Treia - Come abbiamo vissuto il "Riciclaggio della Memoria"



La manifestazione "Riciclaggio della memoria" che da un paio di mesi Paolo stava organizzando a Treia, si è svolta venerdì 31 ottobre 2014 nel migliore dei modi, come sempre. E' stata bella piena anche se un po' faticosa. Ora che tutto è finito, la stanchezza si fa sentire. Veramente avevamo cominciato a "festeggiare" il giorno precedente, con l'arrivo di amici, vecchi e nuovi, prima Ettore Stella da Follonica, Stefano Panzarasa da Moricone, membro storico della Rete Bioregionale Italiana, e Sonia Baldoni, la Sibilla delle Erbe da Jesi.

Al mattino di venerdì abbiamo cominciato con una "escursione" erboristica all'orto, dove, negli ultimi due mesi, erano cresciute abbondantemente erbe spontanee e piantate di tanti tipi: malva, sonchus, parietaria, tarassaco, picrys, achillea, viburnum, speragna, calendula, salvia, rosmarino ed altre. Sonia come al solito, ci ha deliziati con le sue descrizioni facendoci toccare tutto con mano e facendoci notare come le piante, a seconda della posizione, del terreno e forse anche delle intenzioni e i sentimenti del proprietario, possano differire. 


Poi c'è stato il pranzo condiviso e una passeggiata digestiva per la bella Treia. Alle 16 e 30 siamo andati al Comune per allestire con l'aiuto di Euro, l'usciere comunale,  la sala Consiliare, della cui concessione ho poi ringraziato l'assessore Spoletini che presenziava in vece del Sindaco Capponi. Nel frattempo era arrivata anche la bravissima Gigliola Rosciani con un bel cesto dei suoi prodotti agricoli bioregionali e piatti pieni di leccornie da lei preparate. Michele Meomartino (moderatore) è arrivato con Fabiola Serafini e Amerigo Costantini, artista, scultore, scrittore abruzzese e sperimentatore di un sistema di "comunicazione" con le piante che gli ha dato risultati inauditi. Avevamo invitato poi Carlos  di Campofilone con Isabella ed il loro Hang Drum, uno strumento molto particolare e dalle sonorità suggestive, che vi consiglio di ascoltare... ( https://www.youtube.com/watch?v=xk3BvNLeNgw). 


Il prof. Enzo Catani, archeologo,  e Alberto Spurio Pompili restauratore di dipinti,  sono stati anche loro dei nostri, con interessanti relazioni. La prima relativa al valore della memoria storica e alla consapevolezza ecologista, la seconda uè stato un invito a prendere coscienza del valore della canapa, che ha innumerevoli usi e possibilità di utilizzo, e potrebbe essere coltivata a Treia, come lo fu un tempo.  Alla manifestazione era presente anche uno scultore treiese, abitante a Passo di Treia, Rolando Sampaolesi, che ha esposto alcune sue bellissime opere in legno e del quale ho letto un paio di poesie. Gli interventi si sono susseguiti,  contemporaneamente alla proiezione delle belle immagini fotografiche di Nazareno Crispiani. Il pubblico ha seguito i discorsi  con interesse  anche se abbiamo notato,  purtroppo,  che i treiesi erano poco rappresentati. Ci sono stati diversi interventi e stacchi musicali: oltre a quello dell'Hang Drum, quello di tre ragazzi che fanno parte della Banda di Treia, molto bravi, che hanno aperto e chiuso la manifestazione, nonché le canzoni ecopacifiste tratte da poesie di Rodari  cantate da Stefano Panzarasa, che ha sottolineato il motivo per cui ha voluto esserci e cioè dare un riconoscimento a Paolo per il suo lavoro nello studio e  tentativo di diffusione del  Bioregionalismo. Io ho in poche parole raccontato la mia storia con Paolo e con Treia ed il mio rapporto d'amore con questa cittadina in cui mi sento a casa. Paolo ha concluso parlando della motivazione di questo incontro: una specie di "iniziazione"  o di "battesimo", un rito per sentirsi finalmente, completamente a casa in questo luogo. Si è paragonato ad un paguro che, ogni tanto cambia casa, ed ora  -come gli ha detto alla fine l'amico Alberto Meriggi - può considerarsi, finalmente,  figlio di Treia.

Abbiamo terminato l'incontro  facendo una visita alla adiacente pinacoteca, di cui non conoscevo nemmeno l'esistenza e infine godendo di un brindisi ben augurale e delle bontà  preparate da Gigliola che ci hanno saziato quasi completamente.
Poi di corsa nell'orto di casa per celebrare con Sonia la Vigilia di Ognissanti e poi concludere, nella sala di meditazione, con  alcuni canti devozionali ed altre musiche con i suonatori presenti.

Un caloroso ringraziamento va a tutti i partecipanti (ed anche a chi non ha potuto partecipare) ed a me e Paolo che abbiamo voluto questo incontro, dedicandoci attenzione ed amore!

Caterina Regazzi
Circolo vegetariano VV.TT. 


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Sevizio fotografico di Caterina Regazzi, Simonetta Borgiani e Fabiola Serafini




















































Guarire dall'illusione della separazione...

“I am here to make gurus, not disciples.” (Nisargadatta Maharaj)
Ricordo "quell’odore" da ospedale psichiatrico che vi si respirava ma in realtà era un ospedale in cui recuperare la propria integrità e la coscienza di sé. Basta con le proiezioni mentali, desideri e speranze, solo un’attenzione tersa diretta all’Io. A quel punto di consapevole presenza che non poteva più essere ignorato. Trascurare l’Io per rincorrere sogni ed immagini da film? Che follia era mai stata quella?
Eppure per i primi 29 anni trascorsi della mia esistenza terrena era accaduto che avessi identificato me stesso con gli eventi vissuti… ed ora, improvvisamente, mi trovavo ad osservare l’incongruità di questo atteggiamento. In seguito l’avrei definito: illusione!
Certo, quell’ashram di Ganeshpuri in cui ero capitato, per dimostrare a qualcuno la mia intelligenza ed il mio valore nell’agire, ora mi restituiva il senso dell’Essere, privo di orpelli… e mi poneva di fronte a me stesso.
Un processo alquanto doloroso, in alcuni momenti di ribellione, un “percorso di guarigione“ che mi sbatteva davanti agli occhi, continuamente e costantemente, la mia pretesa di sentirmi sano, vivo e vegeto, ma in un mondo di matti… Macché non erano gli altri ad essere matti, il folle ero io che mi ero lasciato illudere e trascinare nella trama del film… Ed in mezzo a tutto quel malessere giocoso eccola lì, la figura totalmente libera del Guru. Quel me stesso perfetto ed intoccabile che mi sorrideva ironico. Da ciò la mia certezza di poter guarire da quello strano male autoassunto.
Insomma, aldilà di ogni mia scelta me ne stavo quieto in quel sanatorio spirituale, con il solo apparente scopo di distruggere il personaggio che premurosamente mi ero costruito addosso negli anni. Sgrullandomi di dosso le paure e i desideri e le speranze di diventare qualcun altro…
In quale compito di guarigione ero incappato.. e senza spiegazione ricevuta, solo una comprensione vagamente intuitiva del come funzionasse la cura, eppure stava accadendo che…
L’unica “consolazione” razionale (per il mio intelletto sconvolto), che mi aiutava a capire il perché fosse necessario togliersi le croste di dosso, la trovai nell’illuminante libro scovato per “caso” nella ex stalla che fungeva da dormitorio, si trattava di “The spiritual teaching of Ramana Maharshi”.
In esso non si parlava di religioni e nemmeno di Dio. Si parlava di cinematografo e di come io mi fossi trasformato da semplice spettatore in uno dei personaggi proiettati nel film.. la descrizione impietosa del mio deludente stato era motivo di esaltazione ed allo stesso tempo di atroci sofferenze.. Avevo sprecato nell’illusione gli anni migliori della mia esistenza, mi ero trasformato in un cartoon inseguendo l’ipotetica realtà del mondo.. Com’era potuto accadere?
E mentre apprendevo, leggendolo in quel libro che sembrava fatto apposta per me, un ricettario medico senza parafrasi, – scritto in forma semplice e indiscutibile- sul qual’era stata la mia condizione e qual’era la mia vera posizione, ecco che davanti ai miei occhi risplendeva costantemente la forma beata ed intonsa della mia vera natura, era il volto sorridente di Muktananda, la dimostrazione vivente di chi io sono realmente! Nessuna parola scambiata, nessuna istruzione (o quasi), solo i miei occhi sbarrati davanti ai suoi nel riconoscimento della Verità….
Eppure, chissà, se non avessi letto quelle semplici frasi di Ramana Maharshi forse la mia mente non avrebbe accettato il risveglio, forse avrei deciso di essere capitato in una “maison de fous”, in un manicomio, in cui vedevo aggirarsi zombies allucinati e beati, oppure completamente accigliati e tristi.
La pratica senza la teoria oppure la teoria senza la pratica sono deleterie.. ma per fortuna allo Sri Gurudev Ashram di Ganeshpuri convivevano entrambe.
Paolo D'Arpini
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Sul silenzio e sulla solitudine.
Domanda: E’ utile il silenzio?
Risposta: Il silenzio interiore è abnegazione e l’abnegazione è vivere senza il senso dell’io (ego).
Domanda: E’ necessaria la solitudine per un cercatore spirituale?
Risposta: La solitudine è nella mente dell’uomo. C’è chi riesce a vivere in mezzo alla gente mantenendo tuttavia la perfetta serenità mentale, un simile individuo è sempre in solitudine
Domanda: Cos’è il silenzio?
Risposta: Quello stato che trascende la parola ed il pensiero è il silenzio. Esso è la Parola Eterna, che s’interrompe con la parola, perché le parole impediscono questo linguaggio muto. Un linguaggio che è continua eloquenza. In quella condizione terminano le parole e prevale il silenzio.
Domanda: Come facciamo allora a comunicare i nostri pensieri al prossimo?
Risposta: Ciò diventa necessario solo quando persiste il senso della dualità
Domanda: Perché non vai in giro in mezzo alla gente a predicare la Verità?
Risposta: Come fai a sapere che non lo faccio? Predicazione consiste forse nel salire su un pulpito arringando la folla attorno? Predicazione è semplice trasmissione di conoscenza e questa avviene attraverso il silenzio. Cosa pensi di un uomo che ha ascoltato un discorso per ore senza esserne stato impressionato sino al punto di voler cambiare la sua vita. Paragonalo ad un altro che siede in presenza di un saggio e quando se ne va ha modificato completamente la propria concezione di vita. Cosa è meglio? Predicare ad alta voce senza risultati o stare in silenzio facendo emergere la forza interiore? Ed inoltre, come nasce il linguaggio? Esiste una Conoscenza astratta dalla quale si genera il senso dell’io, che a sua volta origina il pensiero ed il pensiero produce la parola. Così la parola sarebbe la pronipote della fonte originaria. Se ritieni che la parola possa produrre degli effetti giudica da te quanto maggiormente possa essere efficace il silenzio interiore. Ma la gente non comprende la pura e semplice verità, la Verità della quotidiana, onnipresente ed eterna esperienza. La Verità appartiene al Sé. Esiste qualcuno che non è consapevole del sé? Ma a questi non piace sentire la verità, mentre sono curiosi di conoscere cosa c’è nell’aldilà, vogliono sapere del paradiso, dell’inferno e della reincarnazione. Poiché amano il mistero e non la Verità. Perciò le religioni provvedono a soddisfare le loro richieste. Ma alla fine, qualunque sia il percorso adottato, si deve tornare al Sé.
Perché dunque non dimorare nel Sé qui ed ora? Per speculare sull’altro mondo il Sé è necessario e non è differente da questo. Persino l’ignorante (nel senso di illuso dalle forme ritenute come reali e separate) quando percepisce gli oggetti li vede soltanto nel Sé.
(“The spiritual teaching of Ramana Maharshi”)

La giusta misura - Ecologia e spiritualità dell'immediato

Comportamenti ecologici e morali  e la giusta misura.. quel che si può fare tentando di "migliorare" la società e noi stessi..


Ho conservato per anni un vecchio dipinto nel Tempio della Spiritualità della Natura, prima di abbandonare Calcata al suo destino e trasferirmi a Treia. Era solo una banale copia, rappresentava un alchimista (od un semplicista) che mostra la giusta dose di sostanza da porre nell’intruglio medicinale ad un giovane apprendista. Il gesto eloquente, la mano alzata con il palmo rivolto in avanti, significante “basta così”. Né troppo né poco!

Le cose cambiano e non serve portarsele appresso, la memoria è utile se ci aiuta a non ripetere gli errori del passato, contemporaneamente è una zavorra se ci impedisce di compiere nuove esplorazioni e ricerche.

Anni ed anni di meditazione… per scoprire la giusta misura? Macché essa è nella semplicità della risposta immediata che siamo in grado di dare al momento opportuno, rispondendo del tutto spontaneamente e semplicemente all’esigenza contingente, nel presente….

Non sappiamo i motivi per cui le cose avvengono come avvengono e dal punto di vista etico ed umano possiamo anche non essere d’accordo con ciò che siamo costetti a vedere ed a compiere nella società. Così dobbiamo sentirci liberi da ogni schema, non temendo di cadere in contraddizioni e incongruenze.

Ricordo quando Nisargadatta raccontava le conseguenze del suo lavoro di venditore di beedies, le sigarette indiane, che causano il cancro anche più delle altre, e pure lui le ha fumate per anni e tra l’altro è morto per un cancro alla gola… ma tutto ciò non ha cambiato il suo “vero stato”.

Ricordiamo sempre che possiamo solo compiere ciò che è per noi possibile… Non ciò che riteniamo dovrebbe essere… E poi come dovremmo porci di fronte ai dettami della legge di causa effetto? Come dovremmo considerare la favola della reincarnazione…? Libero arbitrio, predestinazione, scelte, miglioramenti voluti o causali?...

A volte anch'io racconto delle storie, che stanno nella mente duale, che rientrano nel funzionamento empirico nel mondo, esprimendo un modo razionale di percepire la vita. Ma nel mio intimo so che son tutte favolette, so che la verità non ha bisogno di giustificazione alcuna, né di spiegazioni. Uso dei sotterfugi.. per poter guardare le persone negli occhi e scorgere la loro anima, toccare il loro cuore e sentirmi una parte di loro. Questo è ciò che è possibile per me…. e vorrei che così fosse anche per chiunque altro!

Assomiglia ad una commedia? C'è una nota di finzione in questo atteggiamento? Beh, occorre pur adattarsi al sogno.. finche si sogna.. A che serve districarsi dalle considerazione sul bene e sul male con giustificazioni che infine rientrano nell'illusione duale? Tanto vale adattarsi e compiere quei gesti che sono in armonia con la nostra natura umana, che ci consentono di poter condividere al meglio le nostre emozioni ed i nostri pensieri con il prossimo... Sia pur che ciò non è necessario per “essere quello che realmente siamo”.

Ma perchè limitarsi, perchè non amare il proprio sogno (come diceva saggiamente il Vate)? In verità l’armonia interno/esterno non è basata su ciò che entra dalla bocca (come diceva Gesù) ma da ciò che ne sorte, ovvero come riusciamo a centrarci al nostro interno, ritrasmettendo parole ed amore all’esterno.

Ramana Maharshi a una signora che le chiedeva come potersi migliorare nei comportamenti consigliò la via del "tendere verso", finché la cosa non avvenisse da sola, senza intenzione…

Paolo D'Arpini



"Look inside yourself...." - Within us is the truth

The spiritual lay master is one who shows the way, who says “look inside yourself.”
Within us is the truth, which is also embodied and revealed by the true teacher, this truth can not be “transmitted” but must be recognised internally, where the true teacher resides. The truth is not an object of knowledge but the knowing itself. The knowledge that makes possible all knowledge .. That consciousness is our true nature and is the intrinsic nature of the teacher who showed it to us.
The same thing happens in the physical DNA. The son is the outgrowth of what are the father and mother. There may be variations in genetic mixing, but the substance of life, the ability to manifest life, is the same in the child as in the parents. All life’s forms fully embodies the ability of life to manifest itself in that likeness. And it is right and proper that the relationship between parents and children takes place according to a pattern of continuity and mutual solidarity.
From the physical point of view, the roots are always in the father and mother … that represent the union of the spiritual fluids of Heaven and Earth that we inherited and that are within us. For this reason, even when the “parents” are no longer we can not really say that they died, because they exist in us as the message of their “spirit”, as intelligence and consciousness.
Ramana Maharshi claimed to have no disciple … and this statement is certainly correct in terms of a true teacher, who has overcomed the separate sense of individuality. In fact, for the wise there is nothing but a “center” (or Self) of which each and every thing is the manifest form and this “centre” is present in everything that moves in space and time. But from an empirical standpoint even Ramana accepted that a “person”(an entity that is still identified with the name-form) could look on him as a disciple …. So is the disciple who is making the guru.
The same thing said my spiritual mother Anasuya Devi when -playing with words- candidly confessed “I have not shisya (disciples) … I just have shisu (children)” and with these words confirmed his mother’s love for everything and everyone. And in truth the same thing happened to Ramana who considered sympathetically every creature as would a father with his children.
Of course, if an untrue teacher think that he himself is imparting the truth to the students this would implie that he believes in a scale of values ​​in a hierarchy, that is the result of a sense of separation. But as happens in dreams, as though all the characters dreamed are the dreamer, there are apparent differences in rank and position among the various “entities”, it may look sometimes that one of them acts as a teacher to another (although they are exactly the same thing …).
In the dream we accept these differences and also in the waking state (which is another form of daydreaming) we agree to perform a role, between peers. In this regard I am reminded of a tale told by my spiritual father, Swami Muktananda. In a club of rich people could be allowed only the rich, and members of the same place took on the various internal departments, who as director, who as a waiter or brush, some as janitor or secretary office. All of them were of course millionaires and not ashamed to do each his part for the maintenance of the club. This state of affairs could also be represented in our society, if it were truly enlightened, as the acceptance of differences would be seen a play and nothing else.
Our life is not separate from life. Our individual existence is part and parcel of the total Existence, which are inextricably linked, inseparable.
In Hinduism there is a beautiful image that depicts the Creator, Brahma, attached by an umbilical cord to Vishnu. Vishnu in this case represents the One from whom all things proceed. And we too are linked to the navel of the cosmos, as we are an expression of the wholeness of life, dependent on the source.
In a form of Zen meditation we concentrate on the navel, hara in Japanese, which is considered the meeting point of life energy, ki. In Tantra this point corresponds to the chakra where the fire burns eternal, Manipura (solar plexus). According to other schools based on the mutual connection with the infinite (of which we are the manifestation) this centre is indicated in other areas or chakras in the base of the spine, heart, or in the pineal gland on the top of the head (fontanelle).
No matter its supposed “location” -which is just a convenience. Say, how can be “located” the One that contains everything? What matters is that in each of us there is certainly a “center”, a root that nourishes our being.
We may not be aware of it but it “is” and is expressed in the form of Consciousness.
To feel away from this “center”, which is the bridge that unites our individual existence with the Universal, is to feel separate.
“Cast of this world, plunged in alienation” in the words of Sartre. A world hat is considered strange and rootless with existence. Hence a state of perpetual anxiety, we strive to satisfy our urges with desires and choices, but the result is only frustration, fear, uncertainty and struggle … and we knows only defeat! In fact, we may not rebel or dispose of the life when we ourselves are an emanation of it.
Therefore lay spirituality’s achievement is to “dwell” in ourselves. In letting go deep down to the roots of the I.
Paolo D'Arpini

La luce della Coscienza si riflette nella mente e crea il mondo

“Luce e luce riflessa condividono la stessa natura fondamentale, come esistenza e coscienza, spirito e materia, sono un’unica cosa”
Prova dell'abito allo specchio

La mente è uno specchio che riflette la luce interiore per dirigerla verso gli oggetti esterni, questi oggetti vengono identificati tramite la capacità di emissione ed intensità dello specchio. Da bambino adoravo giocare con uno specchietto rubato a mia madre, con esso catturavo la luce solare e la dirigevo, attraverso una finestrella, dentro una cantina buia. Solo ciò che era illuminato dal fascio luminoso era visibile mentre il resto delle pareti e delle cose accatastate sul pavimento restava oscuro. Esattamente allo stesso modo funziona la mente, che illumina il mondo esterno.
Per analogia vediamo che la sorgente di luce, il sole, è come la consapevolezza suprema mentre lo specchietto è la mente. Ma la mente stessa, in effetti, è cosciente, essa è l’aspetto riflettente della coscienza. Dico “riflettente” per indicare la sua propensione a rivolgersi verso l’esterno. La mente non è altro che la capacità della coscienza di esteriorizzare se stessa.
Questo processo proiettivo lo possiamo osservare durante il sogno, in cui la mente da se stessa ed in se stessa crea un intero mondo, con varie entità in rapporto fra loro incluso un personaggio identificato dal sognatore come se stesso. Questo è il gioco della mente che fa apparire la forma dell’io e dell’altro. A questo punto il dubbio sorge “com’è possibile che la consapevolezza possa venire intrappolata e limitata dalla mente?”. In verità la limitazione della coscienza non è reale, allo stesso modo in cui la luce del sole non risulta compromessa o menomata dallo specchio, parimenti la pura consapevolezza è intonsa e non divisa dall’operato immaginario della mente individuale.
Dove sono interno ed esterno per la coscienza suprema che entrambi li compenetra e li supera? In realtà la sola idea di una tale separazione è impensabile nella sorgente di luce che unicamente è. Prendiamo ad esempio il sognatore che non viene menomato o compromesso dal suo sogno, essendo lui stesso ogni cosa proiettata nel sogno ed allo stesso tempo non essendone alcuna, parimenti la coscienza individuale e la pura consapevolezza si pongono negli stessi termini di relazione.
Una volta, in risposata alla domanda “cosa impedisce all’indifferenziata luce della coscienza di rivelarsi direttamente all’individuo che l’ignora”, il saggio Ramana Maharshi rispose “come l’acqua in una pentola riflette il sole nei limiti ristretti del contenitore, così le tendenze latenti (predisposizioni mentali), che agiscono da mezzo riflettente, catturano l’onnipervadente ed infinita luce della coscienza presentandosi nella forma del fenomeno chiamato mente”. Questa risposta del saggio ci fa percepire come la mente non sia altro che un agglomerato di pensieri, in cui primeggia il pensiero “io” dal quale sorge la falsa nozione di un individuo separato, che in realtà è illusorio tanto quanto la presunta separazione di un personaggio sognato rispetto al sognatore.
Attenzione, consideriamo però che il tentativo di comprendere intellettualmente questo processo è solo uno degli aspetti del “sogno” e non la verità. Infatti i saggi indicano la verità come ineffabile ed incomprensibile alla mente (intendendo la mente separativa ed esteriorizzata), tanto quanto l’immagine riflessa nello specchio non può capire o sostituirsi alla persona che vi si riflette. Un riflesso è solo riflesso non è sostanza.
E dunque com’è possibile giungere alla “sostanza” che noi siamo?
Colui che osserva, essendo in se stesso coscienza, non può mai divenire un “oggetto”. L’oggettivazione è una componente del dualismo esternalizzato: “conoscitore, conosciuto”. Ma questa dualità può essere ricomposta in un “unicum” in cui, scomparendo la diversificazione (ovvero l’elemento riflettente rivolto all’esteriorizzazione) permane la semplice “conoscenza”. Questa è la consapevolezza indifferenziata per ottenere la quale Ramana Maharshi consiglia: “Quando l’io (ego o mente) rivolge la propria attenzione alla sua sorgente, le tendenze o predisposizioni mentali accumulate si estinguono ed in assenza di queste (che sono il mezzo riflettente) anche il fenomeno originato dalla “riflessione”, ossia la mente, scompare e viene assorbito nella Luce della sola Realtà (il Cuore)”.
Eppure malgrado sia in fondo semplice e diretta l’auto-conoscenza resta un esame alieno ai più. La gente rifiuta di conoscersi, preferisce il mistero e l’ignoranza, evidentemente a causa di quelle famose tendenze mentali accumulate dalla mente, stipate nella memoria e nell’immaginazione.

Paolo D'Arpini

Il percorso è già la meta... - Riflessioni sulla spiritualità laica


Ascesa

Quando ricevo un  intervento -sui temi della spiritualità e dell'ecologia-  mi rallegro molto, soprattutto  se esprime concetti integrativi e propositivi, rispetto a quanto da me espresso. Questo, secondo me è il vero atteggiamento in sintonia con l’Ecologia Profonda.. Ovvero mai porsi in antagonismo bensì cercare di cucire e collegare i vari modi di pensiero, le varie esperienze ed azioni, affinché esse rientrino in un contesto unitario ed universale.. Come di fatto è.
Dovete sapere che solitamente quando scrivo non sento mai, o quasi mai, l’impulso di affermare qualcosa di definitivo, di realmente corrispondente ad un mio sentire..  le mie sono  espressioni libere, pescate nell’umore del momento e valide al solo fine di poter raccontare una storia “sensata”. Insomma quel che dico è un raccontino, una descrizione di un sogno.. e  i sogni sono imponderabili e fantasiosi.. (salvo che non ci si metta Freud, la Smorfia o l’I Ching a dare una spiegazione)… 
Apparentemente adoro "l’idea" della scalata come simbolo verso la conoscenza.. (e questa è l’immagine che solitamente si da all'ascesa, in tutte le tradizioni spirituali), ma nella mia natura umana (e di conseguenza anche in quella spirituale) permane una fondamentale “pigrizia” (intesa in senso zen) verso l’agire per l’ottenimento di una conoscenza. Mi piace molto il detto Zen: “Seduto senza far nulla, viene la primavera e l’erba cresce da sé…”.
In verità il Sé è indescrivibile a parole, è aldilà dei sentimenti e delle emozioni, pur comprendendo sino al più piccolo movimento della coscienza.. Tutto comprende ma di nessuna cosa assume la forma. Il sé è il substrato perennemente presente che consente alle forme di manifestarsi. Ed in questo senso in “esso” non c’è preferenza non esiste scala di valori per cui il sé possa prediligere un discorso rispetto ad un altro. Non vi sono argomenti nobili e metafisici da preferire rispetto alla materialità ed alla contingenza empirica. Ogni cosa ha il suo valore ed il suo significato nella manifestazione che le è propria e confacente alla condizione vissuta. Perciò l’intensità e il senso di presenza che si sperimenta salendo su una vetta equivale al riposo contemplativo. Ad ognuno secondo le congeniali caratteristiche di ognuno.
Stasera stavo rileggendo una poesia sul Sé (lasciatemi in amoroso pegno dall’amico fraterno Upahar) ed intanto mi chiedo: c’è mai stato un momento in cui io non sia stato me stesso? Cos’è questo io che così fortemente sento e percepisco, questo io è la sola realtà che conosco, è coscienza assoluta e indivisibile. Tutto ciò che appare in questa coscienza, le immagini che io osservo, tutto ciò che si manifesta davanti all’io è un oggetto, questo corpo è un oggetto, questa mente è un oggetto, le forme variopinte del mondo sono solo oggetti.. dell’io. Le qualità, le sensazioni, le attrazioni e repulsioni che appaiono nel campo della coscienza, che io sono, sono solo proiezioni come lo sono i sogni che appaiono al sognatore. Se io non sono chi è? Ma poi… come posso lontanamente immaginare separazione fra l’io e le proiezioni dell’io, tutto si risolve nella stessa realtà, unica ed indivisibile, inspiegabile perché non vi è nessuno a cui poterla spiegare…. Questo io sono in cui anche l’ipotetico altro riconosce come io sono….
Paolo D'Arpini

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“Mi vedi? Chi sono io? Sono l’albeggiare della luce divina. Sono l’amore, l’amante e l’amato. Radiando in ogni luogo. Io solo esisto. Il mio posto è l’assenza di ogni posto. Mi sono nascosto sotto un velo… per meglio godere dello spettacolo.
Dimmi fratello, chi dovrei cercare? Chi potrei trovare?
Io solo esisto. Io sono quell’assoluta essenza priva di limiti, dinnanzi alla quale l’intelletto ammutolisce, come un bambino.  Certi mi chiamano Allah… altri Signore. Accetto ogni attributo ed ogni nome. Per me il tempio, la moschea o la chiesa sono uguali.   Né dualità né non-dualità si associano a me. Oltre me nulla era, è o sarà.
Tutte le rose e tutte le spine del mondo non sono altro che me. Sono l’amico ed anche il nemico.  Se c’è una riva da questa parte, sono io. Se c’è una riva da quella parte, sono io. Sono il legame del legato e la libertà del libero…. È la mia bellezza che tocca il cuore del mondo, sono io che do fragranza alla rosa, brillantezza ai gioielli, i belli debbono a me il loro potere d’attrarre.
Do l’oro al sole e l’argento alla luna, e loro danzano in ubbidienza, e le stelle della Via Lattea brillano chiamandomi, ma dove potrei andare? Sono già presente nei loro occhi!  Niente esiste a parte me, nessun mondo, nessun Dio, nessun devoto.
Quando l’uccello del cuore è preso nella trappola degli attaccamenti, tutto questo accade in me solo. Il bene il male che significato hanno per me? Sono colui che si inchina e colui al quale l’inchino viene offerto. Sono il maestro ed il discepolo, dentro ogni cosa trascendo ogni cosa. Io solo esisto” (Swami Ramatirtha)

Hypnos... e l'apocalisse dietro l'angolo (in un quadro)

Hypnos parla alla logge riunite  della sua opera Michael's Gâté ispirata a Cagliostro

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All’approssimarsi del primo millennio “già voci correvano tra la gente
di nascite mostruose, di grandi battaglie combattute nel cielo da
guerrieri ignoti a cavalcioni di draghi (…) Che doveva importare della
patria e della società umana ai morituri, aspettanti d’ora in ora la
presenza di Cristo giudicatore? (…) Battezzarsi e prepararsi alla
morte, era tutta la vita. Alcuni, a dir vero, moveansi: cercavano
peregrini la valle di Josafat, per ivi aspettare più da presso il
primo squillo della tromba suprema”. Così Carducci immaginava il
capodanno dell’anno mille, riprendendo una diffusa opinione dei suoi
contemporanei che voleva l’Europa medievale traversata da turbe di
penitenti salmodianti e atterrita dall’imminenza della fine del mondo.

Dopo quella data, la paura della fine del mondo non abbandonò le genti
cristiane, riaffiorando ciclicamente in occasione di gravi crisi,
l’invasione dei Mongoli nel XIII secolo la carestia del 1315-1318 e la
peste nera del 1347-1351. Ancora in epoca moderna, la tensione
escatologica, alimentata da motivi sociali e religiosi, sarà
all’origine di movimenti apocalittici che scuoteranno alle fondamenta
le strutture politiche e religiose occidentali, dai contadini di
Thomas Muntzera gli anabattisti di Giovanni di Leida fino ai
giurisdavidici di David Lazzaretti, il profeta dell’Amiata. Nelle
crisi che si succederanno nella storia dell’Occidente i “fanatici
dell’Apocalisse” leggeranno i “signa” e “portenta” dell’imminente fine
del mondo, preceduta da una “generica era nuova”, l’età dello Spirito
secondo la dottrina del monaco calabrese Gioacchino da Fiore
(1130-1202) essendo “già suonata” l’ora di Gesù.

Nonostante le censure ecclesiastiche nei confronti del millenarismo,
la progressiva presa di distanze della teologia ufficiale dal
“pensiero prospettico” dell’Apocalisse, e il suo depotenziamento
simbolico operato con la lettura spiritualistica di Agostino, il libro
profetico mantenne intatta la sua carica eversiva nei confronti del
secolo, rinnovando ad ogni generazione “l’afflato utopico” di
liberazione dai vincoli terrestri, garantendo agli scontenti e ai
delusi un risarcimento morale per il male patito. Promessa di
giustizia, di rinnovamento e di felicità che si mantenne
sull’orizzonte dell’Occidente cristianizzato fino alle soglie del XX
secolo, quando il progresso scientifico e tecnologico e l’affermazione
di nuove idee di liberazione, laiche, spazzarono via le antiche
cosmogonie.

La tensione escatologica si sarebbe così assopita al fondo della
coscienza dell’uomo civilizzato, esorcizzata dai successi della
scienza e dall’indubbio miglioramento delle condizioni materiali,
salvo riaffacciarsi come pulsione “irrazionale”, quando il sistema di
rassicurazioni e di certezze su cui poggia la sicurezza dei
contemporanei ha iniziato a mostrare preoccupanti segni di cedimento.
Antichi timori sono così tornati ad affacciarsisull’orizzonte della
società occidentale cristianizzata: al pari di certe superstizioni,
date corrivamente per morte, ma oggi più che mai vive, le vetuste
profezie attribuite a Giovanni conoscono una nuova fortuna in
coincidenza delle profonde crisi che hanno interessato il primo
ventennio del nuovo millennio.

Hypnos provocatoriamente con la sua Porta sull’oltremondo vuole
richiamare l’attenzione alle potenzialità presenti nonost,ante tutto
in questi tempi calamitosi, quando “il mondo sembra attendere
l’irreparabile” e le persone sono chiuse nella strenua difesa del
proprio benessere. L’apertura di hypnos porta l’uomo a varcare la
paura della fine, a superare la crisi della presenza nella storia che
si manifesta non più in una coerente cornice mitica in grado di
riscattare culturalmente il dramma esistenziale, ma dando luogo a una
miriade di apocalissi individuali, caratterizzate da patologie in cui
dominano “i deliri intimi, microcosmici, le sindromi sensitive, i
contenuti persecutori, di colpa, le attribuzioni di significato
riferite alla propria persona” ovvero da quel disagio improvviso che
la moderna psichiatria definisce attacco di panico: “quando tutto
sembra venir meno all’improvviso, crolla la certezza della salute; il
vissuto è descritto come fine del mondo, del proprio mondo interno; il
corpo tremante si raccoglie, si restringe in posizione fetale e si
accovaccia sul pavimento cercando in questo geotropismo di attaccarsi
strettamente alla terra per attenuare il terrore”.

Nel XXI secolo, dunque, l’opera dell’artista Hypnos vuole testimoniare
come non si può escludere la reviviscenza di antiche paure
escatologiche alimentate dalla potenza suggestiva delle profezie
escatologiche più o meno autorizzate, amplificate dalle contraddizioni
reali della società globalizzata.Ma nello stesso tempo la sua
provocazione intende spingere la nostra immaginazione in avanti, n un
contesto radicalmente mutato rispetto all’anno mille, dove i timori
apocalittici tornati ad allignare nella nostra società
“desacralizzata” ,vengono mutati di segno e trasformati in un nuovo
sogno di rigenerazione.

Come dimostrano i casi emblematici degli Stati Uniti, del Canada,
della Svizzera e della Francia, ma anche del Giappone,
l’industrializzazione, lo sviluppo tecnologico, il consumismo, non
portano a “un’integrale secolarizzazione della cultura”, ma al
contrario provocano forme più o meno marcate di rigetto e di fuga
nella spiritualità ; sotto questo aspetto , i culti esotici, medianici
e spiritisti, e i singolari ibridi come la NewAge, rappresenterebbero,
parafrasandoGomes Consorte-Nogueira Negrao “agenti di sacralizzazione
della razionalità inerente alla vita urbano-industriale”.

L’opera di Hypnos si pone al limite come un’offerta di sacro “non
conformista” in costante aumento , che si pone come alternativa al
vuoto esistenziale ,alle dilacerazioni dell’io e alla crisi delle fedi
tradizionali, compresa quella nel progresso e nella scienza. Essa
tuttavia non richiede l’adesione a credenze misticheggianti e
afantasiose dottrine esoteriche, come il culto “sincretista”
ufologico, che mescola l’avventismo cristiano all’immaginario
televisivo e cinematografico, non presuppone l’appartenenza a gruppi
emarginati dal processo di industrializzazione, come nel caso degli
ottocenteschi movimenti salvifici del Sertao brasiliano e di David
Lazzaretti.

L’opera di Hypnos al contrario si fonda sull’apparente contraddizione
tra la massima integrazione economica, sociale e culturale de
apocalittici involontari e il loro disagio senza prospettiva che
talvolta si può tradurre in un radicale progetto di destorificazione
per continuare “a vivere”.

Paolo Portone
Storico delle religioni


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