Magia della trasformazione nel XIII arcano dei Tarocchi


Arcano XIII nei Tarocchi di Osho

Il XIII Arcano dei Tarocchi non ha nome. Raffigura uno scheletro che stringe in mano una falce; per questo la tradizione ha inopportunamente chiamato questa carta “Morte”.

Il suo numero può essere benevolo e malevolo. Infatti il numero XIII è considerato nefasto e sublime, chiude un ciclo e un altro ne apre.

La morte distrugge la vita, ma nel distruggere tutto, elimina anche la sofferenza e il dolore. Il suo numero rappresenta dunque la sua vera essenza e l’assenza di un nome ricollega questo Arcano a quello del Matto, che ha un nome ma non ha un numero.

L’energia distruttrice dell’Arcano è al tempo stesso rigenerante e rivitalizzante. Solo morendo si può rinascere a nuova vita.  Scelta compiuta con la consapevolezza dell’intelletto (il manico della falce è giallo, colore dell’intelligenza) e con la forza (la lama è in parte rossa, forza vitale, in parte azzurra, forza spirituale). Tutto ciò che è stato meditato nel profondo, ora viene alla luce. L’Arcano lavora nella natura, nella sua natura più profonda e intima.

Con la stessa forza vitale dell’Arcano III cui corrisponde (Imperatrice), vuole ri-appropriarsi della libertà primordiale (il Matto) che è stata soffocata dallo strato ormai inutile di regole, credenze, convinzioni che non sono più valide ma solo limitanti.

Il terreno sul quale lavora è nero. Il nero è un colore alchemico ma anche simbolo dell’inconscio più profondo, colore che ricorda il fango dal quale spunta il loto nella tradizione buddista.

L’ego è domato dal processo di elaborazione in atto.

Sullo sfondo due teste incoronate,una maschile e l’altra femminile, regali in quanto purificate. 

Appoggiandosi a queste lo scheletro procede falciando nel terreno, dal quale emergono alcune mani e piedi (alcuni imperfetti, altri perfetti): il seme germoglia, la purificazione sta portando nuovi frutti, nuova vita. Le quattro lettere ebraiche che compongono il nome divino si scorgono nella parte posteriore del cranio: Yod, He, Vav, He, la cui somma è 26, il numero della divinità di cui l’esatta metà è 13.

La corrispondenza astrologica dell’Arcano XIII è con il pianeta Plutone, Signore dell’Ade, e al segno zodiacale occidentale dello Scorpione (morte e rinascita).

Nella simbologia astrale, è la Luna a rappresentare la morte e la rinascita, comparendo e scomparendo dalla vista 13 volte l’anno. 12 erano gli apostoli,Cristo era il 13; Ulisse era il 13 membro del suo gruppo e l’unico a non essere stato divorato dal Ciclope.

La discesa nel regno dei morti la si ritrova in tutte le opere d’arte a carattere iniziatico, come la Divina Commedia, nei riti di iniziazione è prevista una morte simbolica.

Le profondità abissali della propria natura, chiamate da Jung “caverna degli assassini” consentono all’uomo di guardarsi dentro e per poterlo fare è richiesta una totale e metaforica discesa nell’oscurità.

Nella Kabbala ebraica, il XIII Arcano corrisponde alla lettera Mem: l’entrata nell’assoluto.  Simboleggia l’amore posto al centro del cuore. La sua voce è l’identità dell’Abisso dove giacciono i mondi primordiali.

Angela Braghin

Spiritualità Laica sul Monte Soratte, tra Apollo Sorano e Nisargadatta Maharaj


Paolo D'Arpini in pellegrinaggio sul Monte Soratte nel 2009
Durante il pellegrinaggio compiuto il 27 settembre 2009 sino alla cima del monte sacro Soratte, ove c’era il tempio di Apollo Sorano ed oggi esiste l’eremo di San Silvestro, il papa contemporaneo all’imperatore Costantino (quello che liberalizzò e rese istituzionale il cristianesimo), da una mia accompagnatrice mi fu rivolta a bruciapelo una domanda “…ma tu hai raggiunto te stesso?”. 
In quel momento ho sentito che in qualsiasi modo avessi risposto sarebbe stato improprio… poiché se avessi detto di sì tale affermazione avrebbe implicato l’esistenza di un “io” che afferma di aver raggiunto se stesso (ovvero l’io inferiore che giunge all’Io superiore come intendeva la questionante). Se avessi detto di  no avrei comunque negato una verità evidente… come possiamo non essere il Sé, sempre e comunque?
Chiaramente, da buon scimmiotto e da buon archeologo del Sé, me la sono “cavata”, ispirato da Apollo,  negando ed affermando contemporaneamente, ed allo stesso tempo puntualizzando come ognuno di noi non può far altro che essere il Sé e che il desiderare di esserlo è solo un’ostruzione… e la cosa migliore –come diceva Ramana Maharshi- è di restare tranquilli e quieti senza  cercare di raggiungere un "qualcosa",   centrati nel senso dell’IO, che è la nostra vera identità e natura. Mentre le immagini di sé che appaiono nella mente, e l’identificazione con un io perfettibile,  sono solo una proiezione della tendenza separativa, un’illusione….
Ho perciò accolto con grande gioia lo scritto che segue,  inviatomi da Caterina Regazzi la sera stessa del discorso suddetto,  tratto dal testo "Io sono Quello" di Nisargadatta Maharaj:    
V.: …il ricordo di quelle esperienze meravigliose mi perseguita. Voglio riprovarle ancora.
M.: siccome le rivuoi non puoi averle. L’intensità del desiderio ti impedisce ogni esperienza più profonda. Niente di prezioso può accadere a una mente che sa esattamente ciò che vuole, perché niente di ciò che immagina e desidera ha grande valore.
V.: allora, cosa vale la pena di volere?
M.: il massimo, la felicità più elevata. L’assenza di desiderio è la beatitudine suprema.
V.: …come si va oltre la mente?
M.: i punti di partenza sono molti, ma portano tutti alla stessa meta. Puoi iniziare ad agire in maniera disinteressata, rinunciando ai frutti dell’azione, per poi abbandonare ogni pensiero o desiderio. Ecco, il fattore chiave è l’abbandono. Altrimenti puoi ignorare qualsiasi cosa tu voglia, pensi o faccia, concentrandoti sul pensiero “io sono”, tenendolo fisso in mente. Qualunque esperienza ti capiti di fare, rimani saldamente consapevole del fatto che tutto ciò che può essere percepito è transitorio e che solo l’”io sono” è permanente. Qui ed ora.
 Bombay: Nisargadatta Maharaj  a passeggio

Per una migliore comprensione invito i lettori a  leggere l’esperienza che vissi incontrando il saggio, poco prima della sua “morte”, nel 1981:

Paolo D’Arpini

Storia di Roma... all'osteria!

 
La Storia del vino e delle osterie, si intreccia con il succedersi dei papi. L’interessi di questi era dettato come già visto, dalle numerose entrate che le tasse sul vino procuravano.
Ma per mantenere quasi “intatto” l’equilibrio  dell’oste quasi onesto, ed il bevitore soddisfatto, era necessario  stabilire regole e norme precise. In primis evitare  frodi da parte dell’oste, dall’altra regolare l’uso eccessivo del vino, da parte dell’esuberante popolo romano, che sempre  dopo abbondanti libagioni, e per motivi banali, le faceva degenerare in sanguinose risse con morti e feriti. La principale frode che applicava l’oste stava nel recipiente  usato per mescere il vino,e nell’uso più o meno sapiente, dell’artificio della moltiplicazione dell’acqua.
Le misure comuni usate nelle osterie per servire il vino, erano il congio, il mezzo congio, il boccale, il mezzo boccale o foglietta; solo nel 1580 fu aggiunta la mezza foglietta da Gregorio XIII, nella speranza che l’uso  del vino da parte dei romani divenisse più contenuto.
Questi recipienti erano di terraglia o metallo, di modo tale che potessero essere riempiti non correttamente, per “raggirare” i clienti con la cosiddetta “sfogliettatura” cioè la non completa riempitura del boccale. Proprio per evitare questo malcostume il papa Sisto X Peretti, un francescano di ferro, decise di porre fine ai contenitori nei quali il vino non fosse visibile, e fece fabbricare contenitori in vetro all’ebreo Meier Maggino di Gabriello, di modo tale  che si potesse controllare l’esatta taratura del vino che l’oste gli serviva.
Nel 1588 il pontefice diede ordine, a mezzo di un bando pubblicato, che obbligava gli osti ad utilizzare le nuove misure in vetro. Nascono Così le tipiche misure delle osterie romane, che ancora oggi sono presenti sui tavoli, delle sempre più rare mescite della città.
2 Litri = er barzillai (dall’on. Barzillai che durante le campagne elettorali, usava offrire il vino     in tali recipienti).
1 Litro = tubo o tubbo.
½ Litro = foglietta, o fojetta.
¼ di Litro = quartino, o ½ fojetta.
1/5 di Litro = chierichetto.
1/10 di Litro = sospiro, o sottovoce (era così chiamato perché detto a bassa voce, perché piccolo, o ci si vergognava di non aver maggior denaro).
Sulla scia di Sisto V, altri papi si occuparono dell’accaparramento del vino da parte dei mercanti, con relativo rialzo dei prezzi, ma quando i papi “calcarono la mano”sull’imposta del vino, come Urbano VIII Barberini, per far eseguire i lavori della Fontana di Trevi, prese forma la voce popolare, concretizzando la protesta con il cartello appeso al collo della celebre statua  di Parione, Pasquino, che fu la voce del popolo per molti secoli e così citava:
                                 Urban poiché di tasse aggravò il vino
                                  Ricrea con l’acqua il popolo di Quirino
Questa protesta non impedì a Innocenzo X che per costruire la Fontana dei Quattro Fiumi del  Bernini a Piazza Navona ed innalzarne al centro l’obelisco, impose una tassa detta “gabella” sulla carne, sul sale e sul grano. Al ché Pasquino commentò:
                                   Noi volemo altro che guglie e fontane,
                                   pane volemo, pane, pane, pane!
 Ma per i Romani la maggior “disgrazia” fu il famoso editto con il quale Leone XII della  Genga proibì la consumazione del vino nell’osteria stessa, a meno che il cliente  non consumasse lì’ anche il pasto. Questa proibizione aveva dell’inverosimile per i romani, che usavano ristorarsi, dopo una giornata di lavoro, e magari anche spesso, con un “goccio di vino”. Infatti, se lo si voleva acquistare, bisognava comprarlo, facendoselo passare sopra un  “cancelletto” che doveva chiudere l’ingresso di ogni osteria. Questa proibizione, fomentò verso il papa, un vero e proprio odio popolano. Non che Leone XII, avesse poi tutti i torti, le osterie continuavano ad essere sede di continue risse,lutti, ed è probabile che con questi provvedimenti pensasse di evitarle.
Dai “cancelletti” nacque l’usanza di portarsi da mangiare all’osteria, fino ad allora riservata esclusivamente ai consumatori di vino sfuso, che la frequentavano in ogni ora del giorno e della sera per le esigenze più varie, la sete, le disgrazie,la fatica,le delusioni d’amore, la “gazzarra” con gli anici e strano anche la noia.
Non a caso ancor oggi si dice “bere per dimenticare” o “annegare nel vino”.
La proibizione del papa obbligò gli osti, dopo aver cambiato l’insegna “Osteria con  cucina”, a chiudere un occhio, o tutti e due se il cliente si portava lui da mangiare, ordinando solo da bere. Questa usanza dapprima quasi obbligata, prese  piede nel popolo, che imparò a racchiudere il pranzo o la cena preparati in casa  in una tovaglia con i bordi legati con le punte all’insù, “far fagotto” consumandolo all’osteria. I “fagottari” così li chiamavano a  Roma, contagiarono anche i Piemontesi, dopo il 1870, per quanto mangiare nelle osterie non fosse per loro tradizione.
Il Successore di Leone XII, Pio VIII Castiglioni, fece asportare, con la sua elezione, gli odiatissimi “cancelletti” che furono bruciati dal popolo in festa. Anche se il pontificato durò solo un anno, il popolo romano lo rimpianse per merito di Pasquino con questi versi:
                                                        Allor che il sommo Pio
                                                        Comparve innanzi a Dio
                                                        Gli domandò: Che hai fatto?
                                                        Rispose: Niente ho fatto!
                                                        Corresser gli angioletti:
                                                         Levò li cancelletti…
Rita De Angelis.

Riconoscersi in ciò che è... Immagini ed esperienze in chiave di bioregionalismo, ecologia profonda e spiritualità naturale (o laica)



Paolo D'Arpini nella casarsa di Calcata

Nel 2012 mi scrisse Nicholas Bawtree, caporedattore di AAM Terra Nuova, per chiedermi se volessi  aprire un blog sul portale  della rivista. Conoscevo Nicholas personalmente perché venne a trovarmi una volta a Calcata assieme ad un'amica. In quell'occasione parlammo francamente del movimento ecologista  e bioregionale in Italia e degli sviluppi che stava avendo una nuova forma di spiritualità della natura, da me definita "spiritualità laica".  Già negli anni precedenti collaborai con la rivista proprio sui temi descritti, occupandomi anche di una rubrica "zodiacale" perciò non mi meravigliai quando Nicholas infine mi chiese di continuare la collaborazione in forma "semi-autonoma" attraverso il blog (per la cura di Federica Del Guerra), a cui diedi il nome di "Riconoscersi in ciò che è..",  una descrizione fatta da Osho per indicare la realtà assoluta che ci circonda e nella quale noi tutti siamo. 
Questo che segue è  il primo post pubblicato in cui spiego la "chiave di lettura" del blog:



"Riconoscersi in ciò che è..." - Immagini ed esperienze in chiave di bioregionalismo, ecologia profonda e spiritualità naturale (o laica).

Ogni entità, come ogni persona, ha un suo destino ed un suo percorso di vita. La Rete Bioregionale Italiana, in quanto coordinamento di vari soggetti che si riconoscono nel sentire dell'ecologia profonda e della spiritualità naturale ed ovviamente nell'idea bioregionale, nasce 16 anni fa durante un primo incontro aggregativo, tenutosi nella Tuscia.
chiave di lettura
La nascita della Rete avvenne nella primavera inoltrata del 1996 nel  Parco naturale di Monte Rufeno di Acquapendente (Viterbo), ai confini fra Toscana e Lazio. Io ero presente ed ero una componente di quel primo gruppo e quindi potrei raccontarvi come la cosa avvenne e quali furono  i fatti che precedettero quella formazione  ed anche i fatti che seguirono sino ad oggi. Però lo scopo di questo primo post non vuole propriamente essere biografico e quindi non vorrei troppo soffermarmi su particolari atti ed azioni compiute nella "prima infanzia" della struttura. Anche se alcune parole per descriverne la realtà e la sua costituzione sono  però necessarie.
Già all'inizio degli anni '70 del secolo scorso, anche in conseguenza della rivoluzione del '68, si era andata creando una nuova visione del mondo, della cultura umana e della sue espressioni sottili come la spiritualità o la filosofia e soprattutto di un rinnovato impegno a rivedere le attività dell'uomo nella natura, considerando la visione olistica e la comprensione che l'insieme della vita è una realtà inscindibile.

Questa visione in effetti trova la sua origine nel pensiero antico oggi definito "pagano" in cui si considerava l'esistenza come una espressione di identità differenziate solo dalla funzione ma non nella essenza. Divinità e personalità rappresentavano i modi della natura e le forze che la animano. Ogni cosa insomma è viva e riconoscibile dalle sue attività.  Questo sentire antico, allo stesso tempo connaturato nella mente umana e di tutto ciò che vive nella mente universale, trovò nuove definizioni attraverso le esperienze e le ricerche portate avanti in varie parti del mondo.


Ad esempio negli Stati Uniti questa ricerca prese il nome di bioregionalismo, che è un neologismo coniato da Peter Berg con cui egli intendeva descrivere le forme vitali e naturali in chiave omogenea, consentendone in tal modo il riconoscimento. Quasi contemporaneamente in Europa il filosofo Arne Naess  elaborava i concetti relativi all'ecologia profonda che stabilisce il funzionamento organico dell'insieme.


Ovviamente non poteva essere trascurato l'aspetto sottile che sa riconoscere queste descrizioni e che è in grado di poterle osservare   -come è detto nella scienza moderna:  l'esperimento e lo sperimentatore sono componenti inscindibili del processo sperimentale....- e questa prospettiva viene da me  rappresentata dalla cosiddetta "spiritualità naturale (o laica)", la quale non è altro che l'intelligenza-coscienza che tutto pervade ed in se stessa tutto integra.

Spero con ciò di aver chiarito le premesse che questo blog si prefigge di sviluppare, nel corso del tempo, con una serie di interventi di vari autori che compartecipano alla Rete Bioregionale Italiana.

Gli argomenti, come detto nel sottotitolo del blog, vertono su tutte le attività ed i sentimenti espressi dall'uomo in funzione di una esistenza armonica e simbiotica con l'ambiente di cui egli stesso è parte.
di Paolo D'Arpini - Referente Rete Bioregionale Italiana.

Piramidi e misteri d'Egitto



L’Antico Egitto evoca una civiltà sviluppatasi in una sottile striscia di terra fertile che si estende lungo le rive del Nilo al confine con il Sudan sino allo sbocco del Mediterraneo e riconosciuta come Stato a partire dal 3300 a.C. sino alla conquista dei Romani. I primi insediamenti lungo il Nilo, sono molto antichi, e si calcola che l’agricoltura (in particolare la coltivazione di grano ed orzo), abbia fatto la sua comparsa in queste regioni intorno al 6000 a.C.

E’ la presenza del fiume che rende possibile la vita in una regione così desertica, è il motore primordiale che fa nascere la civiltà urbana e del suo persistere per quasi tremila anni. Le acque del Nilo con le loro piene annuali, non portano soltanto fertilità, ma anche distruzione se non vengono costantemente controllate, incanalate, imbrigliate  e conservate per i periodi di siccità. Proprio per questo nasce l’esigenza di avere uno Stato organizzato, la costruzione di dighe e canali collegate con le acque del Nilo, nasce così il primo Stato della storia, i nomos o distretti, i quali si scontrano ed alleano tra loro sino a formare  due regni, l’Alto Egitto a sud, costituito dalla valle del Nilo, e il Basso Egitto al nord costituito dal delta del fiume.
Nel 3000 a.C. sotto Menes, venne unificato un unico impero con un solo Re dell’Alto Egitto che inaugurò le trenta dinastie dell’Antico Egitto. Tra i monumenti più famosi, vi sono sicuramente le piramidi, tombe di sovrani dalla III alla XII dinastia. Le piramidi più famose si trovano a Giza, vicino alla moderna città del Cairo. La loro imponente presenza  testimonia la forte credenza religiosa  sull’oltretomba. La grande piramide conosciuta come Cheope,è l’unico monumento sopravvissuto alle sette meraviglie del mondo antico. 
L’Antico Egitto raggiunse l’apice  della sua potenza ed estensione territoriale nel periodo del Nuovo Regno, quando i confini dell’impero andavano dalla Libia, all’Etiopia al Medio Oriente. L’Egitto da sempre è considerata terra di grande fascino con le sue credenze e leggende sulle tombe dei Faraoni  e i misteri sulle piramidi, una cosa bisogna riconoscere con certezza a questo popolo, il loro grande impegno nell’anticipare la moderna civiltà, e la passione per la scrittura e pittura come mezzo di comunicazione tra i popoli.
Rita De Angelis

Se ieri è uguale ad oggi... nota di Maggio (da Calcata a Treia, dal 2009 al 2014 c'è poca differenza)

Beh, gli anni passano ma le notizie restano e  possono essere riciclate tranquillamente, tanto succede più o meno sempre la stessa cosa.

Vedo, stravedo... 

Così tanto per divertimento leggete le notizie di una mia velina calcatese di 5 anni fa.

Cari amici, non volevo farvi mancare la mia consueta velina con le ultime novità in campo internazionale, nazionale e locale… ma stamattina avendo già deciso gli argomenti di base mi son visto costretto a cambiare lo stile ed il contenuto in seguito ad un fatto pasquinesco nel quale sono incappato…..

Come al solito mentre mi avventuravo sulla china del paese nuovo per il mio consueto cappuccino caldo ho potuto osservare la montagna indecente di immondizie accumulate all’angolo della strada di Ceciulli, il principale sentiero del Parco. Lì dove stazionano i secchioni a pochi metri dalla piazza Roma sono stati da poco immessi dei nuovi contenitori per la raccolta differenziata, carta plastica e vetro, in aggiunta ai soliti della raccolta indifferenziata che seguono di pochi metri sulla fila.

Ho notato che a fianco del primo contenitore, già traboccante di rifiuti e non svuotato da parecchio tempo, stazionavano pacchi e sacchi e scatoloni con svariati tipi di immondizia, dalla terra dei vasi ai rifiuti alimentari, dai giornali alle suppellettili rotte, dai vetri ai tubi e ferraglie varie…. 


Evidentemente gli sderenati vorrebbero dimostrare la loro buona volontà affiancando il lerciume da loro prodotto ai contenitori della differenziata…. Ma hanno sbagliato merce invece della carta hanno accumulato detriti….. il tutto in bella vista, mentre i contenitori successivi sono lasciati completamente vuoti, forse il loro sderenume non gli consente di fare pochi metri in più…. O forse il loro sporcare è “voluto” (almeno così pare dai volantini affissi dappresso) per “dimostrare che il comune non pulisce…”.



“Pazienza – mi son detto – viviamo in un mondo da incubo, dove c’è un governo lassista come si può pretendere che si rispetti il pubblico decoro?”

Poi salendo lentamente a Canossa (Calcata Nuova) ho meditato sul destino dei nostri “poveri” governanti. Se fossimo stati nel medioevo il misero Berlusca non sarebbe stato accusato di corruzione (vedi cronache recenti) bensì gli avrebbero concesso un’indulgenza plenaria per atti di beneficenza… Infatti è normale che uno sfondato di soldi e potentissimo distribuisca prebende a destra e manca, la sua è generosità e non può essere chiamata “corruzione”. Le accuse rivolte al Cavaliere sono pretestuose e strumentali (vista la vicinanza delle elezioni europee). Così avrebbero pensato e scritto, con imprimatur papale, se fossimo stati nel medioevo… se… certo, ma purtroppo siamo nel XXI secolo…




Tutto ciò avviene mentre va avanti il sistema di “aggiustamento” della struttura sociale e civica laboriosamente costruita con l’unità d’Italia, infatti mi giunge voce che il governo si sta preparando ad eliminare le amministrazioni provinciali, gli unici enti che corrispondono ad un criterio bioregionale, ed anche quelle dei parchi (che manterranno i segnali affissi delle delimitazioni territoriali senza organi di controllo pubblici che verranno sostituiti (pian piano) da gruppi “privati” per la prestazione di “servizi”. Insomma la vedo dura….. per la tutela ambientale…

Scusate la lunga digressione e ritorno al tema di stamattina. Finalmente giunto al baretto sotto al comune di Calcata nuova ho subito notato un vagheggio di passacarte fra alcuni astanti…. Ho fatto finta di nulla visto che siamo in piena campagna elettorale per il rinnovo del consiglio comunale e del sindaco, poi mentre masticavo un cornetto alla crema ho notato con la coda dell’occhio che qualcuno stava affiggendo un manifestino alla bacheca del bar… e qui ho avuto la bella sorpresa!




A Calcata è stata presentata una quarta lista, considerato che i paesani si guardavano in cagnesco l’un con l’altro per via delle tre liste contrapposte già esistenti un gruppetto di “buontemponi” ha pensato bene di allentare la tensione proponendo un’altra lista di alleggerimento e per dimostrare che il senso di comunità va oltre la vittoria o la sconfitta di una “lista” di tecnocrati. Siccome questa nuova “listarella” è stata presentata in ritardo per essa si potrà votare solo in un tempo a venire non qualificato. Stemma della compagine è una cantina con botti di legno in bella vista, ed infatti la pubblicità elettorale invita “alle prossime elezioni scegli il Botticello” e di seguito l’elenco degli aspiranti consiglieri con candidato sindaco: Silvano Sestili, i consiglieri sono i più rinomati bevitori del paese, da Pasquale Cannone a Piero Mister Been, da Mario Polverò ad Alberto Paoloemili (tanto per nominarne alcuni)”. Alla lista di 16 candidati ho aggiunto a penna il mio nome, specificando però che sono “astemio” ma condividente lo “spirito” ed il programma, come dire “in vino veritas”….

Concludo questa “velina” con una notizia papalina. Mi è giunta voce che all’interno del potere monocratico vaticano si stanno creando delle fratture, dovute a disaccordi sulla gestione religiosa perpetrata dall’attuale papa Ratzinger. Che si preannunci per il 2012 la sua caduta?

Cari saluti a tutti, se lo desiderate potete riprendere e divulgare questa velina come vi pare!

(Calcata, 20 maggio 2009)



Paolo D’Arpini, Treia, 26 maggio 2014 



(P.S.  Sulla caduta del paparatzy ho sbagliato di poco, le dimissioni avvennero nel concistoro ordinario dell'11 febbraio 2013 ha annunciato la sua rinuncia «al ministero di vescovo di Roma, successore di san Pietro», con decorrenza della sede vacante dalle ore 20.00 del 28 dello stesso mese: da quel momento il suo titolo è diventato romano pontefice emerito o papa emerito.... 

Pope Benedict XVI 1.jpg
  Il  papa  emerito

Mentre, per quanto riguarda la lista presentata in "ritardo" (o mai presentata),  a Treia si riferisce alla Lista del PD "Adesso Treia", che  malgrado la folgorante vittoria alle Europee di questo partito  non ha avuto il "coraggio" di presentarsi alle comunali, forse anche in questo caso per cause di "ebbrezza perniciosa e molesta").


      Lista di Treia, adesso emerita

Carlo Monopoli, artista vivo che dipinge dal vivo - Memoria della prima Biennale d'Arte Creativa di Viterbo

“Nessun grande artista vede mai le cose come sono veramente. Se lo facesse smetterebbe di essere un artista”  (Oscar Wilde)
Carlo Monopoli ha tutte le caratteristiche  dell’artista completo, egli è un vero “maestro” dell’espressione. Le sue capacità sono molteplici e variegate ma è soprattutto nell’arte antica dell’affresco che egli riesce a dare il meglio di sé. Durante il corso della prima Biennale d’Arte Creativa di Viterbo, nei giorni 4, 5 e 6 giugno 2010, Carlo Monopoli è stato ospite nel capoluogo della Tuscia per realizzare un affresco dal vivo. 
L’opera avrebbe meritato uno spazio istituzionale, comunque  resterà perennemente esposta al pubblico poiché  istallata nel giardino interno della Zaffera, un nobile ristorante viterbese (sito in Piazza S. Carluccio) la cui proprietaria ha ospitato l'artista per il tempo della composizione. Anticamente erano i papi ed i cardinali ed i principi che accoglievano gli artisti per ricavare dalla loro  arte lustro per  chiese e  palazzi… evidentemente i tempi son cambiati.. ma ciò non toglie nulla sia alla bellezza del gesto della Zaffera (che significa "caraffa"), sia alla genialità dell’artista che ha lavorato gratuitamente lasciando dietro di sé un affresco di sublime fattura.
La prima mostra alla quale Carlo Monopoli partecipò in terra di Tuscia fu  quella organizzata a Calcata diversi anni fa (ad una edizione della Fiera delle Arti Creative) sul tema della “creatività umana”, lì egli espose uno strappo d’affresco ritraente una bella donna mora, nuda ed incinta, che versa acqua da una caraffa verso la terra…
Ma lasciamo che sia Carlo Monopoli stesso ad esprimere qualche pensiero sull’ispirazione che lo guida, tratto da uno stralcio di una sua lettera a me indirizzata: “Carissimo Paolo..come promesso ti invio una lettera che un po’ mi racconta. Il mio desiderio, verso la realizzazione di un sogno, può abbracciare il tuo incontro. Ho scritto in un passo, che .. “il caso non esiste”.  Ricordo esattamente le parole della  mia amatissima nonna Italia, in un freddo mattino, mentre mi accompagnava a scuola: “Carletto..un giorno dipingerai grandissimi affreschi, come Raffaello”. Rimasi folgorato da quella frase!  Il caso non esiste. Tutto ciò che accade è determinato dalle nostre scelte.. consce o inconsce che siano. Ogni scelta, ogni incontro fatto, ha determinato il mio cammino da allora:  ma quella frase, così spontanea,  come la bellezza spirituale, etica e morale di mia nonna, non mi ha mai abbandonato….”.
Ed è cosi che Carlo Monopoli ha  accettato, su invito di Laura Lucibello e mio, di scendere a Viterbo, dalla lontana Desenzano Del Garda, per compiere quest’opera meritoria, del condividere e ritrasmettere l’ispirazione che lo guida  ai suoi estimatori della Tuscia.
“D’altronde  –come ebbi occasione di rispondergli-  anche la più intima poesia non ha valore se non viene spartita con  altri che  conoscono il significato della poesia… Fra poeti ci si scambia i versi, non c’è nulla di male… è un arricchimento, non è prosopopea od arroganza. E’ modestia nella parola,  é sorriso nel donare agli altri ciò che noi siamo. Non è forse così che fai con i tuoi dipinti? Non sono forse essi offerti agli amanti dell’arte?”
Paolo D’Arpini