Il rapporto Guru / Discepolo e l'unione fra Maschile e Femminile


Affermava Ramana Maharshi di non avere alcun discepolo… e questa affermazione è sicuramente corretta dal punto di vista di un vero maestro, che ha superato il senso dell’individualità separata. Infatti per lui non esiste null’altro che il Sé di cui ogni cosa è la forma manifesta, ed il Sé è presente in tutto ciò che si muove nello spazio e nel tempo. 

Ma dal punto di vista empirico egli accettava che una “persona” –cioè un’entità ancora identificata con il nome forma- si considerasse suo discepolo…. Insomma è il discepolo che fa il Guru ma il Guru non può fare discepoli.

La stessa cosa diceva la mia madre spirituale Anasuya Devi quando –giocando con le parole- confessava candidamente “Io non ho shisya (discepoli) … ho solo shisu (figli)” e con queste parole confermava il suo amore materno per tutto e per tutti. Ed in verità avveniva la stessa cosa anche per Ramana il quale considerava benevolmente ogni creatura come farebbe un padre verso i propri figli.

Certo, da parte di un maestro pensare di avere degli allievi sarebbe come dire che si crede ancora in una scala di valori, in una gerarchia, che è sempre frutto di un senso di separazione. Ma come avviene nel sogno, in cui pur essendo tutti i personaggi sognati lo stesso sognatore, esistono apparenti differenze di rango e posizione fra le varie “entità”, talvolta accade che una di esse funga da insegnante all’altra (pur essendo la stessa identica cosa, ovvero immagini…). Nel sogno accettiamo queste differenze ed anche nello stato di veglia (che è un’altra forma di sogno ad occhi aperti) possiamo accettare di svolgere una mansione, come in una società egualitaria accetteremmo di fare un lavoro che ci sia congeniale, fra pari grado. 

A questo proposito mi viene in mente una storiella raccontata dal mio Guru, Swami Muktananda. In un club di ricchi potevano essere accettati solo i ricchi, e gli stessi aderenti svolgevano perciò i vari servizi interni, chi come direttore, chi come cameriere o scopino, chi come portinaio o addetto alla segreteria. Tutti erano parimenti milionari e non si vergognavano di fare ognuno la sua parte per il mantenimento del club. Questo stato di cose potrebbe rappresentarsi anche nella nostra società, se fosse realmente illuminata, in cui l’accettazione delle differenze verrebbe vista come un gioco delle parti e null’altro.

Ciò vale anche nel rapporto di una coppia spirituale, in cui non esiste una valenza specifica attribuita al ruolo od al genere.. pur continuando a manifestarsi al suo interno le qualità reciproche stabilite dalle proprie naturali propensioni e dalle tendenze innate.

Così l’uomo può continuare a restare uomo, senza doversi effeminare, e la donna può continuare a restare donna, senza doversi mascolinizzare…. e la “coppia spirituale” compie il suo scopo… di essere due in Uno.

Paolo D’Arpini

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