Essere dove siamo è tutto ciò che possiamo...



Pellegrini in terra e fino all’inverosimile tormentati dal possesso delle mappe, del magico punto rosso delle metropolitane… vous étes ici
Quel tanto bramato ici che finalmente ci inchioderebbe all’illusione dell’essersi trovati, dell’essere meno smarriti, del sentirsi meno stranieri. In che galassia abita l’ici
E se fosse solo il sasso che mi fa inciampare sul metro di sentiero che sto percorrendo? 
Grazie sasso, ti voglio bene! Quando non avevo fuori dalla porta della mia casa i seicento ettari di foresta manzianese, possedevo solo un geranio alla ringhiera di un balcone milanese. Contavo i petali dei fiori, li liberavo dalle foglie secche, toccavo la terra e portavo le dita alla bocca. Ero lì e in nessun altro luogo, lì si consumava il mio privato banchetto con gli dei. 
Ieri ho abbracciato una quercia di cinque secoli. Che importa se agli dei piace così tanto cambiar ristorante? Che importa se mi invitano sempre? Pellegrini e transitori come siamo, perché mai dovrebbe fermarsi il viaggio davanti a un numero civico? Anche se fosse la soglia della casa degli orrori, dei lager e delle delicatezze, perché dovrei fermarmi e suonare il campanello se so che sono pellegrina in una terra che non mi appartiene? Il vento continua a portare nei giardini i semi del cardo e della malva… e anche se smettesse di portarli, anche se gli uomini gli impedissero di portarli… non sono io pellegrina dentro una storia che non mi appartiene? Che mai sarà in grado di consumarmi?
Il mio gatto si smaterializza e attraversa i muri, la notte. Se vuole entrare lui si smaterializza e salta sul mio letto, devo alzarmi per aprirgli la porta. Il mio Maestro Gatto ha il dono dell’ubiquità, nemmeno lui ha il destino di essere consumato dalla piccola breve inconsistente e imbecille storia degli uomini. Lui sta qui perché mi deve insegnare che c’è dell’Altro. Ovunque c’è dell’Altro… nei sassi nella malva nei gatti e nei gerani. Ovunque, alla fine di un sentiero, ne comincia un Altro. Non c’è stranierità che tenga, se il Pellegrino può battere allora la terra col piede nudo e danzare e cantare la gioia per quell’ignoto metro di eternità che gli è ancora concesso di percorrere.
Grazie a tutti i compagni di viaggio che danzano con me:)

Maria Castronovo

Treia - La primavera del Circolo VV.TT. Aspetti spirituali ed allegorici della Festa dei Precursori 2014





La primavera è la stagione in cui tutto rifiorisce ed è quindi il periodo adatto per esprimere la propria capacità creativa. Spesso quel che è rappresentato nella natura trova anche una sua corrispondenza nella coscienza dell’uomo, infatti l’atto creativo, sia esso di Dio o di Madre Natura, è stato spesso paragonato a quello di un artista che produce la sua opera.
Ciò avviene poiché nel Logos del mondo manifesto si riconosce un disegno od uno scopo ed è esattamente quel che avviene con la produzione artistica. Ma potrebbe essere notata una differenza essenziale, infatti nel caso del lavoro artistico, come ad esempio la pittura, vi sono molte cause distinte. La materiale: le tele, il colore, etc; la formale: la configurazione, etc.; l’efficiente: l’artista, il pennello, etc.; e la finale: l’onorare qualcuno, guadagnarsi da vivere, etc. Ma nel caso della manifestazione del mondo non vi sono cause distinte, essendo l’originale una sola, sia essa definita Energia naturale o Dio.
“Egli dipinse il quadro dell’esistente in se stesso  e su se stesso, con il pennello della sua volontà, e fu subito lieto” Afferma una antica scrittura indiana riferendosi al Creatore. Ma anche in altri testi filosofici e scientifici spesso la pittura è usata come esempio per significare la progressiva capacità realizzatrice della vita. Seguendo il concetto dei tre stadi successivi della manifestazione cosmica, osserviamo che all’inizio vi è la “latenza” o “energia causale” poi subentra il “sottile” o “forma pensiero” ed infine il “grossolano” o “materia”. Questi stadi vengono comparati con 1) lo schiarimento delle tele ed il rafforzarle con l’amido; 2) lo schizzo dei contorni delle figure sulla tela; 3) riempitura delle immagini con il colore.
La “coscienza” o volontà creatrice è la causa coefficiente dell’opera, che è come la tela sbiancata;  la “capacità” operativa è la causa sottile, rappresentata dalle sembianze appena  schizzate ma presenti nella fantasia dell’autore, come è presente il feto nell’utero materno; ed infine la forma finale che è come la nascita o apparizione manifesta e si può paragonare alla pittura finita.
Dobbiamo però ricordare, come affermato in apertura del discorso, che queste funzioni creatrici, nel caso della “creazione dell’universo” appartengono tutte alla medesima Forza o capacità espressiva. L’artista, il materiale, l’opera, il  critico, il cliente.. etc. sono originati tutti dalla stessa Energia primordiale (o Dio).
“L’immagine di nome e forma, l’osservatore, lo schermo sul quale egli vede, e la luce per la quale egli vede… tutti questi sono Egli stesso” Affermava Ramana Maharshi.
Comunque volendo riconoscere la presenza di quell’Uno in noi tutti, e volendo assumere l’opera dell’artista come esemplificazione della capacità creativa di quell’Uno,  il Circolo Vegetariano VV.TT. sta organizzando  a Treia, la Festa dei Precursori,  simbolica per celebrare la creatività e la primavera. L'evento si tiene nei giorni dal 25 al 27 aprile 2014 e comprende sia aspetti culturali che pratici: canti, passeggiate,  mostra d'arte, performances, discorsi sull'agricoltura, sull'economia solidale, sulla solidarietà umana, sulle cure naturali, etc. 
Il programma è ancora in costruzione, qui potete leggere una bozza: 
Paolo D’Arpini

P.S. Chi fosse interessato a partecipare, proponendo un suo intervento, scriva a:
circolovegetariano@gmail.com 
oppure telefoni al 0733/216293  

Alcune immagini delle precedenti edizioni: 



















La manifestazione si svolge con il Patrocinio Morale del Comune e della Proloco di Treia





Il Gesù dei vangeli e il contesto storico in cui visse - La fiaba evangelica rivisitata alla luce della ragione



Considerazioni raccolte fra gli scritti di pensatori significativi. Per spiegare le ragioni che hanno determinato l’aspetto personalistico del cosiddetto insegnamento del Cristo, personalismo che possiamo far discendere tanto dall’Epicureismo quanto dallo Stoicismo, dottrine filosofico-esistenziali di cui era pregno il mondo mediterraneo governato dalla Romanità e improntato dall’Ellenismo, vale la pena riportare quanto scritto dallo studioso Paolo Boccuccia (vedi anche il libro di don Ennio Innocenti: Gesù a Roma.):
"Il Gesù dei Vangeli vive, si muove ed opera su di uno sfondo ambientale e storico irreale, tranquillo, folkloristico, pacifico, al massimo turbato da qualche dramma personale senza importanza sociale, quali infermità o alienazioni mentali (indemoniati), drammi che danno al personaggio l’occasione di mostrare i suoi poteri taumaturgici e di porsi al centro di una attenzione collettiva priva del tutto di connotazioni politiche e di prospettive rivoluzionarie"
Nota: In questo clima è possibile instaurare un insegnamentol di carattere personalistico che promette la “vita eterna”, cioè un prolungamento della vita a chi si comporterà in un certo modo ( che può essere anche una modalità di esistenza del tipo di quelle che vanno per la maggiore, oggi, nelle riviste salutistiche. Da aggiungere anche che all’epoca, cioè all’epoca in cui è stato situato, arbitrariamente la predicazione di Gesù, la Palestina era letteralmente straziata da guerre civili e da ribellioni contro Roma.
Pitigrilli, nel suo libro ”La bella ed i curculionidi” scrive: "I Greci insegnavano se sei bello fatti più bello ancora. Oggi la gente coltiva la propria caricatura."
E Platone: “Scopo dell’uomo è la conoscenza e questa si ottiene nella Comunità e per la Comunità ”
Nota ulteriore: I racconti evangelici, nella loro astrazione -come fossero racconti fiabeschi- non permettono di identificare un elemento concreto. Questo il loro fascino ma anche il loro limite. Al contrario, la Fascinazione Mitica, alla quale i creatori dei Vangeli si sono sicuramente ispirati, permette una continua traslazione nella tradizione del mito: dalla Persia, alla Mesopotamia, alla Grecia, a Roma e da questa a tutta l’ area mediterranea, compresa la Pelstina, ma soprattutto Alessandria d’Egitto cuore pulsante e concentrazione di tutto il pensare ed il sentire.
Palingenesi Pitagorica: come scrive Arturo Reghini, non significa morire e rinascere, bensì ripetere l’ atto della nascita. nascere nuovamente.

Frasi utili alla comprensione:
"Perdonami per non essere riuscito a perdonarti."
"Io sono un altro Te stesso." saluto dei nativi americani.
"In fondo al Graal c’è il TAO." Eugenio Montale.
Vasile Droj: "Risonanza nella nostra Mente delle parole che pronunciamo e che ascoltiamo. Non ha senso escludere la sonorità e l’articolazione, cioè la lingua nazionale utilizzata nel discorso, dalla comprensione dei significati.  Non c’è comprensione nella pura astrazione concettuale."
H. Laborit:  "La sola ragione d’essere di un essere  è di essere, diversamente non esisterebbero esseri"
Cartesio:  "Occorre saper sceverare il vero dal certo"

Georgius Vitalicus (alias Giorgio Vitali)

La spontaneità è la caratteristica “comportamentale” del risvegliato....




Il nostro osservare il mondo, sia interiore (delle emozioni) che esteriore (degli oggetti), non è quasi mai “pulito”, privo cioè di interpretazione e concettualizzazione.

Siamo avvezzi a giudicare quel che osserviamo attraverso il filtro della memoria e delle sensazioni collegate alle trascorse esperienze. Anche nel caso di eventi “nuovi” o di idee precedentemente non considerate non facciamo a meno di cercare di “comprendere” e misurare sulla base del nostro conosciuto. Ecco questa “preconoscenza” è la nostra “schiavitù” ma se potessimo lasciarci andare sino al punto di poterci osservare mentre si innesca il meccanismo del “pre-giudizio” e capire il suo funzionamento… potremmo già considerare questa “attenzione” come una prima forma di meditazione e distacco dal processo appropriativo in corso.

Facciamo un’analogia pratica, per esemplificare questo tentativo di spostare l’attenzione dall’io giudicante alla capacità testimoniale della pura coscienza, analizzando il funzionamento del sogno. Quando sogniamo tutto avviene in modo apparentemente costruito e definito mentre allo stesso tempo gli avvenimenti del sogno mantengono il senso dell’imponderabilità. Il personaggio specifico del nostro sogno, nel quale noi ci identifichiamo, è esso stesso una semplice componente inscindibile dalla complessità del sogno, in cui i vari attori, figure, oggetti ed eventi sono un tutt’uno. La “farsa” del sogno mostra un’apparente finalità e significato agli occhi del personaggio di sogno nel quale ci identifichiamo. Vediamo che egli infatti compie gesti deliberati e verosimili sforzi di volontà per raggiungere i suoi fini di sogno, rapportandosi inoltre con gli altri personaggi del sogno come “diversi” da sé.

Può ciò corrispondere a verità?

Tutti gli aspetti del sogno sono prodotti dalla stessa mente e non sono in alcun modo controllabili e gestibili da alcun personaggio o situazione del sogno. Essendo ognuno di questi elementi semplici componenti “passive” immaginate nella mente del sognatore. Dal punto di vista dell’esperienza “empirica” nello stato di veglia si può dire che il processo di “creazione” sia praticamente il medesimo. Tutti gli oggetti ed i soggetti che reciprocamente si percepiscono (essendo ognuno contemporaneamente soggetto ed oggetto nella percezione altrui) scaturiscono dalla stessa “Mente”, o Coscienza, e si dipanano sullo schermo concettuale degli eventi spazio-temporali. In effetti, in questo funzionamento totale, non può esistere alcuna volizione o finalità personale, poiché (come nel sogno) ogni cosa si svolge indipendentemente dall’intenzione di qualsiasi dei personaggi sognati. Pur che apparentemente essi assumono su di sé il senso dell’affermazione o della negazione di una loro “volontà”, ma questo avviene solo conseguentemente alla considerazione effettiva degli eventi già vissuti. Ovvero dopo aver “giudicato” i fatti accaduti ed averli assunti come propri (attraverso il senso di identificazione) e quindi definiti come positivi o negativi (ai fini del personaggio).

Da ciò, per estensione, arriviamo all’identità dello stato di veglia e scopriamo che -come nel sogno- a manifestare la vita e le sue componenti non sono i singoli esseri bensì la Coscienza stessa, impegnata com’è nell’opera di vivificazione delle sue emanazioni e manifestazioni, che sono possibili solo per suo tramite.

Per questa ragione è detto che “quando il me scompare l’Io si manifesta” (Ramakrishna Paramahansa), ovvero quando l’identificazione individuale cessa automaticamente la Coscienza impersonale emerge. Si dice che “emerge” in quanto tale pura Coscienza è già insita nell’individuo stesso (come la mente è presente nel personaggio sognato) che la “sostanza” non appartiene alla sembianza mutevole ma è l’essenza che la anima. Ovviamente in caso di “risveglio” al puro Io il senso di identità individuale “muore” ma questo non implica l’automatica scomparsa della sua “sembianza” apparente, che continuerà a restare nella percezione degli “altri” osservatori, ma svuotata al suo interno di ogni identificazione oggettiva, essendo il risvegliato pura e semplice “soggettività” (Consapevolezza priva di attributi).

La spontaneità è la caratteristica “comportamentale” del risvegliato, quando spontaneità significa semplice capacità di risposta, adeguata e consona, alle situazioni in cui egli si imbatte. In un tale essere non permane alcuna ombra di intenzionalità o di giudizio, di desiderio o repulsione, la sua “volontà” corrisponde esattamente agli eventi vissuti senza che lui lo ricerchi. Possiamo definire questo stato: Libertà.

Per significare la vera natura dell’essere ed il “ritorno” all’intrinseca consapevolezza che gli è propria, ammettendo che tale natura è la stessa per ognuno di noi, mi piace riportare una frase di Nisargadatta Maharaj, che disse: “Non importa ciò che fai o ciò che non fai se hai realmente percepito quello di cui sto parlando. Diversamente, non importa nemmeno se tu non hai capito quel di cui sto parlando..” Il che significa che in entrambi i casi la realtà intrinseca non cambia… e quel che è destinato ad avvenire avviene per conto suo…. 

Succede però che questo discorso, pur essendo a volte intellettualmente accettato, necessiti spesso una digestione ed assimilazione, deve insomma essere fatto “nostro”. Ciò può avvenire attraverso la riflessione, la rielaborazione e il riconoscimento al nostro interno di tale verità. Ora in qualche modo ci sembra di aver compreso ma dobbiamo disintossicarci dalla tendenza speculativa e dall’identificazione con il personaggio incarnato. A tal fine, non per ottenere la condizione che è già nella nostra natura ma allo scopo di scongiurare l’imbroglio della mente, consiglio la lettura ripetuta e la ponderazione sulle immagini contenute nel Libro dei Mutamenti, un compendio di esempi archetipali psicosomatici, descrivente cioè i diversi modelli comportamentali, basati sulle variegate capacità espressive della mente nello svolgimento degli eventi spazio-temporali. Per mezzo dell’analisi sarà possibile riconoscere le multicolori forme che la mente può assumere in questo mondo di apparenze, essendo le sue trasformazioni semplici risultanze, risonanze e adattamenti alle condizioni che si trova ad affrontare. Questa è una risposta automatica allo svolgimento delle continue mutazioni e mescolamenti degli elementi basilari della vita.

Ovvio che tali mutazioni sono praticamente infinite ma nel Libro dei Mutamenti si esaminano 64 aspetti/madre, in forma di esagrammi in cui ogni linea è una componente costitutiva con propri significati. Essendo questo testo il risultato di un antichissimo e costante studio ed osservazione di fenomeni naturali e sociali, interpretati e visti sia con la ragione che con l’intuizione, esso si presenta come un complesso integrato dei diversi modi espressivi analitici ed analogici della mente.

E nel Libro dei Mutamenti si può dire che vengono fusi sia gli aspetti filosofici speculativi e metafici che quelli analitici ed empirici (Taoismo e Confucianesimo), perciò la prassi è quella di osservarne le immagini senza volerne assumere i concetti, un buon metodo per avvicinarsi alla corrispondente spontaneità comportamentale del saggio, basata sulla capacità di immediata risposta comportamentale nelle varie situazioni incontrate nella vita, anche in considerazione delle peculiari caratteristiche da ognuno incarnate e nella posizione e condizione in cui siamo. Insomma, conoscere il mezzo per affrontare adeguatamente il percorso.

Siccome la lettura del testo non è immediatamente chiara e assimilabile è consigliabile una ripetizione continuata, ma senza sforzi interpretativi, in modo da sospingere pian piano la nostra mente verso quel necessario “distacco” da finalità precostituite, tralasciando quindi il tentativo di comprensione dei significati razionali e lasciando che le immagini evocate trovino corrispondenza nel nostro inconscio.

“Conoscere la mente per non farsi imbrogliare dalla mente..” Affermava Ramana Maharshi.

 
Paolo D’Arpini


Semantica e qualità divine e demoniache - Il prossimo Nobel per la pace lo daranno a Satana?



Il discorso comincia da un fatto banale, l’assegnazione del premio nobel per la pace ad Obama ed all’Europa, che  non hanno fatto altro che procurare guerre e disastri… Questo significa che spesso si parte dal bianco e si arriva al nero, oppure si parte dal nero e si arriva al bianco… Succede anche con alcune espressioni e titoli di carattere religioso che cambiano significato nei secoli e nei millenni… Ma andiamo per ordine….

Scrive Joe Fallisi: "Per identificare un principio responsabile del male presente sulla Terra: i teologi non possono concepire che il male provenga dal ‘Dio buono e amorevole’ che hanno elaborato nelle loro dottrine e così si rende necessario trovare un avversario, un antagonista, un principio spirituale contrario. Di qui hanno preso avvio le varie forzature palesi del testo biblico finalizzate a trovare la controparte cui attribuire la responsabilità. Tutto questo per evitare di commentare e spiegare un passo biblico moto difficile per la teologia, quello in cui (Is 45,7) è Yahwèh stesso a dire che è stato lui a portare il bene ed il male sulla Terra. È proprio lui ad affermarlo, attraverso una delle voci più importanti e autorevoli dell’intera storia del pensiero ebraico, il profeta Isaia. Il versetto non si presta a dubbi interpretativi come spiego bene nel libro in cui documento che il termine satana non è il nome di una individuo o entità ma un termine che indica una funzione – quella del pubblico accusatore – che di volta in volta viene assunta da vari personaggi (sia malakìm che uomini) e spesso proprio su incarico esplicito da parte di Yahwèh risultando così essere addirittura un suo collaboratore"
Mia considerazione semantica.  Asura è una divinità terrestre antecedente il deva (latino: divus o deus) celeste (vedi l’Ahura Mazda della Persia, civiltà di origine ariana).  Addirittura il "rakshasa", che è l’asura impersonificato  viene oggi considerato negativamente il “demonio” (mentre nel greco antico δαίμων, dáimōn, significa «essere divino»). Egli è invero un “protettore” (dalla radice sanscrita raksh = proteggere). Gli asura si astengono da bevande inebrianti mentre i deva sono dediti alle bevande fermentate alcoliche. I deva pretendono sacrifici cruenti in loro onore mentre gli asura si accontentano dei frutti della terra (vedi anche la storia di Caino ed Abele, in cui Caino è l’agricoltore che offre frutti a dio  e Abele il pastore che offre animali uccisi)…..
Paolo D'Arpini


"Fra il sogno del sonno ed il sogno della veglia" - Miracoli dell'inconscio...




Forse sarà stata la lettura di una storia ebraica, raccontata da Osho,  mentre stavo semisdraiato sulla brandina, in cui si parlava di un tipo talmente insonnolito nella vita che non riusciva mai a distinguere il sogno dalla veglia... Poi si ritrova nel vuoto assoluto, in cui tutto il suo mondo era scomparso, anche la sua forma non c'era più, si ritrova insomma a dover affrontare, nella sua totale meraviglia ed ignoranza, una condizione in cui non sa nemmeno di essere morto (o vivo...?).

Oggi, a proposito di stato fra sonno e veglia, mi vedevo in un semi-sogno in cui essendo consapevole di stare per addormentarmi e non volendo perdere la lucidità dello stato di veglia cercavo di fare uno sforzo per tirar fuori un braccio dal letto in modo che il fresco mi mantenesse sveglio... e così è accaduto che mi sono "svegliato"...

Ora, ben sveglio (ma che significhi sveglio ancora non lo so, sentendomi sveglio anche mentre apparentemente dormivo...).

Paolo D'Arpini
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Due storie nella storia.


Prima storia, narrata da Gilda Bocconi:
Non ricordo esattamente quando andai per la prima volta a Calcata ma ho ben presente il senso di vertigine che ebbi nel passare sul ponte sospeso nel vuoto e poi sulla via stretta fra il dirupo e la parete rocciosa, messi i piedi in terra, l’accogliente piazzetta mi rassicurò definitivamente. Passai sotto la porta e in poco tempo, oltrepassato il paese medio ed entrata in quello antico, mi sono trovata di nuovo affacciata sul nulla, in posizione aerea in uno sfolgorio di verde e di sole. Rimasi incantata dal contrasto fra il borgo piuttosto piccolo, raccolto, dalle architetture graziose, quasi un nido, e gli aspri e selvaggi orridi della valle del Treja.



Narce si ergeva ardita proprio di fronte, Narce, la favolosa Narce! Croce e delizia di una generazione di archeologi italiani ed inglesi. In quel periodo frequentavo i corsi di proto-storiaeuropea e, benché non avessi partecipato agli scavi, vivevo l’atmosfera bollente delle dispute e delle gelosie che aveva suscitato quel ritrovamento importantissimo. L’insediamento testimoniava infatti una continuità di vita dal Medio Bronzo (XIV° sec. a.C.) al VI° secolo a. C.. In seguito gli abitanti si erano spostati anche su Pizzo Piede, Montelisanti e sull’attuale Calcata. Era la prova dell’autoctonia degli Etruschi e dei Falisci, accettando però l’ipotesi dell’arrivo di piccoli gruppi, mercanti e artigiani, provenienti soprattutto dal mondo egeo-anatolico.

Tornai a Calcata in seguito, quando seppi come il Comitato per Calcata Viva fosse riuscito a far togliere il vincolo di inabitabilità. Capena, nella quale nel frattempo mi ero trasferita aveva gli stessi problemi. Fu allora che conobbi anche il Circolo vegetariano e Paolo D’Arpini. Il Circolo si trova sulla destra, prima di passare sotto l’arco, e spesso vi si poteva incontrare Paolo seduto su una scaletta, un pò nascosto dai fiori (o dalle erbacce), contornato da cipolline, broccoletti e melucce piccole ma buone, quasi sempre calmo e olimpico (perché le tempeste lui le nasconde socchiudendo gli occhi), con un berretto alla ‘garibaldina’, sornione guarda chi passa, quando ti riconosce si alza sorridente e ti fa entrare al Circolo. Malgrado l’aspetto egli ha portato avanti molte iniziative per la valorizzazione della valle del Treja: la lotta per impedire una discarica inquinante, la difesa dell’identità locale, con il bioregionalismo, e altre attività per la libertà individuale.

Ricordo ancora con piacere le riunioni che spesso terminavano con un convivio sempre accompagnato da un ottimo vinello e da dolcetti paesani. A quel tempo ero una accanita fumatrice ed ho sofferto perché al Circolo non si può fumare, spesso (per rifarmi) andavo in un baretto vicino, simpatico e all’antica, gestito da una famiglia, dove potevo fumare voluttuosamente. Comunque Paolo è un vulcano di idee, con lui puoi anche non essere d’accordo su certe cose, infatti egli accetta volentieri il dibattito ed il confronto. Osservando lo stemma di Calcata, ho cercato di spiegarmi meglio questo nome (ed il suo significato). In effetti la forma è quella di un tallone, tallone di calcare, cioè roccia, ma forse il nome è estensibile anche ad un altro vicino insediamento diruto, in cui vi sono i resti della chiesa di Santa Maria di Calcata.

Nell’antichità era indicato come ‘tallone’ anche la pietra al centro dei circoli sacri, ove erano celebrati i riti ed i sacrifici, certo nella zona son stati ritrovati diversi templi sin ora di epoca ellenistica (IV° sec. a.C.) mentre sappiamo che Narce (Fescennium?) risale all’età del bronzo. Chissà se proprio nell’attuale Calcata fosse situata l’antica area sacra? Probabilmente resta solo un’ipotesi, una sensazione, così come Paolo ’sente’ ed immagina gli antichi falisci della valle del Treja nello spirito arguto e smaliziato dei "Fescennini" e le preghiere alla Dea Madre, manifestazione della natura e della vita.
Gilda Bocconi

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Seconda storia, narrata da Etain Addey:

Non voglio andare al convegno della Rete Bioregionale Italiana in macchina. E qui già mi scontro con un paradosso della vita "semplice": se parto con le ruote vado e torno in tre giorni, se scelgo di andare a piedi devo lasciare al mio compagno di vita semplice tutta la mungitura e i lavori di formaggio, orto, potatura e animali. Questa volta il convegno ha luogo a Calcata, un piccolo borgo a nord di Roma. Ne sento parlare da anni, ma non l'ho mai visto, né conosco di persona Paolo D'Arpini del Circolo Vegetariano che ci ospita; finora ho solo letto i suoi scritti.



Quando si va a piedi, la destinazione e le persone che ci si trovano assumono un'importanza insolita nella mente del viaggiatore. "Come viaggiano le truppe nemiche?" chiese un generale romano. "A piedi: quindi abbiamo il tempo per preparare le difese." Così mi scrisse Paolo quando gli comunicai la mia intenzione di venire a piedi e quindi per le vie della Tuscia mi sento un poco barbara.

I ritmi della natura.
La prima notte la passo arrotolata nel sacco a pelo sulla balconata del Palazzo dei Papi ad Orvieto. È dura la pietra, ma in compenso ho una vista del palazzo che nessun papa, chiuso dentro, ha mai goduto: ogni volta che apro gli occhi nelle ore piccole (e c'è un orologio su una torre vicina che suona i quarti) rimango di nuovo meravigliata dalla bellezza delle mura di pietra rosa con i delicati lavori degli scalpellini del trecento. Non riesco a capire che tipo di industria, ai piedi della rupe di roccia vulcanica di Orvieto, continua a rombare sempre nel silenzio della notte. Prima dell'alba parto nella direzione di Viterbo, passando per Grotte di Santo Stefano.

Piano piano comincio a rendermi conto che l'intero paesaggio è una magia di rupi scoscese e paesini arrampicati sopra canyon - Orvieto è il luogo più famoso, ma dall'età del bronzo questa terra è abitata da gente che ha usato la roccia per difesa e rifugio. Arrivata a Grotte di Santo Stefano, non riesco a capire perché non trovo il centro del paese ma poi mi spiegano che fino al 1600 la gente viveva nelle grotte, e solo in secoli recenti ha costruito le case, che in un certo senso sono rimaste "periferiche" rispetto alle grotte.

Piove un po' troppo per dormire per terra e due donne anziane proprietarie di un bar mi dicono che non c'è un posto per dormire qui. "Strano" - fa una all'altra - una volta qui c'era tutto - si dormiva, si mangiava, si ballava, c'era pure il cinema e eravamo si può dire poveri... ma adesso che stiamo meglio non c'è niente". E difatti, come tante comunità nella società consumistica, è rimasta tagliata fuori: per qualsiasi cosa bisogna andare o a Orvieto o a Viterbo, e lungo la strada che porta alla statale vedo la gente correre in macchina a velocità da suicidio per scappare dal loro luogo svuotato e risucchiato dai grossi centri commerciali. Anche io percorro una lunga strada fino a Viterbo, e vedo una campagna di bella terra agricola affollata da ville appena costruite con entrate monumentali e recinti di plastica, quasi tutte di cattivo gusto e comunque, se non fosse per feroci cani doberman, vuote. Un degrado dovuto al benessere.... (continua)


Etain Addey

Virtual Game - Il gioco della Fine del Mondo (edizione Raffaele Bendandi e Giordano Bruno)


Coraggio ragazzi.. si torna a parlare delle previsioni catastrofiche di Raffaele Bendandi e di Giordano Bruno. 


Spesso succede che tutti gli appigli giustificativi sono buoni per avvalorare una profezia…  Tempo addietro avevo cominciato ri-raccontando la profezia  del “sole nero” di Giordano Bruno (http://www.circolovegetarianocalcata.it/2009/02/03/giordano-bruno-e-la-profezia-del-%E2%80%9Csole-nero%E2%80%9D%E2%80%A6-corrisponde-al-2012-del-calendario-maya-intanto-si-commemora-il-nolano-a-campo-de-fiori-il-17-febbraio-2009/) che ebbe pure  un certo successo mediatico e fu ripresa  da diversi siti… 
La storia si ripete.. dopo il mito di Atantide sommersa da una grande sovvertimento tellurico ecco che ancora una volta  le previsioni di Bendandi tornano buone ai “giocatori catastrofisti” della fine del mondo… Si perché ormai di “gioco” si tratta.. La fine del mondo è una specie di virtual game come quelli che appaiono su internet in cui ognuno –a modo suo- può immaginare e creare gli eventi che più gli aggradano.  Ma non sarà questa “moda” un “modo” per attuare la realtà incombente?
Il pensiero, si dice, ha la forza di promuovere l’azione.. e quando molti pensieri vanno in una certa direzione forse la conseguenza inevitabile è proprio quella preconizzata.. Oppure… è  una sensazione che ha a che fare conl’inconscio, con il pescare nella “akasha” o mente collettiva.. e così le cose immaginate accadono…?!
Beh.. comunque è sempre molto divertente osservare in che modo mente e materia sono interconnesse.. ed a questo punto vi propino l’ennesimo articolo sulle “immaginazioni” di Raffaele Bendandi

Bendandi diceva di aver scoperto come si producono i terremoti e riteneva di saperli predire. La sua teoria ha origine in una passeggiata lungo il bagnasciuga, mentre prestava servizio di guardia durante la guerra mondiale: lui nel 1919 intuisce che la crosta terrestre, così come le maree, è soggetta agli effetti di attrazione gravitazione della Luna. La sua teoria per la previsione dei terremoti (mai riconosciuta dalla comunità scientifica ufficiale) era infatti basata sul fatto che la Luna e gli altri pianeti insieme al Sole sono la causa dei movimenti della crosta terrestre, che effettivamente rigonfia, deforma e fa pulsare la crosta terrestre, con tempi e ritmi dipendenti dalla posizione dei corpi celesti.
La sua teoria era abbastanza semplice da un punto di vista concettuale: se l’attrazione lunare causa maree e spostamenti sulla Terra, immaginiamoci di cosa può essere capace l’attrazione esercitata dal Sole, congiunto alle posizioni particolari di alcuni pianeti. Queste fortissime attrazioni sarebbero in grado di spostare le masse semiliquide ubicate nelle profondità terrestri..Infatti molti eventi sismici furono in effetti previsti dal Bendandi, con precisione impressionante per quanto riguardava la data (quasi sempre indovinava il giorno esatto).
Meno precisa, invece, era la collocazione dell’evento che veniva previsto dentro un’area troppo vasta per poter rendere utili ed attendibili tali predizioni.
Bendandi, attraverso il suo metodo,  aveva  predetto una serie di terremoti devastanti a partire dal 2011 e  quando parecchi terremoti colpiranno a macchia di leopardo tutta la terra ci sarà da aspettarci il peggio.  Salvo che non si tratti  di un segnale dell’attesissima discesa ufficiale degli alieni sulla faccia del pianeta…(vedi: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2011/03/04/ida-di-donato-%e2%80%9cper-gli-ufo-e-con-gli-ufo-prima-che-sia-troppo-tardi-%e2%80%9d/)
E per concludere… un’osservazione sul lontano passato relativa allo sprofondamento di Atlantide descritto  dal Bendandi  come un evento ciclico ed inevitabile del movimento della Terra all’interno delle forze del sistema solare… Il fatto che Raffaele Bendandi prediligesse il metodo analogico e lo studio del movimento dei pianeti nell’ottica copernicana (ovvero la stessa che era in auge molto prima che sopraggiungesse l’ordinamento tolemaico accettato dalla chiesa cattolica) in cui si considera la Terra un semplice pianeta che gira attorno al Sole (e soggetto alle leggi di un sistema molto più ampio di universi multipli come pensava Giordano Bruno) mi fa sospettare, in quanto fautore della teoria karmica, che il faentino avesse assistito allo sprofondamento atlandideo in prima persona, in un altro corpo.
I cicli (e le pieghe) del karma.. sono misteriosi…

Paolo D’Arpini

Memento Mori - Foto di Gustavo Piccinini