Progetto per l'incontro collettivo ecologista nei giorni del solstizio estivo 2015

“Ciò che conta non è fare molto, ma mettere molto amore in ciò che si fa”. (Madre Teresa di Calcutta)

Montecorone - Zocca (Mo)

Tutto il pensiero mediterraneo è orbitato per millenni attorno alla concezione unitaria dell’Universo con la Vita. La realtà sensibile, concreta, stabile, impersonificata in oggetti solidi (i primi simboli della religiosità sono… sassi, pietre… posti nei luoghi di passaggio) è strettamente interconnessa con la vita nelle sue manifestazioni essenziali. Acqua e terra assieme compiono il miracolo. Corporeità, sangue, linfa, nascita, morte, sessualità. Da qui il concetto di Grande Madre, che dando la “vita” simboleggia il rito della natura che rinasce senza posa e senza fine.
In sintonia con la tradizione anche nel 2015 festeggiamo il massimo fulgore della luce, il solstizio estivo. Tutto combacia perfettamente, in questo momento magico, in cui sono celebrati i cinque elementi: etere, aria, fuoco, acqua e terra. Nel primo pomeriggio dell’incontro, quando il sole è caldo e l’aria dolce, sulle sponde di un ruscello, compiremo il tradizionale lavacro sacrale della vigilia di San Giovanni, sinonimo di purificazione mentale e corporale. Più tardi in un luogo preposto si svolge il rito propiziatorio davanti al fuoco, con salto della fiamma ed espressione di desideri (le donne sono pregate di vestire gonne larghe). E più tardi ancora ci sarà l’osservazione delle stelle ed una meditazione silenziosa, assieme a esercizi di respirazione. Questo è il senso della cerimonia che riproponiamo a Montecorone (Zocca), per ricordare la supremazia della natura su ogni artifizio dell’uomo.
Sull’etimologia di Giugno gli studiosi sono concordi che questo è il mese dedicato a Giunone (Iuno), la dea dell’abbondanza e delle messi, sposa legittima di Giove, per questa ragione venivano raccomandate le nozze durante il mese di giugno. Questo è anche il mese delle ciliegie, un frutto rosso e turgido e dolce, come il liquido fertilizzante di Giunone….
Durante le due giornate solstiziali  si terranno vari sharing di esperienze e proposte di carattere sociologico, bioregionale ed ecospirituale. Gli incontri saranno arricchiti da canti e poesie e musiche arcaiche. Il cibo vegetariano verrà convivialmente cucinato e condiviso ed ognuno parteciperà alla conduzione dell’incontro, collaborando alla sua buona riuscita.
Insomma è un incontro “caleidoscopico” in cui coniugare i vari elementi che compongono l’esistenza materiale con quelli del pensiero. Natura, arte, ecologia, filosofia, canto, danza, cibo… Un Incontro Collettivo Ecologista.
Paolo D'Arpini - Rete Bioregionale Italiana
Info. bioregionalismo.treia@gmail.com

Una memoria su Calcata Calcutta Kolkota


Calcata "scenografica"

Molte volte ho evidenziato la somiglianza glottologica fra la nostra Calcata e la Calcutta del Bengala. Infatti cercando su Google alla voce Calcata appare anche Calcutta, dato che entrambe si pronunciano allo stesso modo. Ma la differenza è chiaramente etimologica, infatti nell’800 allorché gli inglesi si insediarono nel golfo del Bengala costruirono una città che potesse rappresentare l’impero in quelle lande. 


La città fu edificata sulle rive del fiume Gange nei pressi di un villaggio consacrato alla Dea Kali, “Kali Kat” (luogo di Kali), perciò la nuova città prese il nome da quel luogo
preesistente ma siccome gli inglesi non sapevano (o non volevano) pronunciare chiaramente quella parola, per loro ostica, traslitterarono il nome in Calcutta (pronunciando Calcata). 


Passarono gli anni e siccome una lingua è in perenne mutazione gli indiani che mal pronunciavano l’inglese ulteriormente storpiarono la dizione facendo diventare la città Kolkota (che presentemente è stata ufficializzata anche nelle carte geografiche).

Diversa è la storia della denominazione della nostra Calcata, che significa “schiacciata”,  essendo un acrocoro più basso di tutto il pianoro circostante ed invisibile alla vista, infatti chi visita Calcata vedrà che da qui non si osserva alcun orizzonte se non il cerchio delle piane che circondano il paese. In dialetto locale il posto veniva chiamato “Corgata” ma evidentemente la pronuncia fu italianizzata nella oggi familiare Calcata. Ma i suoi vecchi abitanti continuarono a chiamarsi corgotesi o cargatesi.

L’orografia di un territorio contribuisce a creare anche la sua storia, perciò il fatto che Calcata (in questo caso la nostra Calcata) fosse nascosta ed isolata per secoli e secoli contribuì alla conservazione di una mentalità e di un sistema di vita. Sino agli anni’60 del secolo scorso il paese era chiuso in se stesso, non avendo vie di comunicazione che lo congiungessero al resto della Tuscia, ed i suoi abitanti erano un clan circoscritto (una “tribù perduta”direbbero gli ebrei..) con propri costumi e regole, insomma la piccola comunità era doppiamente “cargata” (calcata) sia in senso metaforico che geografico….

Ed ecco che, a partire dai primi anni ’80 del secolo scorso, per mia “colpa”,  e di alcuni altri, improvvisamente il paesino si vide proiettato nei media e divenne pian piano un “villaggio di culto”, un culto alternativo e stranamente a metà strada fra il vecchio ed il nuovo, anzi il nuovissimo…. Giacché Calcata è divenuta il simbolo di un modello alternativo di vita in continua fase sperimentale….. il motto che avevo lanciato per significare il valore di tale sperimentazione sociale era: “Una, cento, mille Calcata!”

Mi sovviene ora di un detto di T.A. Edison, l’inventore della lampadina elettrica, il quale dopo aver compiuto innumerevoli esperimenti, tutti falliti,giunse al millesimo tentativo e disse al suo gruppo di lavoro, a mo’ d’incoraggiamento: “stavolta è la volta buona, questo esperimento riuscirà, ne sono sicuro…” (ricordo un altro evento che accadde prima di una difficile battaglia in Giappone in cui il principe, sfavorito dal numero, lanciò in alto una moneta dicendo ai suoi soldati “se viene testa vinceremo se viene croce saremo sconfitti” uscì testa ed i guerrieri entusiasti vinsero facilmente la battaglia, subito dopo l’ufficiale di campo si recò dal condottiero e gli annunciò “non ci si può opporre al destino, abbiamo vinto!” al che il duce esclamò “davvero…?” e gli mostrò la moneta con due teste…!), scusate la divagazione, stavo parlando della lampadina… ah, sì, quel millesimo esperimento riuscì e nacque la prima lampadina elettrica…

Ma per la creazione della società ideale di Calcata non si è mai arrivati a quel punto “critico”, in cui la va o la spacca, siamo anzi ben lungi, e la sperimentazione è ancora molto imperfetta, addirittura sembra che Calcata sia uscita dai binari della "idealità", sembra che Calcata sia entrata nell’ambito della finzione scenica, dell’esperimentare per scena… (o per denaro, come nell’isola dei famosi…).


Paolo D'Arpini



Spiritualità laica: "Accetta quel che sei per scoprire chi sei.."

“Maestro è colui che ti porta ad essere il tuo stesso Maestro!” (Saul Arpino)



Diceva Ramana Maharshi:”Conosci la tua mente, per non farti imbrogliare dalla mente”  Vedi quante immagini appaiono in un sogno, quanti personaggi che si cercano e si sfuggono, che si amano e si odiano? Ma il sognatore è uno solo….

Per risvegliarti a te stesso da qualsiasi punto o identità ti riconosci nel sogno, accetta quella, fermati a quella e da lì osserva e scopri l’osservatore. Non aspettare illudendoti che potrai svegliarti se stai sognando di essere qualcun altro, un personaggio più preparato o più simpatico… Qualsiasi sia il personaggio del sogno nel quale ti ritrovi, accettalo.

Osho diceva: “Accettarsi per quel che siamo è la base per il risveglio spirituale”. Infatti accettarsi non significa rinunciare alla propria crescita, anzi vuol dire che accettiamo di crescere partendo da ciò che siamo. In questo modo la crescita non sarà una scelta bensì un moto spontaneo. E’ la fioritura dell’intrinseca perfezione che trova una forma espressiva, senza sforzo, senza rabbia o frustrazione, senza sacrificio, senza uso della memoria,senza espiazione, senza speranza…

Puoi dirmi allora dove si pone, a cosa serve, quella sofferenza, quell’autocontrollo, che sin’ora ha accompagnato la tua ricerca? Dov’è l’utilità proiettiva dell’io che cerca se stesso? Quanti sono gli “io” in te? Dov’è quell’uno che cerca e l’altro che è cercato? Dove sono le vite trascorse arrancando verso la perfezione e dove sono quelle vite future per completarla? Cosa significa “io sono giovane, io sono vecchio, io sono maschio, io sono femmina”? Non sei tu presente qui ed ora, pura coscienza, aldilà di ogni distinzione esteriore? E sempre lo sarai!

Ascolta, tu sei sempre, assolutamente, e chiunque nel tuo sogno dica qualcosa di sensato, sei tu a dirlo. Riconosci quel messaggio come tuo, guarda la luna e lascia stare il dito, scopri l’essenza e non lasciarti ingannare dal riflesso..


Paolo D'Arpini



Buddha e buddismo in parole semplici e chiare



Nel mondo attuale conviviamo ormai con molteplici religioni e dottrine
di vita, una tra queste il Buddismo ed il suo stile di vita, che
accompagna nel cammino dell’esistenza i Monaci ed i loro seguaci. Si
narra il che Buddha nacque introno al 465 a. C. da una ricca famiglia
della stirpe degli Shakya che dominava una parte dell’India himalayana. 

Fu allevato e crebbe nel lusso principesco, si sposò ed ebbe
anche un figlio. Ma anche lui conobbe le miserie umane, un vecchio, un
cadavere ed un mendicante.

Queste tristi realtà della vita lo impressionarono notevolmente, tanto
che all’età di 30 anni abbandonò tutto e tutti per dedicarsi a
conoscere le cause della miseria, vivendo da eremita, ed alla ricerca
di una soluzione sull’enigma della vita. Capì che la salvezza poteva
trovarla solo nella meditazione personale, e si narra che a 35 anni,
dopo 49 giorni di riflessioni ai piedi di un albero di fico, in una
notte di luna piena del mese di maggio, raggiunse l’illuminazione:
comprese le quattro nobili verità sul dolore, sull’origine del dolore
sulla soppressione del dolore, e sulla via che porta alla soppressione
del dolore. Anima dalla pietà per gli uomini e dal desiderio di
salvarli, seguito da cinque discepoli, per circa quaranta anni
percorse il nord dell’India, insegnando la bellezza della sua
dottrina, il messaggio di speranza e felicità che si raggiunge, con la
conquista del proprio intelletto e della volontà.

Secondo la tradizione il Budda mori all’età di 80 anni, seguito dal
suo discepolo fedele e prediletto Ananda, alla quale lasciò i suoi
saperi ma prima di morire si rivolse ai suoi fedeli dicendo: Ricordate
o fratelli queste mie parole: tutte le cose composte sono destinate a
disintegrarsi! Attuate quindi con diligenza la vostra propria
salvezza!

I Monaci che intendono quindi praticare questa disciplina, per
raggiungere la salvezza, devono attenersi alle seguenti norme morali,
la retta parola, la retta azione, il retto comportamento. Queste
azioni possono essere estese anche ai laici che intendono porre a
motivi fondamentali della loro vita, la tolleranza e l’ amore. Ma dopo
aver appreso le tre verità con costanza e devozione, la quarta verità
indica al discepolo, la via da seguire il raggiungere la salvezza, il
Nirvana (ovvero estinzione), inteso come liberazione dal dolore, e
dalla catena dell’esistenza. Nell'apprendere i principi che regolano
il Buddismo, questa affascinante dottrina, una cosa salta agli occhi
palesemente: anche se di parla di Buddha, e non di Dio, c’ è sempre un
essere superiore sopra di noi che ci insegna ad amare il prossimo,
nella semplicità e non nella ricchezza, preoccupandoci di donare
amore, conforto e felicità senza pensare alle cose terrene, ma alla
salvezza dell’anima e dello spirito.


Rita De Angelis

Laici vegetariani ed etici, sono migliori?

In difesa dei vegetariani e della coscienza laica
Non è raro per noi vegetariani  essere accusati di presunzione e di ostentata superiorità morale, di sentirci migliori degli altri, da parte di alcune persone quando, convinte del loro onnivorismo, subiscono i sensi di colpa a causa della sofferenza indirettamente inflitta agli animali che mangiano o che portano addosso sotto forma di pelli o di pellicce.       
Per capire cosa significa essere migliori occorre stabilire un punto di riferimento oggettivo, un termine di paragone ritenuto più giusto e vantaggioso per il bene comune, per il processo evolutivo civile, morale e spirituale dell’individuo. Se essere migliori significa causare meno male, essere più rispettosi delle regole ed in armonia con il nostro contesto naturale, allora è vero, noi ci sentiamo migliori. Anche se tra il bianco e il nero, come tra il giorno e la notte, vi sono infinite sfumature intermedie, dire che in questa vita non esiste il migliore o il peggiore è come equiparare Gesù a Giuda Iscariota, come dire che il bene ha lo stesso valore del male, che l’uomo virtuoso ha gli stessi meriti del mascalzone.
Tra un uomo dedito al furto ed un uomo onesto nessuno ha dubbi ad indicare il secondo come migliore.           
Tra colui che impegna il suo tempo ad interessarsi solo dei suoi problemi e colui che spende gran parte della sua vita e delle sue risorse umane e finanziarie per aiutare chi soffre, quest’ultimo è sicuramente migliore.
Tra un individuo sensibile al dolore e alla morte di un suo simile ed uno che per sensibilità umana e senso di giustizia fa sue anche le sofferenze di qualunque creatura non appartenente alla sua specie, quest’ultimo è sicuramente migliore.            
Tra chi ha una coscienza in grado di conficcare elettrodi nel cervello di un gatto per studiarne le reazioni e colui che considera tutto questo un abominio, sicuramente quest’ultimo è migliore.
Tra chi ritiene giusto uccidere barbaramente una volpe, un visone o un coniglio per strappargli l’unica pelle e poi fare di questi miseri corpi alimento per altri animali e colui che ritiene tutto questo una mostruosità, quest’ultimo è sicuramente migliore.
Si provi a dimostrare il contrario, si provi a dimostrare che i due in questione abbiamo gli stessi valori morali, lo stesso senso di giustizia, la stessa sensibilità umana, la stessa intelligenza positiva. Si provi a dimostrare che sotto questi aspetti noi universalisti-vegetariani-animalisti siamo come gli altri e forse ci convinceremo di non essere migliori. Se ci sentiamo migliori perché condividiamo maggiormente la sofferenza universale, allora abbiamo la presunzione di sentirci migliori, rispetto a chi percepisce solo il dolore dei suoi simili.
Ma la presunzione non è parte della nostra visione delle cose, né ci gratifica apparire “migliori”  o più saccenti. Noi siamo gente virtuosa, che ama la non violenza, la giustizia che vorremmo estendere ai nostri parenti animati. Siamo più sensibili è vero, abbiano una percezione più ampia della libertà e della giustizia, del rispetto cui ha diritto, per legge naturale, ogni essere vivente per il solo fatto di esistere.
Noi abbiamo come obiettivo la crescita integrale dell’uomo, la ricchezza dei valori fondamentali dell’esistenza. Sappiamo che un albero non cresce in un giorno; sappiamo che ognuno, per infinite circostanze di ordine sociali e culturali, appartiene ad un suo livello evolutivo; sappiamo che tutte le grandi innovazioni conoscono tre fasi: prima la derisione, poi la considerazione ed infine la condivisione.
Il nostro intento è di far pressione affinché esca dal suo antropocentrismo che genera effetti devastanti non solo nei confronti degli animali, ma dell’ambiente e della coscienza umana resa sempre più insensibile e indifferente verso la condizione di chi soffre perché autorizzata a disprezzare tutto ciò che non è umano.
Il nostro intento è far arrivare agli edifici del Vicariato la nostra
voce, la voce degli animali… e la voce della libera  espressione
spirituale.
Consulta Vegetariana Animalista e Circolo Vegetariano VV.TT.
(Franco Libero Manco e  Paolo D’Arpini)

Agricoltura, autoproduzione e funzionamento della società



Non possiamo pensare di fare tutti gli agricoltori, ci vuole anche, per esempio, chi lavori nei trasporti, qualcuno che lavori in edilizia, qualcuno che faccia il medico, magari naturopata, qualcuno che faccia il dentista, il dentista a sua volta ha bisogno di attrezzi che qualche fabbrica li deve pur costruire, i vasi di vetro per conservare la passata di pomodoro, seppur fatta in casa e così pure quelli per le marmellate……. insomma ho letto tante cose e libri in cui si parla di tornare il più possibile all’autoproduzione, ma l’autoproduzione si può attuare per certe cose, ma non per altre, mi viene in mente la cucitura dei propri vestiti, se uno è capace di farlo meglio per lui, ma costui (o costei) ha comunque bisogno di aghi e fili, almeno, e stoffe e queste cose le producono le FABBRICHE. 

Possiamo fare a meno dell’automobile, è vero, della lavatrice, del cellulare, potremmo fare anche a meno del computer, ma facciamo a meno dei libri? dei treni? dei vestiti? della scuola? E dato che ci saranno delle persone che lavoreranno e lavorano in questi settori di cui secondo me NON POSSIAMO più FARE A MENO qualcun altro si dovrà occupare di produrre il cibo anche per loro.

Mettiamo pure di ricorrere al baratto invece che alla moneta (e quindi eliminare anche le banche e le assicurazioni) ma i campi per essere coltivati non solo per sé hanno bisogno di essere concimati. A cosa pensate che servisse prevalentemente quel piccolo allevamento di bovini (da 2 a 12 animali) che 100 anni fa e anche fino a 10 anni fa c’era in tutti i fondi? A produrre il letame!

Sapete quanti piccoli allevatori si sono rammaricati di dover chiudere le stalle perché magari erano anziani e non ce la facevano più a stare dietro al bestiame e tenere gli animali per la produzione del latte era una rimessa dal punto di vista economico col latte a 30 centesimi al litro? Ma continuavano a coltivare la terra perché credo che chi nasce contadino difficilmente muore “non” contadino e cosa useranno quegli agricoltori per concimare i loro terreni? 

Insomma secondo me o torniamo a vivere nella foresta e a fare i “raccoglitori” e cacciatori (ma allora dobbiamo darci al nomadismo oppure vivere tutti all’equatore) oppure ci rassegniamo basare la nostra alimentazione e quindi la nostra sopravvivenza (leggi: vita) sull’agricoltura (che per me non può essere disgiunta dall’allevamento). 

Caterina Regazzi