"Francesco d'Assisi - lo Yogi dell'amore cosmico" - di Anthony Elenjimittam - Recensione


La "perfetta letizia" di Francesco consiste dunque nel completo dominio su noi stessi, nel controllo dei nostri sentimenti fino all'annientamento del nostro io empirico, "l'ego", l'ultima traccia dell'illusione cosmica, e nel riempimento del vuoto lasciato dall'eliminazione dell'ego con il nostro vero Io, il Sé, l'Eterno.

Analogo a questo insegnamento della "perfetta letizia" che dà San Francesco, è il perfetto autocontrollo, l'autocatarsi e l'autorealizzazione che il Buddha insegnò a Puran, il quale, dopo esser stato addestrato nella gioia e nella serenità perfetta fu inviato dal Siddharta a predicare tra gli uomini violenti, gli assassini di Sonaparanta. La perfetta letizia è l'ananda della dottrina indiana, la Beatitudine Divina, della quale le gioie terrene ed anche quelle dei Mondi superiori sono solo pallidi surrogati: ananda completa, assoluta e perfetta, che sostituisce ogni gioia e che rende insignificante, inesistente qualunque dolore e contrarietà terrena, quali quelle suggerite da Francesco a Fra Leone.
Echeggia pure, in questo episodio nel quale Francesco insegna quale sia la perfetta letizia, quel grande inno lirico di San Paolo, che insegna ai Corinzi e a tutta l'umanità la sublime lezione della carità, dell'Amore Divino, con queste parole:
"Se avessi parlato le lingue degli uomini e degli angeli, e non avessi l'amore caritatevole, farei di me un bronzo che suona; un cembalo squillante. Se io avessi il dono della profezia, e conoscessi tutti i misteri più profondi e tutte le scienze occulte, e se avessi una fede tale da muovere le montagne, ma non avessi la carità, io sarei uno zero. E se distribuissi tutti i miei averi ai poveri, e dessi il mio corpo ad esser arso, e non avessi la carità, tutto questo non mi gioverebbe a nulla. la carità è paziente, la carità è benigna, non porta invidia, la carità non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, nulla fa di "sconveniente, non cerca il suo interesse, non si irrita, non tiene conto del male che riceve, non gode dell'ingiustizia, ma si rallegra della verità, tollera tutto, crede tutto, spera tutto, tutto sopporta. La carità non verrà mai meno. Le profezie invece avranno fine, il dono delle lingue cesserà, e la scienza diverrà inutile. La nostra conoscenza terrena è parziale, e le nostre profezie sono parziali, ma quando spunta la conoscenza perfetta di Dio, sparirà la conoscenza parziale; come quando io ero bambino e parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino, ma dacchè sono divenuto uomo, ho smesso le cose proprie del bambino. la nostra visione ora è come in uno specchio, un'ombra (è una visione mediata), ma allora vedremo invece a faccia a faccia Iddio (in una visione non mediata). Adesso conosco solo imperfettamente, ma allora conoscerò appieno, così come sono conosciuto" (I Corinzi XIII)
La perfetta Letizia di Francesco e la carità di cui parla San Paolo è la stessa Vairaghya dei buddisti, il distacco degli Yogi, l'ataraxia degli Stoici, l'imperturbabilità degli Spartani (cui si somma la divina ananda, che trasforma l'imperturbabilità, stato neutro, in letizia, stato positivo). Questo stato di perfetta letizia di Francesco, l'Amore di carità di San Paolo, l'equanimità del Buddha, la Serenità di Eppiteto, sono tutte l'aspetto pratico della realizzazione del Sè, dell'Atman equato al paramatman, detto Iddio, Allah, Tao, Theos, Dio, Gott, God e con mille altri nomi.

Ecco il punto di convergenza, il centro d'unità e il ponte d'alleanza fra le religioni, in quanto Realizzazione (presa di coscienza sperimentale) del nostro divino Sè, al di sopra di tutte le religioni, con i loro credi e dogmi vari e contrastanti, rinchiuse nelle mani e nei trigeni delle autorità religiose dei califfati, dei papati, dei dalailamati, dei vescovati, e del sacerdotalismo.
Altamente illuminante, questo episodio ci dà un'idea della psicologia profonda di San Francesco, del suo "io" più intimo; del grado di dominio di se stesso, del proprio corpo, delle sue passioni, cui era arrivato. Questo è precisamente un insegnamento dello Yoga. infatti gli Yoghi che risiedono sull'Himalaya vivono quasi nudi anche durante l'inverno, stabilizzati nella loro serenità interiore e senza timore di malattie, perché la loro unione con Dio è tanto grande che non risentono delle condizioni ambientali. Pantajali ci dice esplicitamente che con la pratica dello Yoga si riescono a superare tutte le inquietudini della dualità - dvaita - e si diventa quindi anche indifferenti al freddo e al caldo, perché la mente, centro raccoglitore delle percezioni esterne, si isola dal resto del corpo.

Gesù insegna ai suoi discepoli, come narra il Vangelo, a superare ogni forma di ostilità, di persecuzione e lo stesso martirio, e ne dà l'esempio. Gesù disse anche come i discepoli avrebbero dominato le forze della natura: "Ed ecco i miracoli che accompagneranno coloro che avranno creduto: cacceranno i demoni nel Mio nome, parleranno nuove lingue, imporranno le mani ai malati ed essi guariranno" (Marco, XVI, 17-18). Quando si studiano questi miracoli con spirito tranquillo vi si trovano alcuni notevoli parallelismi coi testi dello Yoga di Pantajali. A chi ha raggiunto il seno di Dio-Padre tutto è possibile, perchè allora l'uomo non è più l'individuo nato dalla carne, ma il figlio di Dio rinato in Lui, col dominio su se stesso, col controllo diretto sulle forze della natura con anticipazione su quello che la scienza oggi riesce macchinosamente a fare coi cosiddetti "miracoli della tecnologia moderna".
(estratto dal libro "Francesco d'Assisi - lo Yogi dell'amore cosmico"
- di Padre Anthony Elenjimittam - Edizioni L'Età dell'Acquario)

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