Islamica in ogni angolo del Pianeta, decisa a convertire tutti i Cristiani e ad eliminare “il Vaticano” in rappresaglia di un Occidente psicologicamente gravemente malato il quale semina continue sofferenze, con “Roma” Capitale della grande speculazione Mondiale, intenta a manovrare il grande business con scandali, crimini e guerre continue in nome di Dio.

Per questo motivo l’Italia impastata nello sviluppo del male, necessita di armamenti sofisticati, aerei da guerra, navi, missili, bombe atomiche, e tantissimi incoscienti disposti a premere il grilletto, per assecondare il lupo nel libero sbranare di esseri umani.

Partendo dal nostro Paese dove la cuccagna della Politica Italiana si fa sempre più devastante con tendenza ad inginocchiare l’intera Nazione, ricorrendo persino alla filosofia del Credo per convincere, spaventare i cascamorti che per paura vanno in Chiesa a battersi il petto e non appena usciti, proseguono indisturbati con azioni e pensieri nel fare del male ai propri simili, ai propri fratelli.

Il Sig. Monti coadiuvato dalla sua clicca di incoscienti, un evidente esempio di rappresentanza di Satana sulla terra, sorretti persino dal Vaticano per godere dei privilegi oltre misura, adoperandosi con infinite cattiverie per soddisfare i propri interessi contro il genere umano, fra i quali anche i suoi futuri discendenti.

Non intendo addentrarmi in ulteriori penose ricerche, limitandomi a trascrivere fatti già riportati ampiamente in Internet ad opera di illustri Giornalisti, i quali comprovano l’operato della Chiesa Cattolica come abituale responsabile di gravi illeciti, con super scandali che tendono a degenerare il Credo Cristiano.

Un quasi Impero prevalentemente Occidentale costruito in due mila anni di dominio sull’uomo, sorretto da Giornali e mezzi di comunicazione Cattolici, da folte rappresentanze Spirituali nel mondo, paragonabili ai 007 col compito di scrutare la psicologia umana, unitamente allo IOR (la Banca Vaticana nata nel 1887), unica religione ad avere una propria banca per maneggiare affari, speculazioni e investimenti, con profitti più o meno leciti in offesa all’umanità.

Molti scandali passati e recenti abilmente soffocati dall’informazione e dall’estremismo Cattolico, con il peccato originale incarnato nel sistema senza redenzione.

Da oltre vent’anni, quando si chiuse il processo per lo scandalo del Banco Ambrosiano, lo IOR è rimasto come un buco nero in cui nessuno osa guardare. Per uscire dal crac che aveva rovinato decine di migliaia di famiglie, la banca Vaticana versò 406 milioni di dollari ai liquidatori. Meno di un quarto rispetto ai 1.159 milioni di dollari dovuti secondo l’allora ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta. Lo scandalo fu accompagnato da infinite leggende e da una scia di cadaveri eccellenti. Michele Sindona avvelenato nel carcere di Voghera, Roberto Calvi impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra, il giudice istruttore Emilio Alessandrini ucciso dai colpi di Prima Linea, l’avvocato Giorgio Ambrosoli freddato da un killer della mafia venuto dall’America al portone di casa.

Senza contare il mistero più inquietante, la morte di Papa Luciani, dopo soli 33 giorni di pontificato, alla vigilia della decisione di rimuovere Paul Marcinkus e i vertici dello IOR. Sull’improvvisa fine di Giovanni Paolo I si sono alimentate macabre dicerie, aiutate dalla reticenza vaticana. Non vi sarà autopsia per accertare il presunto e fulminante infarto e non sarà mai trovato il taccuino con gli appunti sullo IOR, che secondo molti testimoni il papa portò a letto l’ultima notte.

Era lo IOR di Paul Marcinkus, il figlio di un lavavetri Lituano, nato a Cicero (Chicago) a due strade dal quartier generale di Al Capone, protagonista di una delle più clamorose quanto inspiegabili carriere nella storia recente della chiesa. Alto e atletico, buon giocatore di baseball e golf, era stato l’uomo che aveva salvato Paolo VI dall’attentato nelle Filippine. Ma forse non basta a spiegare la simpatia di un intellettuale come Montini, autore della più avanzata enciclica della storia, la Populorum Progressio, per questo prete americano perennemente atteggiato da avventuriero di Wall Street, con le mazze da golf nella fuoriserie, il sigaro Avana incollato alle labbra, le stupende segreterie bionde e gli amici di poker della P2.

Con il successore di Papa Luciani, Marcinkus trova subito un’intesa. A Karol Wojtyla piace molto quel figlio di immigrati dell’Est che parla bene il polacco, odia i comunisti e sembra così sensibile alle lotte di Solidarnosc. Quando i magistrati di Milano spiccano mandato d’arresto nei confronti di Marcinkus, il Vaticano si chiude come una roccaforte per proteggerlo, rifiuta ogni collaborazione con la giustizia italiana, sbandiera i passaporti esteri e l’extraterritorialità. Ci vorranno altri dieci anni a Woytjla per decidersi a rimuovere uno dei principali responsabili del crac Ambrosiano dalla presidenza dello IOR. Ma senza mai spendere una parola di condanna e neppure di velata critica: Marcinkus era e rimane per le gerarchie cattoliche “una vittima”, anzi “un’ingenua vittima”.

Dal 1989, con l’arrivo alla presidenza di Angelo Caloia, un galantuomo della finanza bianca, amico e collaboratore di Gianni Bazoli, molte cose dentro lo IOR cambiano. Altre no. Il ruolo di bonificatore dello IOR affidato al laico Caloia è molto vantato dalle gerarchie Vaticane all’esterno quanto ostacolato all’interno, soprattutto nei primi anni. Come confida lo stesso Caloia al suo diarista, il giornalista cattolico Giancarlo Galli, autore di un libro fondamentale ma introvabile, Finanza bianca (Mondadori, 2003). “Il vero dominus dello IOR – scrive Galli – rimaneva monsignor Donato De Bonis, in rapporti con tutta la Roma che contava, politica e mondana. Francesco Cossiga lo chiamava Donatino, Giulio Andreotti lo teneva in massima considerazione. E poi aristocratici, finanzieri, artisti come Sofia Loren.

Questo spiegherebbe perché fra i conti si trovassero anche quelli di personaggi che poi dovevano confrontarsi con la giustizia. Bastava un cenno del monsignore per aprire un conto segreto”.

A volte monsignor De Bonis accompagnava di persona i correntisti con i contanti o l’oro nel caveau, attraverso una scala, in cima alla torre, “più vicino al cielo”. I contrasti fra il presidente Caloia e De Bonis, in teoria sottoposto, saranno frequenti e duri. Commenta Giancarlo Galli: “Un’aurea legge manageriale vuole che, in caso di conflitto fra un superiore e un inferiore, sia quest’ultimo a soccombere. Ma essendo lo IOR istituzione particolarissima, quando un laico entra in rotta di collisione con una tonaca non è più questione di gradi”.

La glasnost (trasparenza) finanziaria di Caloia procede in ogni caso a ritmi serrati, ma non impedisce che l’ombra dello IOR venga evocata in quasi tutti gli scandali degli ultimi vent’anni. Da Tangentopoli alle stragi del ‘93, alla scalata dei “furbetti” e perfino a Calciopoli. Ma come appare, così l’ombra si dilegua. Nessuno sa o vuole guardare oltre le mura impenetrabili della banca vaticana.

L’autunno del 1993 è la stagione più crudele di Tangentopoli. Subito dopo i suicidi veri o presunti di Gabriele Cagliari e di Raul Gardini, la mattina del 4 ottobre arriva al presidente dello IOR una telefonata del procuratore capo del pool di Mani Pulite, Francesco Saverio Borrelli: “Caro professore, ci sono dei problemi, riguardanti lo IOR, i contatti con Enimont…”. Il fatto è che una parte considerevole della “madre di tutte le tangenti”, per la precisione 108 miliardi di lire in certificati del Tesoro, è transitata dallo IOR. Sul conto di un vecchio cliente, Luigi Bisignani, piduista, giornalista, collaboratore del gruppo Ferruzzi e faccendiere in proprio, in seguito condannato a 3 anni e 4 mesi per lo scandalo Enimont e di recente rispuntato nell’inchiesta “Why Not” di Luigi De Magistris. Dopo la telefonata di Borrelli, il presidente Caloia si precipita a consulto in Vaticano da monsignor Renato Dardozzi, fiduciario del segretario di Stato Agostino Casaroli. “Monsignor Dardozzi – racconterà a Galli lo stesso Caloia – col suo fiorito linguaggio disse che era nella merda e, per farmelo capire, ordinò una brandina da sistemare in Vaticano. Mi opposi, rispondendogli che avrei continuato ad alloggiare all’Hassler. Tuttavia accettai il suggerimento di consultare d’urgenza dei luminari di diritto. Una risposta a Borrelli bisognava pur darla!”. La risposta sarà di poche ma definitive righe: “Ogni eventuale testimonianza è sottoposta a una richiesta di rogatoria internazionale”.

I magistrati del pool valutano l’ipotesi della rogatoria. Lo IOR non ha sportelli in terra italiana, non emette assegni e, in quanto “ente fondante della Città del Vaticano”, è protetto dal Concordato: qualsiasi richiesta deve partire dal ministero degli Esteri. Le probabilità di ottenere la rogatoria in queste condizioni sono lo zero virgola sempre zero. In compenso l’effetto di una richiesta da parte dei giudici milanesi sarebbe devastante sull’opinione pubblica. Il pool si ritira in buon ordine e si accontenta della spiegazione ufficiale: “Lo IOR non poteva conoscere la destinazione del danaro”.

Il secondo episodio, ancora più cupo, risale alla metà degli anni Novanta, durante il processo per mafia a Marcello Dell’Utri. In video conferenza dagli Stati Uniti il pentito Francesco Marino Mannoia rivela che “Licio Gelli investiva i danari dei corleonesi di Totò Riina nella banca del Vaticano”. “Lo IOR garantiva ai corleonesi investimenti e discrezione”. Fin qui Mannoia fornisce informazioni di prima mano. Da capo delle raffinerie di eroina di tutta la Sicilia occidentale, principale fonte di profitto delle cosche. Non può non sapere dove finiscono i capitali mafiosi.

Quindi va oltre, con un’ipotesi. “Quando il Papa (Giovanni Paolo II, ndr) venne in Sicilia e scomunicò i mafiosi, i boss si risentirono soprattutto perché portavano i loro soldi in Vaticano.

Da qui nacque la decisione di far esplodere due bombe davanti a due chiese di Roma”. Mannoia non è uno qualsiasi.

E’ secondo Giovanni Falcone “il più attendibile dei collaboratori di giustizia”, per alcuni versi più prezioso dello stesso Buscetta. Ogni sua affermazione ha trovato riscontri oggettivi. Soltanto su una non si è proceduto ad accertare i fatti, quella sullo IOR. I magistrati del caso Dell’Utri non indagano sulla pista IOR perché non riguarda Dell’Utri e il gruppo Berlusconi, ma passano le carte ai colleghi del processo Andreotti. Scarpinato e gli altri sono a conoscenza del precedente di Borrelli e non firmano la richiesta di rogatoria. Al palazzo di giustizia di Palermo qualcuno in alto osserva: “Non ci siamo fatti abbastanza nemici per metterci contro anche il Vaticano?”.

Sulle trame dello IOR cala un altro sipario di dieci anni, fino alla scalata dei “furbetti del quartierino”. Il 10 luglio dell’anno scorso il capo dei “furbetti”, Giampiero Fiorani, racconta in carcere ai magistrati: “Alla Bsi svizzera ci sono tre conti della Santa Sede che saranno, non esagero, due o tre miliardi di euro”. Al pm milanese Francesco Greco, Fiorani fa l’elenco dei versamenti in nero fatti alle casse Vaticane: “I primi soldi neri li ho dati al cardinale Castillo Lara (presidente dell’Apsa, l’amministrazione del patrimonio immobiliare della chiesa, ndr), quando ho comprato la Cassa Lombarda. M’ha chiesto trenta miliardi di lire, possibilmente su un conto estero”.

Altri seguiranno, a giudicare dalle lamentele dello stesso Fiorani nell’incontro con il cardinale Giovanni Battista Re, potente prefetto della congregazione dei vescovi e braccio destro di Ruini: “Uno che vi ha sempre dato i soldi, come io ve li ho sempre dati in contanti, e andava tutto bene, ma poi quando è in disgrazia non fate neanche una telefonata a sua moglie per sapere se sta bene o male”.
Il Vaticano molla presto Fiorani, ma in compenso difende Antonio Fazio fino al giorno prima delle dimissioni, quando ormai lo hanno abbandonato tutti. Avvenire e Osservatore Romano ripetono fino all’ultimo giorno di Fazio in Bankitalia la teoria del “complotto politico” contro il governatore. Del resto, la carriera di questo strano banchiere che alle riunioni dei governatori centrali non ha mai citato una volta Keynes ma almeno un centinaio di volte le encicliche, si spiega in buona parte con l’appoggio vaticano. In prima persona di Camillo Ruini, presidente della Cei, e poi di Giovanni Battista Re, amico intimo di Fazio, tanto da aver celebrato nel 2003 la messa per il venticinquesimo anniversario di matrimonio dell’ex governatore con Maria Cristina Rosati.

Naturalmente neppure i racconti di Fiorani aprono lo scrigno dei segreti dello IOR e dell’Apsa, i cui rapporti con le banche svizzere e i paradisi fiscali in giro per il mondo sono quantomeno singolari. E’ difficile per esempio spiegare con esigenze pastorali la decisione del Vaticano di scorporare le Isole Cayman dalla naturale diocesi giamaicana di Kingston, per proclamarle “missio sui iuris” alle dirette dipendenze della Santa Sede e affidarle al cardinale Adam Joseph Maida, membro del collegio dello IOR.

Il quarto e non ultimo episodio di coinvolgimento dello IOR negli scandali italiani è quasi comico rispetto ai precedenti e riguarda Calciopoli. Secondo i magistrati romani Palamara e Palaia, i fondi neri della Gea, la società di mediazione presieduta dal figlio di Moggi, sarebbero custoditi nella banca vaticana. Attraverso i buoni uffici di un altro dei banchieri di fiducia della Santa Sede dalla fedina penale non immacolata, Cesare Geronzi, padre dell’azionista di maggioranza della Gea. Nel caveau dello IOR sarebbe custodito anche il “tesoretto” personale di Luciano Moggi, stimato in 150 milioni di euro. Al solito, rogatorie e verifiche sono impossibili. Ma è certo che Moggi gode di grande considerazione in Vaticano. Difeso dalla stampa cattolica sempre, accolto nei pellegrinaggi a Lourdes dalla corte di Ruini, Moggi è da poco diventato titolare di una rubrica di “etica e sport” su Petrus, il quotidiano on-line vicino a papa Benedetto XVI, da dove l’ex dirigente juventino rinviato a giudizio ha subito cominciato a scagliare le prime pietre contro la corruzione (altrui).

Con l’immagine di Luciano Moggi maestro di morale cattolica si chiude l’ultima puntata dell’inchiesta sui soldi della Chiesa. I segreti dello IOR rimarranno custoditi forse per sempre nella torre-scrigno. L’epoca Marcinkus è archiviata ma l’opacità che circonda la banca della Santa Sede è ben lontana dallo sciogliersi in acque trasparenti. Si sa soltanto che le casse e il caveau dello IOR non sono mai state tanto pingui e i depositi continuano ad affluire, incoraggiati da interessi del 12 per cento annuo e perfino superiori. Fornire cifre precise è, come detto, impossibile. Le poche accertate sono queste. Con oltre 407 mila dollari di prodotto interno lordo pro capite, la Città del Vaticano è di gran lunga lo “stato più ricco del mondo”, come si leggeva nella bella inchiesta di Marina Marinetti su Panorama Economy. Secondo le stime della Fed del 2002, frutto dell’unica inchiesta di un’autorità internazionale sulla finanza vaticana e riferita soltanto agli interessi su suolo americano, la chiesa cattolica possedeva negli Stati Uniti 298 milioni di dollari in titoli, 195 milioni in azioni, 102 in obbligazioni a lungo termine, più joint venture con partner Usa per 273 milioni.

Nessuna autorità italiana ha mai avviato un’inchiesta per stabilire il peso economico del Vaticano nel paese che lo ospita. Un potere enorme, diretto e indiretto. Negli ultimi decenni il mondo cattolico ha espugnato la roccaforte tradizionale delle minoranze laiche e liberali italiane, la finanza. Dal tramonto di Enrico Cuccia, il vecchio azionista gran nemico di Sindona, di Calvi e dello IOR, la “finanza bianca” ha conquistato posizioni su posizioni.

La definizione è certo generica e comprende personaggi assai distanti tra loro. Ma tutti in relazione stretta con le gerarchie ecclesiastiche, con le associazioni cattoliche e con la prelatura dell’Opus Dei. In un’Italia dove la politica conta ormai meno della finanza, la chiesa cattolica ha più potere e influenza sulle banche di quanta ne avesse ai tempi della Democrazia Cristiana.

Dopo gli infiniti casi di pedofilia e perversione nella Chiesa, Suore messe incinte da Preti, Preti assassinati e tanto altro, si possono contare bombardamenti continui di illeciti compiuti dall’ipocrisia, falsità, speculazioni e corruzione come una virtù positiva della scuola politica Italiana con un preciso punto di partenza individuato nella fede Cattolica.

Nessun altro Credo a livello universale soffre di canagliate e ipocrisie come quelle riscontrate nel Cattolicesimo.

Il caso dell’Ospedale San Raffaele fu messo abilmente a tacere, considerando che l’autore del grande crac finanziario fu un prete dai comportamenti fondati sulla bella vita fra l’Italia e l’America Latina.

Un altro fra gli ultimi scandali di cui nessun Partito Politico Italiano intende indagare, per paura di rompersi le ossa, riguarda il più grande e sfacciato imbroglio della storia del nostro Paese e si compie in Lombardia per merito di Comunione e Liberazione, ultimamente destituito del Presidente e della Giunta per comportamenti illeciti e abusi continui di varia natura.

Dal 1972 al 1992 per decreto legge emesso dal Santo Giovanni Leone, considerato l’uomo degli scandali, poi obbligato a dimettersi, allora Presidente della DC (Democrazia Cristiana), dove tutti i lavoratori Italiani furono derubati di una tassa addizionale inizialmente programmata per la creazione di un Fondo GESCAL, che avrebbe permesso allo Stato Padrone di raccogliere miliardi con la scusante di fabbricare case popolari per i bisognosi.

Fu rafforzato l’Ente denominato IACP, nel quale furono incamerati una parte di questi soldi raccolti ed iniziarono a costruire case a costi superiori al valore di mercato per far fronte al supporto della continua corruzione Politica Italiana.

In quanto al resto dei soldi, la parte più consistente della torta, badate che si trattava di migliaia di miliardi, dei quali non si sa che fine abbiano fatto. Nel frattempo sono nati molti Politici ricconi. Pare che la DC o chi per essa disponesse di tanti Palazzi in Svizzera. Pare che il Moro non di Venezia ma quello di Roma, in poco tempo divenne miliardario, ma non riuscì a portarsi dietro la sua fortuna, eliminato ante tempo dalle Brigate Rosse.

Bisognerebbe chiedere alla DC, ai Sindacati e ai Governi ombra di allora, i quali avevano Governato il Paese per tanti anni, sempre protetti da un sipario Politico e Giuridico impenetrabile, dal quale nasce il pentolone senza fondo che diede origine al penoso debito pubblico in modo sempre più crescente.

Terminate le costruzioni nel 1975, lo IACP iniziò ad assegnare le case alle famiglie a condizioni di riscatto, in modo che l’Ente rientrasse nei soldi della costruzione attraverso i mutui Bancari.

Il colpo di scena, i documenti relativi al riscatto non sono mai arrivati, benché le varie proteste e ricorsi alle Autorità superiori. Nessuno risponde. La Legge del silenzio per non cascare nell’inganno. Intanto i Condomini pagavano le bollette mensili gonfiate, deprivati persino dei servizi fatturati e mai goduti, il tutto per mantenere una Piramide di corrotti e corruttori.

Nel 2001 lo IACP venne sostituito in gran segreto dall’ALER, cancellando ogni precedente accordo con gli inquilini e l’ALER subentra come dipendenza della Regione Amministrata da rappresentanti della Chiesa Cristiana, la quale con la forza si impadronisce delle case già pagate oltre dodici volte il valore originale, sottraendo sia i soldi iniziali versati dai lavoratori alla GESCAL, sia il pagamento versato dagli inquilini per oltre trenta sette anni, e le case diventano proprietà del Partito di Comunione e Liberazione.

L’ALER come dipendenza della Regione Lombardia, Amministrata da Comunione e Liberazione con lo zampino della Chiesa, minacciano di sfratto tutte le famiglie che non sottostanno alle pressioni e soprusi imposti dal sistema, con l’appoggio del Comune, dei Sindacati e dei Politici a libro paga.

Il caso non fu mai risolto nonostante i vari cambi di Governo. Uno scandalo di grandi proporzioni di cui non tutti sono informati e fu riportato all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, come uno dei tanti reati impuniti dello Stato Italiano e del Cattolicesimo, il quale logora l’immagine del Paese nel mondo, ed oggi giustamente la Nazione paga le conseguenze con una recessione che rivendica le ingiustizie di diversi anni di Sciacallaggio Politico.

Come finirà, è un interrogativo senza risposta. Chi vivrà vedrà, si dice che i mulini del signore macinano lenti e prima o poi colpiscono pesantemente.

I cittadini Italiani, un tempo professavano il Credo Cattolico come condotta esemplare del vivere in un mondo impostato sulla correttezza della Fede in Cristo, ma dai pochi esempi riportati con riferimento all’Italia, si può notare una Chiesa tendenzialmente diversa, che specula sulle famiglie portate alla disperazione, amministrata da gente profondamente malata di ipocrisie, falsità, speculazioni e corruzione, allontanando sempre più i fedeli, favorendo l’avanzata dell’Islamismo che mira ad abbattere la prepotenza Occidentale nel mondo, ad opera del Cristianesimo fondato sulla ricchezza materiale e non al servizio di Dio.

Anthony Ceresa


Il vangelo della vita perfetta e la corretta alimentazione secondo il cristianesimo delle origini


Nel Vangelo della Vita Perfetta Gesu’ il Cristo afferma di essere venuto sulla terra per far finire i banchetti di carne e riportare i templi al loro uso iniziale e non per essere usati dai mercanti come luogo di commercio e dai farisei come luogo di macello degli animali.
Egli afferma di essere Lui stesso “La Legge” e la Legge da seguire e’ quella di una vita spirituale, accompagnata da un’alimentazione puramente vegetale. In pratica la “Prima Legge”, quella inizialmente data da Dio a Mose’, e’ quella che tutti gli esseri viventi (animali compresi) devono seguire, e non la legge che Mose’ ha dato al suo popolo perche’ duro di cuore e consentendo il sacrificio di animali. Per Regno di Dio, Gesu’ il Cristo intende il tempio spirituale che si cela all’interno di ogni essere vivente ed in pratica dice che bisogna essere puliti dentro (sia spiritualmente sia fisicamente- alimentazione puramente vegetale) e non solo fuori (sepolcri imbiancati) per poter entrare in questo regno. E per poterci entrare bisogna seguire “La Legge”:
- amare Dio piu’ di se stessi;
- amare il prossimo tuo come te stesso;
- fare agli altri quello che vorresti che gli altri facessero a te;
- non fare agli altri quello che non vorresti che gli altri facessero a te;
- non uccidere; (qualsiasi forma di vita, non solo umani)
- seguire le regole alimentari (i semi e le piante che danno semi ed i semi ed i frutti che danno seme) ed igieniche (battesimo interno dell’acqua ed incontro giornaliero con l’angelo dell’aria, l’angelo dell’acqua, l’angelo del sole e l’angelo del sonno).
Nel Vangelo della Vita Perfetta, Gesu’ il Cristo afferma che la vita non e’ una ma bensi’ e’ molteplice (reincarnazione) e la Legge aiuta a staccarsi dalla vita terrena (sconfiggere la reincarnazione) ed entrare a far parte della sua schiera di anime perfette ricordandoci che c’e’ un numero chiuso (forse e’ vero o forse lo dice per spronarci, ma in qualsiasi caso io non rischierei)
Per scribi e farisei, Gesu’ il Cristo intende tutti quegli uomini di chiesa e non, che invece di fare il bene per ogni uomo ed insegnare loro la Legge (cosi’ come l’ha insegnata Lui predicandola nel Tempio) la distorcono e la interpretano a loro piacimento inserendo 100, 1000 e 10000 cavilli (aumentano il fardello da sopportare).
Capiamoci bene, quando Dio disse agli uomini che il loro cibo sarebbero stati i semi e le erbe che danno seme ed i frutti che danno seme intendeva letteralmente questa cosa e non disse “potete mangiare la carne” ma disse “non potete uccidere”: in effetti l’uomo inizialmente si cibava dei frutti del giardino dell’Eden che Dio aveva creato per l’uomo, segno questo distintivo della natura dell’uomo.
Se l’uomo fosse stato un carnivoro Dio gli avrebbe sicuramente costruito una fattoria con tutti gli animali e gli avrebbe insegnato Lui stesso ad uccidere gli animali ed a cibarsene. Ma Dio sapendo che l’uomo e’ vegetariano se ne e’ guardato bene dal farlo, conoscendo bene quali sono i cattivi e maliziosi pensieri che vengono generati dall’ingurgitare la carne dei nostri stessi fratelli.(Gesu’ dice chiaramente che l’uomo non avra’ agevolazioni dal fatto che e’ un animale evoluto e che sia l’uomo e sia l’animale sono nati dallo stesso spirito ed hanno lo stesso respiro)Inoltre in altri paragrafi del Vangelo della Vita Perfetta,
Gesu’ il Cristo dice che le cattive azioni commesse in questa vita si pagheranno nella prossima vita,dice che la vita non e’ unica ma e’ molteplice in quanto un’anima per diventare perfetta deve vivere tutte le esperienze e fare tesoro di queste e non ricadere negli errori precedenti nelle vite successive.
In pratica ho capito questo, la vera Chiesa non e’ la chiesa fatta dagli uomini, la vera chiesa e’ la Chiesa fatta da Dio e celata all’interno di ciascun essere vivente: perseguendo la Legge si entra in Chiesa (Regno di Dio) non osservandola si diventa modernisti e per cui peccatori, farisei e scribi.
(Anonimo Cristiano delle Origini)

L'uccisione di animali non porta bene....


Per secoli e millenni in molti paesi il mestiere del macellaio è stato considerato infamante al pari dei boia. Ai macellai o i figli di questi era interdetto vestire l’abito talare. Il grande Pitagora quando incontrava un macellaio o un pescatore sul suo cammino deviava percorso e raccomandava ai suoi discepoli di non accompagnarsi mai con un macellaio o un cacciatore perché, a dir suo, costoro erano infestati dai demoni della morte.
Io dico a coloro che materialmente sono preposti a tale orrendo mestiere, astenetevi, rinunciate, rifiutatevi, cercate altri lavori, non c’è solo il mestiere di macellaio o di pescatore: qualunque altro mestiere è più nobile, mene crudele, meno ingiusto che essere preposti a togliere la vita e a causare sistematicamente dolore e terrore a degli esseri inermi ed innocenti.
Come potete la sera cenare, sorridere, dare una carezza ai vostri cari, andare a dormire sapendo di aver tolto per sempre a decine, centinaia di splendide creature la loro unica ricchezza, la libertà e la vita? Voi dite “Se non lo faccio io lo farà qualcun altro”. Io dico che ognuno è artefice del proprio destino, della propria condanna e della propria assoluzione morale e spirituale, indipendentemente dalle necessità materiali. Certo, non tutti i destini sono uguali, ma io preferirei mille volte la fame all’essere strumento di dolore e di morte.
Quelle che avete tra le mani non sono pietre ma creature senzienti, esseri inermi ed innocenti, figli come voi e me della stessa madre Terra, col nostro identico, disperato bisogno di esistere. Il petto che spacchi dell’animale ancora moribondo è simile al tuo petto, la gamba che seghi non è diversa dalla tua gamba, il cuore che strappi è simile al tuo, i polmoni, il fegato, i reni, gli intestini dell’animale hanno lo stesso valore dei tuoi, il sangue che scarichi nella fogna non è diverso dal tuo sangue, la vita che spegni è come la tua vita.
Rinnovati, rifiutati di essere strumento di dolore e morte: credi che il male fatto agli animali non abbia alcun riscontro nella dimensione dello spirito? 
Non è umano vivere nel sangue, nel fetore delle viscere divelte; non è umano vivere della morte altrui. Voi assorbite le tremende vibrazioni di terrore che scaturiscono dall’anima e dalle povere membra sezionate. Lasciate i coltelli, le asce, le seghe, le reti e armatevi di giustizia e compassione.
La vita appartiene al Datore della vita e chiunque si arroga l’arbitrio di togliere la vita sarà inesorabilmente chiamato a rispondere davanti al tribunale di Dio. Immagina te stesso nella situazione dell’animale, oppure uno dei tuoi cari, e forse ti troverai le motivazioni per dissociarti da questa cultura disumana che si perpetua sulla parte migliore della creazione, anche a causa tua. Rinnovati e contribuisci anche tu a realizzare un mondo migliore.
Franco Libero Manco

Zen. Il suono del silenzio


“Una volta c’era un famoso suonatore di cetra, chiamato Chao Wen, che sapeva suonare la cetra come nessun altro. Ma un giorno all’improvviso smise completamente di suonare la cetra. Aveva finalmente capito che nel suonare una nota si trascuravano inevitabilmente tutte le altre. Fu solo allora, quando smise di suonare, che riuscì a sentire la completa armonia di tutte le cose. [...] L’unica musica completa è quella dei suoni naturali”. Questo è un passo di un famoso testo taoista, il Chuang Tzu, che mi sembra molto in tema con l’argomento di cui volevo parlare e cioè John Cage, il silenzio e lo zen.

Ma prima di Cage, c’è Anton Webern, che prima di lui, non si preoccupa di saturare lo spazio sonoro, anzi. Tanto per cominciare usa quel procedimento che è stato chiamato puntillista, cioè distribuisce la melodia tra gli strumenti singoli. Quindi l’ascoltatore è esposto alla frammentazione, come se potesse notare più facilmente l’intervallo tra le note, grazie a una diversa strutturazione spaziale. Ma Webern fa di più. Le sue composizioni sembrano aforismi. Sono di breve durata, come se volesse astenersi dal violentare le pause con un’ambientazione di largo respiro.

Ci sono per esempio i Cinque pezzi per quartetto d’archi. Ciò che conta è l’atmosfera. I suoni dei violini, della viola e del violoncello sembrano provenire da una dimensione soprannaturale, silente. Prima che l’ascoltatore possa assuefarsi alla melodia, essa è già terminata.

C’è qualche affinità con la tradizione musicale giapponese di stampo soprattutto zen. Il silenzio, qui, tende a imporsi sul suono, le pause sovrastano gli interventi musicali. Nell’estetica giapponese, per esempio in pittura, è molto determinante lo spazio rispetto alle configurazioni corporee. La dottrina filosofica su cui si basa questo approccio la troviamo nella distinzione buddhista tra il vuoto (ku) e la forma (iro): è il vuoto che garantisce che ogni forma sarà valorizzata e presa in considerazione. Il vuoto rappresenta lo sfondo in cui si stagliano le cose. Il vuoto è la fonte di ogni forma e il luogo di ritorno di ogni forma. Dal vuoto e al vuoto tutto ha origine e fine. E ciò che esiste, esiste – diciamo così – navigando in un oceano infinito di vuoto. Non solo: ogni forma, sostanzialmente, è vuota. Insomma: vuoto nel vuoto.

Ok, ma arriviamo a Cage. Cage apprezzava molto Webern. Queste sono parole sue: “Webern sembra rompere con il passato, o perlomeno ci dà la sensazione di poter rompere con il passato, perché scuote le fondamenta del suono inteso come elemento a sé stante”. Appunto: non c’è il suono a sé stante, il suono che si distingua dal rumore, il suono a cui arrivare con una strategia di scelta, di composizione, di procedimento estetico, ecc. Ecco, tutta l’opera di Cage verte sull’accettazione dei suoni per quello che sono. Non c’è distinzione tra rumore e suono.

L’insegnamento di Webern aveva già come la sonorità tenda a sconfinare nel silenzio, sino a inglobarlo, aveva già intuito il silenzio come luogo originario del suono. Sempre Cage scrive: “Il silenzio non è altro che il cambiamento della mia mente. È un’accettazione dei suoni che esistono piuttosto che un desiderio di scegliere e imporre la propria musica. Da allora questo è sempre stato al centro del mio lavoro. Quando mi dedico a un pezzo musicale, cerco di farlo in un modo grazie al quale esso, essenzialmente, non disturbi il silenzio che già esiste”.

C’è un riscontro tra queste parole di Cage e una scuola buddhista, che si chiama Huayen. Secondo questa scuola, tutte le cose del mondo si compenetrano, senza ostacolarsi. Il termine giapponese che caratterizza tutta la situazione è jijimuge. Solo rendendosi disponibili ai diritti del rumore e del silenzio, ciò può realizzarsi.

Allora cambia la relazione con il suono. Non è più l’essere umano che si sforza di raggiungerlo, bensì è il suono che si rapporta all’essere umano. Il compositore non tenta più di privilegiare certi suoni, ma li lascia essere tutti, permettendo loro di arrivare nella sua mente, cosicché il brano si profili da sé.

Non c’è più scelta, dunque. Non c’è più strategia nella composizione. Si arriva allora a un’articolazione mentale priva di dualità. La razionalità viene meno, ed emerge una sovra-razionalità che abbraccia la vita nella sua pienezza. Il pensiero arretra, non è più il centro dell’attività del comporre. Il non-pensiero ha inglobato in sé il pensiero.

In musica, l’equivalente del non-pensiero è il non-suono. Neanche il non-suono può essere definito: definire il non-suono è ricadere nella filosofia, nel mentale e nelle sue limitazioni; il non-suono può essere solo percepito. Il massimo che se ne può dire è che è vuoto di significato, di intenzionalità. Perché è vuoto di intenzionalità? Perché non ha alcuna ragion d’essere, non ha alcun progetto in sé, non ha un particolare messaggio da comunicarti. Di per sé, anche i suoni non significano nulla. Certo, anche i suoni sono al di là del significato; non stiamo parlando di parole. Il non-suono esalta questa

insignificanza, che è già propria dei suoni. Il compositore alla Cage lascia essere i suoni per quello che sono, senza tentare di organizzarli in strutture. Accettando i suoni nella loro totalità, si arriva all’insonoro. Il non-significato del non-suono ingloba il non significato dei suoni, elevandolo alla massima potenza.

Dice Cage: “Per me il significato essenziale del silenzio è la rinuncia a qualsiasi intenzione”. Anche l’interesse di Cage per il Libro delle Trasformazioni cinese (I-Ching), rientra in questa linea. I 64 esagrammi dell’opera corrispondono ad altrettante circostanze naturali. Ciascuno rinvia all’altro, in una rete di connessioni ininterrotta. In tutto questo, nel comporre di Cage sulla base dei responsi dell’I ching, viene totalmente a mancare l’intenzione del compositore, le sue eventuali scelte crollano alla base.

Nel Buddhismo zen c’è una fortissima analogia con tutto questo. Rinunciando a scegliere si esce dal gioco del sì/no. Lo zen, potremmo dire in un certo senso, è un tentativo di uscire dalla gabbia del sì e del no – oltreché di uscire dalla prigione della scelta, dal decidere. Anzi: a guardar bene le cose, questi due aspetti sono le due facce della stessa medaglia. E infatti l’interesse di Cage per lo zen si concentrò proprio su questi due punti. Quando lui cominciò a leggere le prime cose che comparivano in lingua inglese sullo zen (essenzialmente gli studi del prof. Suzuki), proprio a questi aspetti era particolarmente sensibile, proprio su questi si focalizzò il suo interesse: l’uscita dal dualismo sì-no e l’uscita dalla scelta (e poi a un altro aspetto a cui accenneremo fra poco). Uscire dalla scelta è smettere di produrre qualcosa di proprio, per lasciare essere la realtà quella che è. Anche la realtà sonora.

Ricorrendo a calcoli matematici complessi o alla consultazione casuale dell’I ching, Cage ne estrae le regole della composizione. È un modo per eludere preferenze e avversioni; Cage infatti scrive – e sembra qui di leggere quasi un testo buddhista: «È molto tempo che sappiamo che le emozioni sono pericolose. Dobbiamo liberarci dalle nostre predilezioni personali, da ciò che ci piace e non ci piace». Il ricorso all’I ching implica proprio l’abbandono della razionalità.

C’è un’esperienza che è veramente determinante nella vita di Cage e che lo introduce a questa visione delle cose e a questo concetto di silenzio. Lui stesso ce la racconta: “All’inizio degli anni Cinquanta, presi la decisione di accettare i suoni che esistono nel mondo. Prima, ero così ingenuo da pensare che esistesse una cosa come il silenzio. Ma quando entrai nella camera anecoica della Harvard University a Cambridge, sentii due suoni. Pensai che ci fosse qualcosa di sbagliato nella stanza, e dissi all’Ingegnere che c’erano due suoni. Mi chiese di descriverli e lo feci: «Bene – disse – quello più acuto è il suo sistema nervoso in funzione e quello più grave la sua circolazione sanguigna». Questo significa che c’è musica, o c’è suono, indipendentemente dalla mia volontà”.

Sappiamo tutti la composizione che fu per Cage l’espressione più pura del silenzio: quel brano che prende il titolo della sua durata, 4’33’’, un brano di assoluto silenzio. Piccola nota: forse non tutti sanno il motivo di questa durata: 4 minuti e 33 secondi fanno in tutto 273 secondi e lo zero assoluto in temperatura è -273°C (=0°K). Si tratta del suo pezzo più importante, lui stesso lo dice. Ci ha lavorato sopra, per quanto strano possa sembrarci, per ben quattro anni. Non solo; dice: “Mi piace pensare che tutta la musica che ho scritto successivamente non abbia mai fondamentalmente interrotto quel pezzo”.

Quindi un pezzo completamente silenzioso, nessuna nota sul pentagramma. Però è comunque un brano per pianoforte. Nei concerti, il pianista volta le pagine dello spartito lasciando presagire un cambiamento di atmosfera. È insomma un brano silenzioso che tenta di mostrare l’inesistenza del silenzio. I colpi di tosse o gli sbadigli degli spettatori, i rumori occasionali nella sala da concerto, qualsiasi movimento del pianista... tutto funge da corredo sonoro. Solo perché sul pentagramma non c’è scritto niente, non vuol dire che regni il silenzio. Metti sul giradischi 4’33’’ e senti il rumore della puntina. Metti il cd e restano i rumori all’interno e all’esterno della stanza. Lo metti nell’i-pod quando cammini per strada e sei esposto ai rumori della strada.

Allora il brano silenzioso svela che non c’è silenzio. Attraverso la ricerca del silenzio si ottiene l’opposto: ogni sonorità ha modo di manifestarsi. Ecco: questo è perfettamente in linea con l’approccio zen. Nello zen si ripete continuamente questo adagio: lasciare essere ciò che è. Lasciare essere ciò che è significa portarsi a una condizione di spontaneità. Ecco il terzo aspetto della filosofia zen che interessava molto a Cage: la spontaneità, che è il contrario – come già dicevamo – della strategia, della tecnica di composizione personalistica, della scelta di mettere una certa nota piuttosto che un’altra, ecc. Soltanto lasciandoli essere, i suoni possono sprigionarsi nelle loro modalità autentiche: “Non esiste il silenzio” vuol dire che esiste il non-suono, che non è né silenzio né suono, ma li ingloba entrambi.

Ogni esecuzione di 4’33’’ lascia essere i suoni nel loro ambiente, nel qui e ora, rispettando il principio del jijimuge. Per la prima volta, il compositore non incanala l’ascoltatore in una direzione prestabilita. C’è l’esperienza dell’assimilazione della realtà fisica. Cage stesso dice, parlando di questo brano: “L’ho concepito come un modo particolarmente immediato per ascoltare quanto c’è da ascoltare”. Si esce insomma dalla mentalità duale, secondo la quale esistono il suono o il silenzio. Addirittura, vengono superate anche le limitazioni intellettualistiche delle composizioni di Cage basate sull’I-Ching.

Con questo brano Cage indica che la distinzione tra suonare e non-suonare è priva di senso. E anche l’alternativa bello/brutto viene trascesa. Gli opposti cadono. L’insistenza sul silenzio sembra rivelare una nuova sensibilità e una nuova estetica. Un’estetica molto zen. C’è, nella pratica meditativa buddhista, un esercizio che mi sembra molto vicino a questa visione. È un esercizio dedicato alla consapevolezza auditiva: ci si espone ai rumori che arrivano all’orecchio e li si ascolta con totale e immersa attenzione, cercando di coglierne tutti gli aspetti, fino a penetrarli il più possibile. È un esercizio in cui non c’è più nessuna ricerca, nessuna richiesta, nessuna intenzionalità; è l’esatto contrario: è un essere esposti, un aprirsi, un riceve. Succede qualcosa di particolare: crolla la distinzione piacevole/spiacevole, bello/brutto. Appunto: crolla il dualismo.

Anche il rumore considerato (mentalmente) il più orripilante (il rumore di un motore, di un martello pneumatico o quello che sia), diventa un vastissimo universo da indagare che rivela il suo incommen-surabile fondo, il suo splendore. Nell’esposizione al ciò che è, a ciò che porta il qui e ora, in uno stato di attenzione pura e centrata, tutto diventa assoluto, totale, tutto si fa nirvana. Anche su questo forse Cage poteva essere d’accordo.

Allora, a questo punto: caos e indeterminazione, certo. Indeterminazione: non determinazione. Determinazione da cosa? Dall’io, dalla volontà. Non c’è più qualcuno che determina. È questo il lasciare essere ciò che è, il darsi al qui e ora. È l’abbandono dell’ego di cui parla tanto zen. E poi caos. Perché? Cos’è il contrario di caos? Cosmos.

Caos-Cosmos. Cosmos è ordine. Ma ordine di chi, secondo chi? Di qualcuno che dica: questo è ordinato, questo no; oppure: faccio dell’ordine là dove c’è caos. Ma è sempre allora un ordine fatto, scelto, voluto, costruito; oppure preferito a qualcos’altro che (giudizio dell’io) si ritiene non ordine. Lasciare invece ciò che è, è lasciare il caos, farlo essere. Non caos come confusione, ma come mancanza di regola. La regola è ciò che dice il mentale, il caos è ciò che dice il naturale.

Gianfranco Bertagni

http://www.gianfrancobertagni.it/cage.pdf

Esoterismo "eroico" - Berlino 1945: Il mito dei 300 destinati alla morte




"Noi non vogliamo essere gli ottusi sostenitori di regimi la cui
esistenza è inevitabilmente legata alla storia. Ma non possiamo non
riconoscere e ammirare lo spirito aristocratico, guerriero ed eroico
che animò Uomini e movimenti che rivendicarono l’affermazione di un
Ordine Europeo, contro la sovversione dell’americanismo e del
bolscevismo.


Nell’Europa agonizzante del maggio del ’45, nel fumo e nelle macerie
di una Berlino rasa al suolo, si suggellava, col sangue e con il
sacrificio dei volontari francesi della 33 Divisione SS Charlemagne,
l’invincibile, eterno mito d’Europa.


Pubblicando questo articolo, tratto dal “Nexus – new times”
Ottobre-Novembre 2015,  n. 118, vol. 5, che dà anche una chiave
“esoterica” del sacrificio dei trecento difensori di Berlino, vogliamo
rendere onore a chi tenne alti e testimoniò gli immutabili Valori
della Civiltà."  
(Azione Tradizionale)

I 300 difensori di Berlino

La tragica vicenda dei volontari francesi della 33esima Divisione SS
Charlemagne chiamati a difendere la capitale tedesca, che dopo una
strenua resistenza contro un numero di sovietici immensamente
superiore e il sacrificio di quasi tutti i loro effettivi, verranno
poi giustiziati per ordine dei Generale francese Leclerc.


Parte “palese”…


Quando si parla di 300 uomini che difesero fino all’estremo sacrificio
un lembo di terra e/o un ideale contro 2,6 milioni di nemici, il
pensiero corre subito a Leonida e ai suoi 300 spartani alle Termopili.
Pochi sanno che l’analogia di 300 uomini nella storia si è ripetuta
più volte, l’ultima accaduta circa 70 anni fa.


Gli ultimi difensori del  III Reich tedesco a Berlino non furono
tedeschi, ma volontari francesi della 33esima Divisione SS Charlemagne
affiancati da altri volontari, per lo più danesi, della Divisione SS
Nordland.


L’arruolamento della Charlemagne iniziò il 25 agosto del 1941 in una
caserma presso Versailles. La divisa si distingue da quella delle
altre SS per lo scudetto tricolore francese sulla manica sinistra
della giacca militare.


Dopo lo sfondamento delle alture di Seelow a circa 80 km da Berlino –
oggi sul confine polacco – milioni di militari sovietici iniziarono
l’accerchiamento della città. L’esito del conflitto era segnato, nel
loro cuore questi ragazzi avevano già accettato la sconfitta militare,
eppure non si arresero, anche se avrebbero potuto ripiegare verso
Ovest e al limite cercare di difendere da quelle zone, visto che in
principio si trovavano fuori dall’accerchiamento della capitale.
La mattina del 24 aprile 1945 arrivò un telegramma dalla Cancelleria
di Berlino, direttamente da Hitler, con l’ordine per i volontari
francesi di formare un battaglione d’assalto, entrare dentro la sacca
di Berlino ormai accerchiata e difendere la capitale.


Vengono scelti i migliori granatieri, sono in 400: è la mattina del 24
aprile 1945, 8 grossi camion si mettono in marcia. Soltanto quattro
ore prima Hitler festeggiava il suo 56esimo compleanno e alla radio
annunciava: “Se nei giorni e nelle settimane prossime ogni soldato del
Fronte Est compirà il suo dovere, l’ultimo assalto delle orde
asiatiche fallirà … Berlino resterà tedesca, Vienna e l`Europa non
saranno mai russe …”.


La colonna di 8 camion con i 400 volontari deve percorrere strade
ormai inesistenti, ponti saltati, percorsi alternativi in una capitale
ormai irriconoscibile e sotto il continuo bombardamento dell’aviazione
e dell`artiglieria russa. È in questo momento che accade un fatto
apparentemente non importante, ma come vedremo in seguito fondamentale
per la storia palese, e forse anche per quella nascosta.
Due camion si perdono e sono costretti a tornare  indietro: gli ultimi
volontari francesi della 33esima Divisione SS rimangono in 300 … La
zona assegnata loro è la parte Sud-Est di Berlino, gli ordini sono di
ricongiungersi con ciò che resta della Divisione Nordland, ma i 300
francesi restano autonomi, l’altra Divisione li sorreggerà solo nei
fianchi, finché le sarà possibile.

I combattimenti sono violentissimi, le forze sovietiche sono
infinitamente superiori eppure, con una violenza inaudita, i 300
volontari non solo respingono ogni sortita offensiva russa, ma
addirittura passano al contrattacco, furioso al punto da costringere i
Russi a ritirarsi di centinaia di metri. Il comando sovietico crede
che in quella zona non ci sia solo un gruppo di uomini, ma un’intera
Divisione di SS. Nonostante questo, il comando decide di farli
ritirare per riorganizzare la resistenza, temendo che possano rimanere
troppo dentro la sacca russa, e quindi poi accerchiati (anche se i
russi avevano già chiuso l’accerchiamento sulla capitale): ma i
combattimenti nei quartieri continuavano violentemente.
Era da molto che i berlinesi non vedevano soldati andare in battaglia
cantando, quindi escono dalle cantine e offrono ristoro ai volontari,
in definitiva gli ultimi difensori di Berlino. Un ufficiale dirà: “I
berlinesi dovranno ricordarsi di noi!”


Nuovo ordine: quel che resta del battaglione d’assalto della Divisione
deve difendere gli ultimi edifici intorno alla Cancelleria e quindi la
Cancelleria stessa, nonché il bunker di Hitler e cioè l’ultimo
chilometro quadrato di quello che restava del III Reich.
Non dormono da giorni, mangiano quello che riescono a trovare,
sembrano spettri dentro uno scenario da inferno dantesco, il senso
della realtà si sbriciola nelle loro menti ma non nei loro cuori: non
esiste più passato né futuro, ma solo un interminabile presente,
eppure resistono …


Le munizioni iniziano a scarseggiare: il 30 aprile apprendono del
suicidio di Hitler, ma non si arrendono, non sono li per difendere
Hitler, ma un chilometro quadrato ideale di lembo di terra, anzi di
macerie. La Cancelleria è solo a 800 metri, ma non mollano; gli altri
combattenti che difendevano Berlino si arrendono tutti, loro no – i
volontari sanno che se cadono loro cadrà anche Berlino – sono gli
ultimi difensori, l’ultimo reparto appunto.


I sovietici scatenano l’artiglieria, l’aviazione, lanciano decine di
carri, la lotta, se fino ad allora sembrava impossibile, ora diventa
assurda, le perdite ormai sono insostenibili: dei 300 iniziali, non
restano che 3 ufficiali,  4 sottufficiali e una ventina di soldati. In
6 giorni il battaglione ha perso più del 90% dei suoi effettivi,
eppure resistono, con gli ultimi Panzerfaust distruggono decine di
carri sovietici, al punto che ì soldati russi vengono costretti sotto
la minaccia delle armi a salire sui carri armati e dirigersi verso lo
scontro, anche se è una missione suicida.


L’immane potenza nemica alla fine ha la meglio sugli ultimi difensori
di Berlino, che cadono sul posto, ma un gruppo non si arrende, e
tramite i sotterranei della Metropolitana riesce a sfuggire alla
cattura da parte russa. Dodici di loro però non avranno fortuna perché
presi dagli Americani, dopo essere riusciti, incredibile ma vero, ad
uscire dall’accerchiamento russo, vengono consegnati ai francesi di De
Gaulle, che senza processo li giustizieranno sul posto. Probabilmente
irritati da un fatto: i francesi di De Gaulle indossavano divise
americane ma con simboli francesi, e quando il Generale Leclerc chiese
ai 12 della Charlemagne catturati perché indossassero la divisa delle
Waffen SS, questi risposero: “E voi perché indossate quelle
americane?”[2].


Qualcuno dei reduci di Berlino però si salvò: alcuni si fecero, dopo
la guerra, vent’anni di carcere e di lavori forzati, mentre un altro
riuscì a raggiungere la Spagna, e poi il Sud America.
Parte “nascosta”…
  

I fatti, molto concisi, sono quelli sopra narrati. Quello che mi
interessava sottolineare invece era la coincidenza (?) di 300 uomini
che – come gli spartani – si battono fino alla morte, infliggendo
perdite enormi ad un nemico che anzi, nello specifico, è identico ai
2,6 milioni di Persiani secondo Erodoto alle Termopili contro Sparta,
ovvero i 2,6 milioni di sovietici a Berlino nel 1945.


Potrebbe sembrare una coincidenza, appunto, ma approfondendo scopro
che questo numero di 300 uomini ricorre più e più volte nella storia
dell’umanità e spesso in situazioni molto simili.


Per rendere l’idea sarà meglio elencare i contesti in cui si parla
sempre di 300 uomini:
• i 300 Spartani alle Termopili;
• i 300 volontari francesi a Berlino;
• nelle tavole sumere di Zacaria Sitchin leggiamo che gli dèi Anunnaki
erano in numero di 300;
• nella Bibbia, in Giudici 7 leggiamo che Gedeone forma un contingente
di 300 uomini che anche qui combattono contro un nemico di molto
superiore: “… Allora il Signore disse a Gedeone – con questi 300
uomini io vi salverò …”
• tutti, almeno noi italiani, ricordiamo la poesia La spigolatrice di
Sapri, in cui si parla di un contingente di 300 uomini che finisce per
scontrarsi con forze di molto superiori e vengono annientati: “… Erano
300, erano giovani e forti, e sono morti…”;
• da secoli si parla, e si denuncia, di un governo che dirige
occultamente l’Umanità, del quale nessuno conosce i componenti né il
loro numero, eppure Walter Rathenau, proiettando una certa luce
sinistra, nel Wiener Freie Presse del 24 dicembre 1912 dichiarò:
“Trecento uomini, conosciuti soltanto da loro stessi, governano il
destino del Continente europeo. Essi eleggono i loro successori …”
• la Falange greca era composta da 300 uomini;
• Romolo, riprendendo proprio dalla falange greca, forma la Legione
romana con 3.000 fanti e 300 cavalieri, poi cambiata, ma con la
riforma manipolare descritta da Livio e Polibio, la cavalleria romana
torna a disporsi di 300 cavalieri per Legione;
• anche per Tito Livio si avevano Legioni composte da 5.000 fanti, ma
sempre 300 cavalieri;
• i Cavalieri Templari nelle crociate in Terra Santa attaccavano
sempre in gruppi di 300 cavalieri.


L’unica risposta al momento possibile possiamo trovarla nelle
disquisizioni esoteriche: cosa significa il numero 300? Non è un caso
che nella stessa Bibbia lo ritroviamo più volte.


Nell’alfabeto greco, la lettera Tau era il segno che indicava il
numero 300. Ogni volta che nella Bibbia ci si imbatte in questo numero
è sinonimo di salvezza o di vittoria.


Un esempio. Dio disse a Noè: “Fatti un’Arca di legno di cipresso. Ecco
come devi farla: l’Arca avrà trecento cubiti di lunghezza (…)” (Genesi
6.14-15). Ma ci sono anche altri riferimenti.


Per esempio nel passo dove si parla del profumo di Maddalena: “Ci
furono alcuni che si sdegnarono fra loro (…) perché tutto questo
spreco di olio profumato? Si poteva benissimo venderlo quest’olio a
più di 300 dinari e darlo ai poveri”. L’estensione dell`allegoria del
Tau (300) in questo episodio evangelico è molto interessante, perché
presuppone nota l’equivalenza contenuta che è: 300=Tau=Passione (o
300=Tau=Croce=Salvezza).


Nel III secolo parecchi talmudisti furono consultati da Origene a
proposito dell’interpretazione del Tau di Ezechiele (9,4). Secondo
alcuni, il Tau significa fine, conclusione, compimento dell’intera
Parola rivelata. Per altri invece, prima lettera della parola Torah,
significava la somma delle leggi che portavano alla salvezza.
Nella Cabala ebraica quindi 300 è il valore numerico corrispondente
alla lettera Tau. Tau=300 appunto, inteso come vettore energetico,
cioè la legge di natura che è conforme allo “Spirito di Dio o degli
dèi”, e quindi alla sua essenza energetica …

In sostanza 300 = RAUCH ELOHIM, “spirito di Dio” o meglio degli dèi, e
quindi più vicino alla vibrazione cosmica elettromagnetica che
influenza il nostro DNA. Si tratta di una forza che crea l`essenza
stessa di Dio e comunque di creature superiori.


In definitiva stiamo parlando dell’ordine divino naturale, la sua
vibrazione cosmica essenziale, e il modo con cui queste forze
organizzano l’invisibile fino al visibile (la materia). Quindi TAU o
300 è il Sigillo degli dèi, e quindi la Legge che promette
l’immortalità … il Tau (300), come simbolo di vita futura.
Sarà forse a causa di tutto questo che si ritrovano sempre, per vari
motivi, per caso ma sarebbe meglio chiamarlo Fato, riferimenti al
numero 300, e quindi anche se in modo inconsapevole, deve leggersi
cosi anche il canto che i giovani Volontari francesi intonavano,
andando a morte certa? “Ovunque siamo andiamo sempre avanti e il
diavolo ride con noi, ah ah ah ah ah …”[3]


Forse proprio perché percepivano inconsciamente delle presenze
superiori, che li spingevano e sostenevano sino al sacrificio finale,
promettendo loro una sorta di ricordo immortale?
In conclusione, se tutto questo vogliamo definirlo coincidenza, o caso
che dir si voglia, allora deve necessariamente valere il detto che “Il
caso è la via che gli dèi usano quando vogliono rimanere anonimi” …


di Luigi Baratiri  [1]
________________________________________


[1] Nato a Giulianova Abruzzo, passa l’infanzia e l’adolescenza a
Tripoli (Libia) dove impara l’arabo. Dal 1990 al 1998 collabora con il
governo libico e con ambienti iniziatici mediorientali, ma soprattutto
con il SISMI e come agente provocatore svolge diverse operazioni. Dal
1999 vive a Berlino dove continua i suoi studi esoterici. Ha
collaborato con Marco Zagni soprattutto per la stesura del suo primo
libro in uscita dal titolo L’intelligence degli Dei.
[2] L’autore si riferisce al celebre episodio dell’incontro tra la 2°
Divisione corazzata francese comandata dal generale Leclerc ed i
dodici (altro numero casuale?) membri della Divisione Charlemagne che
si erano arresi alle truppe americane, finendo internati insieme a dei
soldati tedeschi nella caserma degli Alpenjäger presso la località
termale di Bad Reichenhall. I prigionieri francesi, venuti a
conoscenza dell’arrivo della divisione di Leclerc il 6 maggio 1945,
avevano tentato la fuga ma erano stati scoperti ed accerchiati. A
seguito della coraggiosa risposta all’insolente domanda del generale
francese, i dodici volontari della Charlemagne furono fucilati senza
processo l’8 maggio 1945 a Karlstein, in una radura chiamata
Kugelbach. Tutti chiesero la fucilazione frontale al petto senza benda
sugli occhi e caddero gridando “Vive la France!”. I loro corpi,
recuperati il 2 giugno 1949, furono traslati nel cimitero comunale di
Bad Reichenhall, dove si trovano tuttora. Sulla loro tomba, ornata da
due rami di betulla incrociati, tre lapidi ne tengono viva la memoria
(N.d.C.).
[3] L’autore si riferisce al celebre “Chante du Diable”, “Il canto del
diavolo”, versione francese adottata dalla Divisione Charlemagne della
canzone delle Waffen SS tedesche “SS marschiert in Feindesland” (“La
SS marcia in terre nemiche”), che fu tradotta, modificata ed adottata
da diverse divisioni di volontari stranieri incorporate appunto nelle
Waffen SS: oltre alla versione francese, si conoscono ad esempio una
versione norvegese, una estone ed una lituana. Dopo la Guerra, la
canzone, adeguatamente modificata, fu adottata dalla Legione Straniera
francese ed è ancora cantata, con ulteriori modifiche, col titolo “La
Legion marche vers le front”. E’ conosciuta anche una versione cantata
dalla Brigata di Fanteria dei Paracadutisti dell’esercito brasiliano.
Da notare un piccolo errore che, ovviamente, non cambia comunque il
senso della citazione nell’articolo: l’autore riporta infatti la
traduzione della versione tedesca originale del ritornello della
canzone, e cioè “Wo wir sind da geht’s immer vorwärts / Und der Teufel
der lacht nur dazu! Ha, ha, ha, ha, ha!”, che si traduce appunto
“Ovunque siamo andiamo sempre avanti e il diavolo ride con noi, ah ah
ah ah ah!”, mentre la versione francese non contempla questo verso; in
essa, nel ritornello si dice invece: “Là où nous passons que tout
tremble / Et le diable y rit avec nous ! / Ha, ha, ha, ha, ha!”, cioè
“Dovunque passiamo tutto trema, e il diavolo ride con noi, ah ah ah ah
ah …”. Secondo la versione più nota della canzone, nei ritornelli
successivi il primo verso muterebbe poi in “Là où nous passons, les
chars brûlent (“Dovunque passiamo i carri armati bruciano”) e in “Là
où nous passons tout s’écroule”(“Dovunque passiamo ogni cosa va in
rovina (crolla, ecc.)” (N.d.C.).


Fonte: http://www.azionetradizionale.com/2015/10/23/i-300-difensori-di-berlino/