Chi è Saulo di Tarso, l'inventore del “cristianesimo”...?



Dobbiamo individuare il motivo fondamentale per cui sarebbe stata operata la revisione del messianismo tradizionale degli ebrei e la sua trasformazione in una teologia destinata a staccarsi dalla matrice giudaica o, addirittura, a porsi in conflitto con essa per i secoli successivi.

La figura su cui ricade il massimo della responsabilità di questo processo è quella che la tradizione cristiana riconosce nella persona di Saulo di Tarso, detto San Paolo.

Chi era San Paolo? E perché avrebbe inventato il cristianesimo?

E' straordinario constatare il modo in cui la letteratura cristiana
lascia questo personaggio in una condizione di quasi anonimato,
sfocandone al massimo il profilo biografico e l'identità anagrafica.
Non sappiamo quando sia nato, chi fosse la sua famiglia, in che
periodo sia venuto a Gerusalemme per compiere gli studi e, quel ch'è
più clamoroso, lo scritto del Nuovo Testamento che si occupa di lui
(Atti degli Apostoli) lo abbandona completamente a metà di un percorso
narrativo, senza dirci niente sul suo destino.

Le sue lettere, che oggi appartengono al corpus del canone
neotestamentario, hanno l'aria di essere dei documenti ricchi di
contraffazioni, se non, qualche volta, per niente autentici.

Alcuni autori giungono persino a mettere in dubbio il fatto che questo
personaggio fosse un autentico ebreo, come egli proclama negli scritti
del Nuovo Testamento che gli sono attribuiti. Personalmente non mi
sento di sostenere questa tesi estrema, ma posso associarmi ad alcune
constatazioni che sembrano dare un profilo elastico alla ebraicità di
San Paolo.

A.N.Wilson, in "Paolo l'uomo che inventò il cristianesimo" (Rizzoli,
1997), sostiene, in modo abbastanza verosimile, che Paolo fosse un
personaggio molto legato e compromesso col mondo romano, soprattutto
per il fatto che la sua professione sarebbe stata quella di produrre
tessuti per tendaggi usati dalle legioni militari imperiali. E' certo
che i suoi famosi viaggi non sono stati effettuati al fine primario di
compiere un'opera missionaria ma che, piuttosto, egli ha approfittato
della circostanza professionale dei suoi continui spostamenti
commerciali per svolgere anche un proselitismo politico-religioso (non
ci si meravigli di questa associazione fra politica e religione: nel
mondo semitico degli ebrei la politica e la religione sono legate
indissolubilmente da una concezione di vita prettamente teocratica).
Ciò che caratterizza l'identità culturale di Paolo è una ebraicità
molto aperta, una estrema abitudine, per ragioni di ambiente di
nascita e di esperienze di vita, al contatto con le culture gentili,
ovverosia pagane. E non c'è alcuna possibilità di comprendere
storicamente questo individuo e la sua opera se non si parte proprio
dall'idea che le sue formulazioni teologiche, sfociate nella nascita
di una nuova religione, abbiano origine nel contrasto stridente fra...

...da una parte, la ebraicità ottusa, fanatica, fondamentalista e
xenofoba (la concezione hassidica, sviluppatasi dal patriottismo
politico religioso dei maccabei del II secolo a.C.), che nel I sec.
d.C. trovò la sua principale espressione nel messianismo
esseno-zelota, e la sua collocazione geografica nell'ambiente
palestinese,

...dall'altra parte, la ebraicità aperta, maturata attraverso il
contatto e la convivenza con i popoli e le culture gentili,
disponibile alla reinterpretazione delle scritture in senso molto
elastico (una concezione di cui furono tipici rappresentanti uomini
come Filone Alessandrino, Giuseppe Flavio, e il primo Shaul,
successivamente nominato Paolo), per niente interessata allo sviluppo
di una conflittualità estrema fra Israele e Roma, con una collocazione
geografica rivolta soprattutto agli ambienti della diaspora.

Sono le tensioni fra questi due modi di essere ebrei, e le drammatiche
vicende politiche e militari della nazione ebraica sotto il dominio
imperiale, sempre in altalena fra le azioni dei patrioti Yahwisti e le
repressioni romane, che fornirono i presupposti del processo
attraverso il quale si sviluppò per gradi...

1 - ...prima, una coscienza contraria al messianismo radicale degli
esseno-zeloti,

2 - ...poi una corrente politica altrettanto radicale, ma in senso
anti-messianista, espressione delle classi dominanti di Israele
(sadducei e farisei di destra),

3 - ...quindi una tendenza a rileggere le profezie messianiche con
significati contrari a quelli esseno-zelotici, e aperta ai contributi
teologici delle spiritualità gentili,

4 - ...infine una corrente militante, di cui il San Paolo del dopo
Damasco fu il fondatore e il promotore indefesso, che, pur di
contrastare il messianismo hassidico e i suoi estremi pericoli per la
sicurezza della nazione ebraica, era disposta a crearne un altro,
aperto alle teologie escatologiche straniere (vedi il Soter greco, il
Saoshyant persiano, il Krishna e il Buddha indiani...), sopportando il
rischio (o forse andandogli volutamente incontro) che ciò innescasse
una sorta di mitosi teologica il cui prodotto, alla fine, fosse la
nascita di una nuova religione e la sua scissione dal giudaismo.

In un primo tempo San Paolo sarebbe stato senz'altro un esponente
della corrente di cui al punto 2. E' facile che egli, in quanto
benestante, colto, professionista con molte occasioni di viaggio e con
molti contatti in ambienti sia ebraici che greco-romani, sia stato
coinvolto nella politica di repressione delle "brigate messianiste" e
che abbia collaborato come informatore o anche in modo più
consistente.

Non si dimentichi che i cristiani, al centro della attenzione
repressiva, in questa fase del processo di evoluzione del
cristianesimo, non erano ancora ciò che intendiamo oggi con quel
termine, bensì erano i giudei messianisti, ovverosia i membri delle
sette che aspiravano alla rinascita del regno di Yahwè e all'interno
delle quali si individuavano le figure degli aspiranti messia, capi
religiosi con la spada in mano.
Siamo noi che commettiamo il gravissimo errore di interpretare il
movimento dei seguaci diretti di Cristo come se questi avessero già
incorporato la filosofia espressa nel Nuovo Testamento, che rende
spoliticizzato, degiudaizzato e pacifista il messaggio evangelico,
prima ancora che Paolo lo avesse formulato.

In realtà, gli stessi Atti degli Apostoli, sebbene siano stati redatti
col preciso scopo di far apparire la concezione neomessianica di Paolo
come se fosse appartenuta a Gesù Cristo, proponendo in modo del tutto
artificiale la continuità e la conformità là dove invece sussistono
discontinuità e contrapposizione, finiscono per mostrare loro
malgrado, con innegabile chiarezza, l'esistenza di un grave conflitto
fra una corrente giudaizzante (identificata nelle persone come Simone
e Giacomo, i fratelli di Gesù) e una corrente riformista con aperture
ellenistiche (identificata nelle persone come Paolo e i suoi seguaci).
In un secondo tempo San Paolo avrebbe maturato un atteggiamento
diverso, probabilmente rendendosi conto che la strada della semplice
repressione politica, consistente nell'arresto e nella eliminazione
fisica degli esponenti messianisti, non avrebbe funzionato molto,
tanto più che le ideologie radicali del tipo esseno-zelotico non si
fermavano davanti al martirio (abbiamo visto il comportamento dei
cittadini di Gamla e degli assediati di Masada) ma, al contrario, ne
traevano nuovo orgoglio e nuova energia combattiva. In pratica Paolo
comprese che l'ideologia messianista tradizionale avrebbe potuto
trovare un antagonista valido solo in un'altra ideologia, e che
l'argine per ostacolare l'espansione del messianismo radicale nei
diversi strati della popolazione ebraica, e per allontanare i suoi
gravi pericoli, avrebbe potuto essere offerto solo da un altro
messianismo, non così bellicoso, non così ispirato al nazionalismo
yahwista, non così frontalmente ostile ai romani, ma comunque
rispondente ad istanze che avessero una risonanza reale nella gente e
in larghi strati di popolo.
Insomma, invece di seguire la via degli arresti e delle esecuzioni,
Paolo preferì offrire un'alternativa all'idea della salvezza
nazional-religiosa (questa fu la sostanza reale della sua conversione)
e si adoperò per creare un messianismo più convincente di quello che,
pur solleticando l'orgoglio etnico, che è il tratto distintivo di ogni
ebreo, metteva tutti quanti di fronte al timore (poi confermato dalle
vicende della guerra degli anni 66-70) che i romani ricorressero alla
soluzione definitiva e che Israele precipitasse nella più sventurata
delle catastrofi. E' questa, e soltanto questa, la corretta chiave
interpretativa attraverso la quale noi possiamo capire ciò che gli
Atti degli Apostoli ci presentano, molto falsamente e
opportunisticamente, come una semplice divisione di competenze fra
Paolo e gli Apostoli giudaizzanti: evangelizzatore dei gentili l'uno,
evangelizzatori degli ebrei gli altri.

Altro che divisione di competenze! La verità è che questi ultimi erano
legati alla concezione messianica di derivazione maccabea, ovvero al
patriottismo nazional-religioso degli esseno-zeloti, ostile per natura
al mondo gentile; mentre Paolo aveva già sparso i semi di una
filosofia di apertura al pensiero extragiudaico, al punto da
rappresentare il suo Gesù Cristo con caratteristiche che appartenevano
assai più agli dei incarnati e risuscitanti delle teologie gentili che
non alla figura messianica delle profezie giudaiche.
Ora, noi abbiamo molti motivi per credere che Paolo, nella sua città
di origine, Tarso, in Cilicia, abbia avuto contatti molto ravvicinati
con le culture religiose ellenistiche ed orientali, anzi, proprio con
i culti detti misteriosofici, in cui si celebravano complicati riti
iniziatici. Di questi possiamo avere una bellissima descrizione
divulgativa, accessibile anche ai non addetti ai lavori, nell'opera di
J.G.Frazer, "Il Ramo d'Oro" (Newton Compton, 1992), dalla cui lettura
possiamo arrivare a capire che certi elementi teologici della figura
di Gesù Cristo devono essere stati mutuati dai culti extragiudaici
come quelli di Attis, Adonis, Osiride, Dioniso, Mitra... mi riferisco
alla nascita verginale, alla resurrezione dopo tre giorni di discesa
agli inferi, all'innesto del concetto teofagico (cibarsi della carne e
del sangue del Dio) sui contenuti del rito eucaristico esseno (la
fractio panis di cui abbiamo visto nel manuale di disciplina di
Qumran).

Ora, la quasi totalità dei cristiani nega che il Cristo giustiziato da
Ponzio Pilato, con l'accusa di avere militato per diventare "re dei
Giudei", avesse l'intenzione di diventare realmente "re dei Giudei" e
abbia mai avuto a che fare col messianismo nazional-religioso degli
esseni e degli zeloti. E supportano questa loro irremovibile
convinzione sulla base della tradizionale immagine evangelica di un
Gesù che predica amore, pace, perdono, non violenza, che contraddice
alcune caratteristiche del pensiero ebraico messianista (Gesù siede a
tavola coi gentili, deroga alla regola del sabato...), e considerano
la vicenda del processo, della condanna e della esecuzione romana
mediante crocifissione (il tipico destino dei latrones e dei sicarii,
ovverosia degli zeloti) come un clamoroso equivoco giudiziario, da cui
Pilato, vittima dei raggiri dei sacerdoti del tempio, esce
praticamente scagionato, e con lui tutti i romani. Un equivoco
generato dalle false accuse che i giudei avrebbero prodotto nel
presentare Gesù a Ponzio Pilato, al fine di indurre proditoriamente i
romani a giustiziarlo.

Ma il meccanismo non è questo! Il punto falso non risiede in quelle
accuse di militanza esseno-zelota, bensì nell'immagine del Cristo
apolitico, demessianizzato, addirittura quasi degiudaizzato, che
propone nell'imminenza della Pasqua ebraica, ad una assemblea di
giudei, cerimoniali di sapore nettamente gentile (l'eucarestia
teofagica come rito sacrificale del dio incarnato), una immagine
costruita a posteriori dalla scuola di San Paolo. E naturalmente non è
legittimo dimostrare che il Cristo era un pacifista, che non era il
Messia, che era estraneo ai movimenti esseno-zelotici, utilizzando a
questo scopo i documenti che furono costruiti apposta per sostenere
l'ideologia antimessianista e per alterare la figura di Cristo.
Insomma, quando noi leggiamo i Vangeli (i Vangeli del canone
ecclesiastico, naturalmente, non la letteratura primitiva del
giudeo-cristianesimo che, del resto, è stata opportunamente tolta di
mezzo), noi non abbiamo davanti agli occhi l'immagine storica di Gesù
Cristo, bensì l'immagine costruita artificialmente dalla revisione
paolina come base della catechesi neocristiana. I Vangeli sono il
manifesto antimessianista (e quindi anti-Cristo-della-storia) che ci
mostra, non le idee di Gesù, ma le idee di Paolo e dei suoi seguaci,
ovverosia di colui che è stato fra i nemici più accaniti di Cristo e
che non si è affatto convertito ma che, in un secondo tempo, ha
convertito l'ideale di Cristo, appartenente al pensiero giudaico più
radicale, in una filosofia extragiudaica. Una conversione che è stata
ripetuta in modo assai simile, tre secoli dopo, dallo stesso
imperatore Costantino, che non si è mai convertito al cristianesimo di
Gesù nel modo in cui sostiene una certa interpretazione storica, ma
che ha trovato convenienti motivi perconvertire ulteriormente la
teologia cristiana e renderla sempre più compatibile con le religioni
già in voga nell'impero romano (fu lui a volere energicamente il
concilio di Nicea e a dare inizio ad un'epoca plurisecolare di caccia
all'eresia).
In pratica, dopo queste molteplici e successive operazioni di
ricostruzione teologica realizzate nell'arco di tre secoli, le cose
che leggiamo oggi nei Vangeli servono a indicarci ciò che Gesù non
eramolto più di quanto non possano servire ad indicarci ciò che Gesù
era. Anche se questa è un'idea inaccettabile da parte di coloro che
sono innamorati dell'immagine neo-cristiana del Gesù figlio di Dio e
che non possono tollerare che tale immagine sia ridotta dall'analisi
storica ad un prodotto di pura creatività teologica.
Non possiamo dimenticare le parole scritte dai Padri della Chiesa
Ireneo, Eusebio, Teodoreto:

"...(gli Ebioniti) seguono unicamente il Vangelo che è secondo Matteo
e rifiutano l'apostolo Paolo, chiamandolo apostata della legge...".
(Ireneo, Adv. Haer., I, 26).

"...Gli Ebioniti, pertanto, seguendo unicamente il Vangelo che è
secondo Matteo, si affidano solo ad esso e non hanno una conoscenza
esatta del Signore...". (Ireneo, Adv. Haer., III, 11).

"...costoro pensavano che fossero da rifiutare tutte le lettere
dell'apostolo (Paolo), chiamandolo apostata della legge, e servendosi
del solo Vangelo detto secondo gli ebrei, tenevano in poco conto tutti
gli altri...". (Eusebio di Cesarea, Hist. Eccl., III, 27).

"...(I Nazareni) accettano unicamente il Vangelo secondo gli Ebrei e
chiamano apostata l'apostolo (Paolo)...". (Teodoreto, Haer. Fabul.
Comp. II, 1).

"...Essi sono Giudei che onorano Cristo come uomo giusto e usano il
Vangelo chiamato secondo Pietro...". (Teodoreto, Haer. Fabul. Comp.
II, 2).

Ma questi ebioniti, nazorei (o nazareni) ed ebrei, altri non erano che
gli esseno-zeloti o i discendenti degli esseno-zeloti che si erano
messi a tavola col Messia e avevano spartito il vino e il pane con
lui, poco prima del suo arresto sul monte degli ulivi, e coi quali
Paolo si era sempre trovato in conflitto al punto da essere
considerato "uomo di menzogna" sia nei suddetti vangeli
giudeo-cristiani, sia nei documenti qumraniani come il Commentario di
Abacuc [vedi R.Eisenman "James the brother of Jesus"]. Ed è contro di
loro che si è scatenata, per secoli, una severa censura storica ed
ideologica, finalizzata agli interessi del riformismo neo-cristiano e
della istituzione che di esso si era fatta rappresentante.


David Donnini - http://www.etanali.it/

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