La via del mezzo sderenato - "..conoscere la mente, per non farsi imbrogliare dalla mente..."

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Diceva Ramana Maharshi: "... è importante conoscere la mente, per non farsi imbrogliare dalla mente..", questo in risposta alla domanda se fosse necessario studiare i meccanismi mentali che in fondo sono solo rappresentazioni dell'io individuale e quindi sinonimo di illusione. In effetti se non comprendiamo i trabocchetti e le trappole che la mente può tenderci, per farci intendere di essere lei la matrice del nostro io, non potremo mai disincagliarci dal meccanismo dell'identificazione con l'agente (l'io empirico). Pertanto è utile e  necessario conoscere le caratteristiche archetipali da ognuno incarnate. 
Tra l'altro è meglio  prendere coscienza delle qualità psico-fisiche che caratterizzano la nostra "persona" (maschera egoica)  in modo da non essere impreparati alle evenienze.
Da quando esistono le categorie , da quando cioè nella società umana sono nati i concetti di alto e basso, buono e cattivo,  maschile e femminile, luminoso ed oscuro, si è sempre cercata una via integrativa che potesse rendere comprensibile  l’interrelazione di quelle forze che sempre co-agiscono in tutte le mutazioni.
Ad esempio la fede Buddista è definita “la via di mezzo”, c’è  pure il detto cristiano “dell’ama gli altri come te stesso” o la dottrina della “fratellanza universale” dei vari ordini filosofici.  Questo farsi prima ascoltatori e poi rielaboratori integrativi, questo continuo accettare le possibilità presenti all’occasione  senza spingere per una soluzione precostituita è la mia via di mezzo. Occorre però che la verità delle  intenzioni sia messa al vaglio dalla prova dei fatti.  Allorché esaminiamo il modo in cui ci poniamo nel mutamento scopriamo immediatamente se il nostro sentire ed agire è veramente in sintonia,  facente parte del movimento in  atto (e ciò indipendentemente dal risultato ottenuto) oppure è solo frustrante recitazione…. 
Per quanto mi riguarda debbo dire che  il mio approccio verso la società, è quello del "mezzo sderenato" (come si dice a Roma), considerando i perbenisti attivi come Yang e gli sderenati passivi come Yin.   Essere un mezzo sderenato mi da la possibilità di non assumere un seggio, di restare un modesto uomo qualunque, ed allo stesso tempo mi permette di interloquire con entrambe le categorie, quella delle persone impegnate e intellettualmente preparate e quella dei semplici e comuni uomini di mondo, posso così capirne le ragioni ed in parte condividerne le scelte ed essere accettato come un ipotetico compagno di strada. Questo significa anche che, parlando del mio particolare metodo di conoscenza, ovvero la "Spiritualità Laica", spontaneamente simpatizzo con chi vuole e può condividerlo ma anche con coloro che  non vogliono aver nulla a che fare con queste “fantasie”.   
E’ vero, la vocazione missionaria ne patisce,  il prodotto  non si vende bene, ma almeno ci si sente liberi di non esserci noi stessi venduti. 
Paolo D'Arpini


Osho, la sua pazzia... la sua saggezza



Un paio di anni dopo la dipartita di Osho (precedentemente conosciuto
come Rajneesh), ricevetti una lettera da Majid Valcarenghi (un suo
seguace) che mi inviava le bozze del libro Operazione Socrate, in cui
si analizzano gli ultimi momenti di vita di Osho, nel testo si dava
evidenza al fatto che il maestro potesse essere stato avvelenato dalla
CIA, durante la sua permanenza in carcere negli USA. Majid mi chiedeva
di scrivere un mio pensiero su Osho, per la pubblicazione sulla sua
rivista, cosa che feci volentieri, il testo si intitolava "Ad
Memoriam" ed in esso parlavo dei retroscena, osservati da uno
"spiritualista laico" quale io ero, e delle conseguenze della
"predicazione" di Osho nel mondo... Ma qui vorrei inserire alcuni miei
ricordi personali sul come "non incontrai mai Osho nemmeno una volta"

Ricordo nel 1973, quando visitai l’India per la prima volta, che
giunto il tempo del ritorno -durante l’attesa della nave Andrea Doria,
veterana della marina passeggeri che compiva il suo ultimo viaggio
prima del disarmo- restai a Bombay per un paio di mesi facendo la vita
dello sderenato (o sadhu, monaco itinerante o mendicante se
preferite). Ero già stato toccato dallo Spirito e non potevo far altro
che aspettare che “quella cosa” di cui sapevo essere l’espressione
prendesse possesso di me. Un’attesa senza speranza si chiama, poiché
se c’è speranza non è attesa è solo aspettativa.


Mi capitò un giorno di incontrare delle belle ragazze italiane che
andavano vagando per ristorantini a spettegolare. Erano tre, come le
tre Grazie, e le avvicinai sorridente ma cosa strana non rimasero
affatto affascinate dalla mia persona… Dovete sapere che in un modo o
nell’altro le donne sempre mi amano, non con questo che esse mi
trovino particolarmente appetibile dal punto di vista sessuale,
semplicemente mi vogliono bene e mi ascoltano con interesse… Sono un
affabulatore ed anche come “cercatore spirituale” –malgrado vivessi in
totale astinenza- di solito ottenevo un buon successo.

No, quelle tre avevano solo pensieri per Osho, continuavano a parlare
di lui come tre innamorate del loro amante, rivelavano tutti i loro
giochi amorosi ed i loro desideri nei suoi confronti. Insomma debbo
dire che mi sentii un po’ invidioso e quasi quasi mi venne l’idea di
andare a sfidarlo in casa, quell’Osho, lì a Poona nel suo ashram che
si trova a pochi chilometri da Bombay. Fortunatamente per me mi
beccai, a forza di frequentare ristorantini sfiziosi, una bella
epatite virale A e dovetti perciò rinunciare alle mie velleità per
restare in catalessi nell’albergaccio in cui aspettavo “l’evento” (non
sapevo nemmeno io bene cosa, qualsiasi cosa o nulla).

Ebbene riuscii a scamparla, allora, tornai in Italia, e poi ancora
numerose volte in India e non pensai più di andare da Osho. Ma i
discepoli di Osho continuarono a perseguitarmi ed a cercarmi in tutti
i modi, me li trovavo davanti ovunque, sia che andassi a
Tiruvannamalai, a Jillellamudi od a Ganeshpuri, sia che restassi a
Roma a fare il “santo” in via Emanuele Filiberto oppure che entrassi
nel vortice alternativo di Calcata con tutte le sue tentazioni e
devianze. Questi discepoli di Osho erano e sono i miei amici più
simpatici ed affini, sono completamente pazzi ed inaffidabili. “Qualis
pater talis filius” dice l’adagio, e mai come in questo caso è vero.

Osho stesso fu un’esagerazione in tutti i sensi. Guru Maharaji si
faceva 12 Rolls Royce? Ed Osho 120… Muktananda fondava qualche Ashram
in giro per il mondo? Ed Osho fondava addirittura una nuova
Città-Stato (nell’Oregon). Il successore di Bhaktivedanta rinunciava
al sannyasa e si sposava una sua devota? E la segretaria di Osho,
molti dicono anche amante, scappava con tutti i soldi della cassa.

Osho quando parlava era una macchinetta infernale inarrestabile (i
suoi scritti possono riempire un'intera biblioteca), oppure taceva per
anni di fila. Prima aveva parlato bene di tutte le religioni, facendo
un discorso sincretico, poi finì per dire che tutte le religioni sono
finte. All’inizio si pose come Guru ed infine negò di avere qualsiasi
discepolo. I suoi seguaci poveretti subirono un bel lavaggio del
cervello e coloro che resistettero –probabilmente- ne uscirono fuori
veramente sanati dalla malattia del divenire e dell’apparire. Non sta
a me giudicare comunque la condizione di questi miei fratelli, sapendo
che ognuno di noi ha il suo destino e le sue pene…

Paolo D’Arpini


Alcuni pensieri di Osho sulla morte

“Si dovrebbe accogliere la morte con gioia... è uno dei più grandi
eventi della vita. Nella vita, esistono solo tre grandi eventi: la
nascita, l’amore e la morte. La nascita, per tutti voi, è già
accaduta: non potete farci più nulla. L’amore è una cosa del tutto
eccezionale... accade solo a pochissime persone, e non lo si può
prevedere affatto.
Ma la morte, accade a tutti quanti: non la si può evitare. È la sola
certezza che abbiamo; quindi, accettala, gioiscine, celebrala, godila
nella sua pienezza.

La morte è semplice svanire nella fonte. La morte è andare nel regno
di ciò che non è manifesto: è addormentarsi in Dio.
Di nuovo tornerai a fiorire. Di nuovo rivedrai il sole e la luna, e di
nuovo e ancora... fino a quando non diventi un Buddha, fino a quando
non riuscirai a morire in piena coscienza; fino a quando non sarai in
grado di rilassarti in Dio consciamente, con consapevolezza. Solo
allora, non esiste ritorno: quella è una morte assoluta, è la morte
suprema.”

“Se mi hai amato, per te, io vivrò per sempre. Vivrò nel tuo amore. Se
mi hai amato, il mio corpo scomparirà, ma per te, io non potrò mai
morire. Anche quando me ne sarò andato, so che tu mi verrai a cercare.
Certo, ho fiducia che tu verrai a cercarmi in ogni pietra e in ogni
fiore e in ogni sguardo e in tutte le stelle. Posso prometterti una
cosa: se mi verrai a cercare, mi troverai... in ogni stella e in ogni
sguardo... perché se hai veramente amato un Maestro, con lui sei
entrato nel Regno dell’Eterno. Non è una relazione nel tempo, dimora
nell’assoluta atemporalità.

Non ci sarà morte alcuna. Ιl mio corpo scomparirà, il tuo corpo
scomparirà, ma questo non farà una gran differenza. Se la scomparsa
del corpo creasse una pur minima differenza, dimostrerebbe soltanto
che tra noi non è accaduto l’amore.”



OSHO
MAI NATO
MAI MORTO
HA SOLO VISITATO
QUESTO PIANETA TERRA
11.12.1931
19.01.1990

Il cambiamento inizia dal magazzino degli attrezzi usati...

Vorrei ora raccontarvi una storiella,  cerco di essere breve.  



Una volta in una società futuribile in cui tutto era informatizzato e meccanico, un funzionario che si era stufato del solito tran tran  inutile e del vuoto migliorismo funzionale di una società quadrata, chiese di essere trasferito  dal suo livello relativamente alto di attività ad un livello più basso, quello dei lavori manuali. 

Così fu mandato come operaio  addetto alla manutenzione delle strade e lì iniziò per lui una nuova vita, un contatto diretto con le cose che prima non conosceva. La fatica era tanta e non c’erano soddisfazioni o riconoscimenti e spesso i suoi colleghi di lavoro erano  persone che non vedevano più in là del loro naso. 

Egli notò che c’era un grande spreco di mezzi dovuto al fatto che non ci si prendeva dovuta cura degli attrezzi che spesso venivano lasciati sporchi a fine lavoro o sotto la pioggia. 

Nella guardiola dove lui dormiva c’era anche lì un computer, ovviamente era tutta informatizzato, come dicevo prima, ed egli notò che c’era una voce fra le varie nello schema preformato in cui  inviava il riporto giornaliero alla centrale che diceva “suggerimenti”, ovviamente era una voce quasi inutile in quanto nessuno leggeva i suggerimenti di un manovale, ma lui cominciò  scrivere i suoi appunti sullo spreco di mezzi dovuto all’incuria, e siccome ormai era tutto gestito da un computer centrale e gli amministratori ed i politici si basavano su quanto indicato in esso per governare al "meglio" il mondo (una sorta di ”Gallup” proiettivo delle informazioni), quando il computer centrale iniziò a dare indicazioni sulla necessità di prendere dovuto cura degli attrezzi pena la perdita di risorse preziose….. iniziò un processo a catena in cui quello che saggiamente di volta in volta veniva consigliato dal nostro uomo qualunque, passando dal computer centrale,  veniva recepito dal governo mondiale e  le “sagge ragioni” sulla gestione delle risorse divennero pian piano elementi di un congegno per il cambiamento della  società….           
E’ solo una favola? Chissà…..?

Paolo D'Arpini


Lettera virtuale ai silenziosi compagni di viaggio bioregionale....



Dipinto di Franco Farina
Ho notato che talvolta quando si dice qualcosa di vero ed innovativo, su internet, anche confidandolo semplicemente  a qualche amico, come te che leggi,  quella stessa cosa viene ripresa e diventa un argomento di discussione importante…. 

L’uomo in questo ultimo secolo è divenuto il peso più grande per il pianeta  Terra, siamo troppi  ed inquiniamo tremendamente e rubiamo spazio al selvatico. Tutto ciò  è innegabilmente vero, non posso però proporre soluzioni finali e sperare nell’armageddon, come molti illusi fanno, per risolvere il problema  del mantenimento di una civiltà umana degna di questo nome.    Nell’ecologia profonda si indica sempre  la condizione presente come base di partenza per il successivo cambiamento o riparazione….  considero però che questa società non potrà durare a lungo ed è bene che vi siano delle “nicchie” di sopravvivenza, dalle quali ripartire con nuovi paradigmi di civiltà in cui mantenere un equilibrio fra uomo-natura-animali (dice una poesia: o si salvano o si perdono insieme).  
A questi livelli di sopravvivenza “bruta” mi riferisco quando parlo dell’esperimento  bioregionale, dove tutto il male e tutto il possibile bene sono presenti in egual misura. 

Qualsiasi sia il luogo in cui viviamo, in mezzo alla natura ed al selvatico o dentro una città della società consumista. Con la presenza di tutti gli elementi della finzione e della verità, come in ogni esperimento alchemico che si rispetti. Anche se non è il nostro compito quello “di salvare il mondo” sento che è giusto lavorare a questo scopo. Siamo sul filo del rasoio e solo la vita potrà indicarci la direzione, al momento opportuno. L’idealismo non serve a nulla! Non siamo membri di una nuova religione, siamo semplici esseri umani che hanno capito di far parte del tutto... Siamo gli ultimi dei moicani ed i primi precursori, senza regole o comandamenti da rispettare, le nostre decisioni sono semplici aggiustamenti di una navigazione a vista, nel tentativo di individuare vie di uscita dall'enpasse in cui ci troviamo. Infatti a che servono i “principi” nella vita quotidiana, nella sopravvivenza quotidiana del giorno per giorno, salvando il salvabile senza rinunciare alla propria natura?…. 

Mentre l’umanità virtuale è subissata da annotazioni, direttive, informative di ogni genere e tendenze da riempimento del vuoto (come fossimo circondati da tanti animali da compagnia) il silenzio di alcuni compagni di viaggio mi consola, mi fa supporre che forse anch'essi stanno meditando sul da farsi e riflettendo senza pronunciarsi.  Ed anch’io spesso son costretto ad una cernita “censurante”, anche se non amo usare questa parola…. talmente tante sono le informazioni fasulle che ricevo nel continuo bisbiglio telematico.  In effetti il problema di internet è proprio l’eccesso informativo che diventa futilità, per questo mi piace l’idea della lettera non lettera, dell’esserci e non esserci, di trasmettere  pensieri e sentimenti in cui non vi sono “assunzioni”. 

Paolo D'Arpini

Nell'infinito e nell'eterno non esistono strade


Nello spirito, nella coscienza, così come nel cielo, non c’è percorso e quindi anche parlare di spiritualità laica sottintendendo che  questo  sia un modo di impostare la ricerca interiore, attenendosi a delle norme o respingendone altre, è pura vanità, è finzione.
Tutto avviene per conto suo, sulla base di una spinta evolutiva interiore, credere in una via e pensare di essere nel giusto è la prerogativa di ogni percorso. Ma non serve nemmeno indicare le incongruenze di questa o quella religione, di questo o quel credo. Finché c’è qualcuno che crede in una  religione non si può far a meno di riconoscere che per lui la verità del sè è  un miraggio. Credere in questo o credere in quello è solo credere. Ma possiamo affermare di “credere” nell’esistenza, di “credere” nella nostra coscienza?
Noi esistiamo e siamo coscienti, non crediamo di esserlo.
L’io è un segno,  ognuno di sé dice “io sono”,  questo segno è comune a tutti, il resto è solo pensiero aggiunto.  L’io è lo stesso  per tutti. Essendo questa la verità a che serve legare l’io ad una specifica forma pensiero, ad un concetto?  Tutto è nell’io.  La forma individualizzata dell’io è come la coscienza di una cellula nel corpo.  Ovviamente nella consapevolezza di sé, come  organismo unitario,  quella cellula è solo un aspetto, una  base esperienziale dell’io. Ed allora dov’è la differenza fra  l’individuo ed il tutto? Quell’io da cui ogni pensiero emerge e che è in grado di riconoscere ogni pensiero è lo stesso io in cui tutto si scioglie.
Quando dormiamo percepiamo molti personaggi, li vediamo separati da  noi, consideriamo  noi stessi e gli altri come separati, ma è così realmente? Possiamo ragionevolmente affermare di essere separati dai personaggi del nostro sogno.
Risvegliarsi alla conoscenza di sé è  chiamare questo fatto “spiritualità laica” è solo un modo di dire, dal punto di vista dell’esperienza  non può essere dato un nome, quindi  anche la spiritualità laica è una descrizione superficiale dell’indescrivibile.
Diceva  un maestro zen “il dito che indica la luna non è la luna”. 
Paolo D’Arpini