Porgere l'altra guancia... oppure no?

"Un uomo sano è colui che in ogni momento è capace di rispondere a una situazione con tutta la sua energia
(Alexander Lowen, fondatore della bioenergetica)


Via i mercanti dal tempio


Vorrei sottoporvi una riflessione riguardo ad un concetto che ritengo cruciale e che mi sembra condizioni pesantemente la vita mia e di quelli che mi stanno intorno, tutti come siamo, soggetti all'influenza della cultura cattolica.

Incontro sempre più spesso persone sul cammino della spiritualità che sono supini ad una concezione dell'amore basata sulla rinuncia a se stessi a favore di un presunto (e a mio avviso falso) amore verso il prossimo. 

Amare il prossimo, mi chiedo e vi chiedo, significa che di fronte a fatti e incontri spiacevoli della vita, come ad esempio le tante piccole e grandi ingiustizie che giornalmente incontriamo, dobbiamo fare finta di niente e avere uno sguardo di superiorità e di pietà - finta, ripeto..! - o dobbiamo ascoltare noi stessi, le nostre sensazioni e magari esprimere il nostro pensiero con gli atti dovuti? Deve per forza essere "Mandapurgiù" il motto delle persone consapevoli o spirituali, o possiamo nutrire amore e fiducia nel nostro sentire profondo e affermare la nostra verità.

Vorrei portare degli esempi ma mi sembra più utile capire se questo sia solo un mio trip o se la cosa sia condivisa.
Non sarà che questo concetto cristiano del "porgi l'altra guancia" abbia ingenerato in persone normali (che non hanno lo spessore di una figura come Cristo), processi psicologici masochistici che invitano e perdonare sempre e comunque qualsiasi nefandezza, creando così quello strato di ipocrisia, furbizia e rinuncia ad affermare se stessi che è così tipico del carattere degli italiani?

Per me la via della spiritualità ha come bussola la cura e l'attenzione verso il mio sentire, in qualunque aspetto esso si riveli. E non escludo l'emozione della rabbia, che tendiamo a giudicare sempre negativa e a rimuoverla da noi. A volte il corpo, (e il corpo non mente) ci manda questa emozione di fronte a determinati atti o situazioni. Cosa dovremmo fare? Dirci che stiamo sbagliando e soffocare ogni sensazione in nome dell'amore? 

A me tutto questo pare solo auto repressione, fare del male a noi stessi e alla nostra verità. In una parola desensibilizzarci, altro che Amore.

Nietzsche, ancora più in profondità di Osho ha indagato su questo aspetto centrale e malato della nostra cultura. 

Ritengo che la nostra incapacità di essere persone totali e autentiche abbia in questo aspetto di "buonismo a tutti i costi" il suo vero tumore maligno.
Grazie se vorrete portare un commento con la vostra esperienza personale.


Jalsha  - jalsha@libero.it

Pensieri laici volanti di Jiddu Krishnamurti



"Non serve la conoscenza o l’esperienza per capire noi stessi. Conoscenza ed esperienza non fanno altro che espandere la memoria. La comprensione di noi stessi avviene di momento in momento; accumulare conoscenza su noi stessi ci impedirà di capire quello che siamo, perché questo accumulo diventa il centro che alimenta e dà consistenza al pensiero."


"La verità sopraggiunge come un lampo. La verità è comprensione e sopraggiunge come un lampo; non ha continuità, non appartiene al tempo. Vedetelo con i vostri occhi. La comprensione è fresca, istantanea, non è la continuazione di qualcosa che è stato. Quello che è stato non vi aiuta a capire. Finché cercate la continuità, la permanenza nelle vostre relazioni, nell’amore, in una pace che vorreste durasse per sempre, non vi allontanate dal campo del tempo, perché queste cose non appartengono all’eterno."


"Virtù non è qualcosa che vada coltivata, se è figlia de pensiero, della volontà, se è risultato di repressione, allora non è più virtù. Ma se voi capite il disordine che è nella vostra vita, la confusione, la totale mancanza di senso della vostra esistenza, quando vedete questo con grande chiarezza, non soltanto intellettualmente o a parole, non condannando, non fuggendo, ma osservando questo disordine della vita, allora dalla consapevolezza e dall'osservazione nasce l'ordine, naturalmente, ed è virtù. E' una virtù del tutto diversa da quella della società, rispettabile e sancita dalle religioni con la loro ipocrisia; ed è completamente diversa dalla disciplina auto-imposta."

"Non pensare in un dato modo semplicemente perché la gente pensa così, o perché si tratta di una credenza secolare, o perché così è scritto in qualche libro ritenuto sacro; pensa da te stesso e giudica se la cosa è ragionevole."


"Quando cercate un'autorità che vi conduca alla spiritualità, siete automaticamente costretti a costruirvi intorno un'organizzazione. E creando quell'organizzazione, che pensate vi possa aiutare spiritualmente, vi rinchiudete in una gabbia. Voi pensate che solo certe persone abbiano la chiave del regno della felicità. Nessuno ce l'ha, nessuno ha l'autorità di tenere quella chiave. Quella chiave siete voi stessi e soltanto nell'evoluzione, nella purificazione e nell'incorruttibilità di quel sé, c'è il regno dell’eternità. E per quelli che sono deboli, non ci può essere nessuna organizzazione che li aiuti a trovare la verità, perché la verità è in ciascuno di noi; non è lontana, non è vicina, è eternamente qui. Coloro che realmente desiderano comprendere, che vogliono trovare ciò che è eterno, senza principio né fine, cammineranno insieme con maggior intensità e saranno un pericolo per tutto ciò che non è essenziale, che non è reale, per ciò che è in ombra. E queste persone si concentreranno, diventeranno la fiamma, perché esse comprendono."

Jiddu  Krishnamurti

Lay Spirituality before the seventies of this last century was a non existing term.





I am going to tell you a nice story:

Lay spirituality before the seventies of this last century was a non existing term. It started, by chance, with an intuition by Antonello Palieri during a meeting in Calcata’s “Circolo Vegetariano VV.TT.”, only because we felt the urge of describing a free and spontaneous spiritual approach to life; it was an invented word, depicting a search for self, free of bonds, a natural expression of the “I” looking for his own origin. 

Unfortunately, I discovered recently that this term has been
used for extolling worldly religious spirituality.
That’s a pity…. It is happening because religions and creeds are eager to maintain control over man, doing their best to spoil the natural awe and mystery of life, impressing the need for a savior and the necessity of external help.
Still, lay spirituality is a fact.
For the spiritual accomplished layman there is no time but now, no place but here. The basis for each experience is in consciousness and there is no need for corroboration. No one can give another either salvation or damnation. And truly speaking there is nothing you can do to attain that understanding, it is simply within us.
The only hindrance is ignoring ourselves, believing and following any practice alien to us, in the false hope of getting what we already are.

Freedom from desires and fears, from concepts and separativeness, from stupidity and ignorance. Nothing more is wanted but freedom from any imaginative state different from ourselves, from reality.
Although it is true that everything is made of consciousness, it is also true that there are different densities of consciousness. The most heavy are the separative ones, and religions are of course separative, since they uphold a God, a creation and many separate individual selves. This sense of separativeness from the whole is the only hell, cause of fears and unhealthy states of mind.
Lay spirituality, of course, is also a concept but pointing only to a
present and concrete reality, revealing the tricks of all “cleverly devised religious help”. 

I hope that all sincere laymen may be aware of this bare truth, relinquishing the imaginary, abiding in awareness and presence.
No spirituality for sale or to purchase, no fancies or alien states, no need to overcome or reach. Please understand. Please recognize.

Paolo D’Arpini


Analogico e logico - I due cervelli, quello maschile e quello femminile....



Il cervello si è visto essere formato da due parti collegate tra loro, chiamate emisferi cerebrali: quello sinistro e’ la parte piu’’razionale’, quello destro la parte piu’ sensibile e creativa. (Sperry R., 81; Trimarchi M., 82)
Vediamo meglio cosa dicono i recenti studi scientifici basati su tecnologie, dette ‘Brain imaging’, che permettono di vedere quali parti del cervello si mettono in funzione maggiormente durante certi pensieri, parole e azioni.
Da queste ‘mappe del cervello’ risulta che il pensiero razionale e il linguaggio attivano nella maggior parte dei casi l’emisfero sinistro, che e’ simile a un computer, in quanto accumula i dati delle esperienze in memoria e li ripete su richiesta. La parte destra del cervello e’ attivata dalla musica, dal linguaggio non-verbale, che e’ fatto di intonazioni della voce, sguardi, gesti, mimica facciale, ecc. e dalla creatività, che e’ la combinazione originale di elementi presenti in natura. 
Quindi l’emisfero sinistro memorizza in modo schematico attraverso modelli ripetitivi e categorie rigide e rifiuta quello che non riesce a incasellare in questi schemi. Questo emisfero e’ il piu’ veloce e serve per la sopravvivenza in quanto non si puo’ perdere tempo se si devono dare risposte rapide a stimoli, per es. in auto, in situazioni di rischio per la vita o di pericolo per la salute, il lavoro, ecc. o percepite come tali dall’individuo, questo aspetto e’ piu’ sviluppato in genere negli uomini. L’emisfero destro non ha sviluppato il linguaggio verbale o esso è molto semplice e integra, cioe’ unisce, stimoli diversi in modo non ripetitivo, ma creativo e giusto in quel momento per l’ individuo. 
Tuttavia per fare questo lavoro e’ piu’ lento dell’altro nel dare una risposta. Esso prevale nei bambini, in cui il sinistro non si e’ ancora sviluppato, negli artisti che l’ hanno sviluppato maggiormente, nelle persone sensibili.
Nelle donne si e’ visto che i due emisferi normalmente lavorano insieme, perche’ devono possedere sia la capacita’ di percepire sfumature di emozioni e situazioni per occuparsi dei bambini, che ancora non parlano, sia a volte essere veloce nella risposta, per proteggerli, oltreche’ per difendere se stesse. Questo si ottiene con un maggior numero di fibre che collegano i due emisferi, tramite una parte centrale detta corpo calloso, circa il 20 % piu’ degli uomini, queste cose spesso la scienza per maschilismo le ha finora trascurate.
Tutto questo vale naturalmente in generale, perche’ il cervello e’ anche plasmabile dall’ ambiente a seconda delle circostanze, educazione, decisioni, ecc.
Cosi’ possiamo spiegarci come nelle persone in cui prevale per educazione, ecc. la parte sinistra del cervello la visione delle cose avviene per schemi, modelli, pregiudizi, molto rigidi e resistenti al cambiamento; mentre nelle persone in cui prevale l’emisfero destro la percezione del mondo avviene in modo libero e creativo con apertura al nuovo e al giusto, tuttavia spesso con difficolta’ di adattamento e ipersensibilita’. 
Cio’ spiega anche le difficolta’ di comunicazione tra uomo e donna, tra persone con prevalente raziocinio o sensitivita’, tra bambini e adulti, ecc.
Il condizionamento in psicologia comportamentale e’ considerato una associazione tra uno stimolo neutro e uno piacevole o spiacevole, ripetuti, con una risposta, in seguito, anche di fronte allo stimolo neutro.
Ad es. associazione ‘scuola’ – ‘paura del giudizio’,poi viene ansia anche se si entra in una istituzione simile, come universita’, ministeri, ecc.
Infatti piu’ un pensiero o una abitudine si ripetono, piu’ si rinforzano nel cervello e piu’ tempo e sforzo ci vuole per cambiare schemi diventati automatici e ripetitivi. Per gli anziani, che hanno rinforzato gli schemi avuti da giovani, e’ molto piu’ difficile cambiarli. 
Per questo tutti dovremmo avere pazienza con noi stessi e con gli altri, poiche’ anche con la ‘volonta’ non si puo’ fisiologicamente cambiare a piacimento da un giorno o da un mese all’altro, ma solo gradualmente e con costanza nel tempo.
Ad es. smettere di fumare o bere da un giorno all’ altro o diete drastiche, provocano all’organismo una forte pressione che puo’ sfociare in altri vizi o problemi in seguito, a volte cosi’ forti da non riuscire a controllarli (es. mangiare molto, uso di farmaci, malattie, ansie, ecc.) o anche frustrazione e bisogno di parlare male o rabbia verso chi si concede cose che la persona si e’ proibita con violenza (si tratta quindi di una repressione).
Se si sono formati i condizionamenti nell’infanzia, solo in seguito, quando cresciamo, possiamo, spesso con grande sforzo, decidere di combattere le cattive abitudini che riconosciamo negative per noi e per gli altri, ma solo con ripetuto impegno, con contro-programmi positivi o alternativi e a piccoli passi. 

Ciro Aurigemma, psicologo

“Emulazione nei comportamenti femminili infantili.. e doveri materni”





Ecco, mi tocca. Nella mia mente l’avrò formulato mille volte, ma come ben sapete, verba volant scripta manent. Parlare fra donne di bambine è facilissimo e senza fine, ma scriverne è tutt’altra faccenda.

A grande richiesta vi parlerò quindi finalmente delle moderne
principesse capricciose che a mio avviso sono innanzitutto
multicentriche, autoeducative, mutevoli, accanite osservatrici,
maestrine in erba, curiosissime e nello specifico interessate al mondo
delle relazioni umane.

Per semplificare e per comprensione didattica dobbiamo distinguere le
derivazioni dalla natura umana da quelle di origine culturale (quindi
appresi per educazione). Nella realtà i due aspetti si fertilizzano a
vicenda, quindi sono intimamente intrecciati e non sempre divisibili.

Sia l’uomo che la donna hanno specifici ed innati “compiti di base”
donati per così dire da madre natura, che sono meravigliosamente
complementari se supportati e sviluppati dalle culture.

Così è certamente un fatto bio-logico che le donne sono molto adatte a
custodire i bambini piccoli, visto che pure li sentono crescere sotto
il loro cuore per 9 mesi; da lì si è generata per esempio la capacità
di una certa passività (indispensabile per l’ascolto) e quella di
attesa (pazienza), come pure la facoltà di entrare in empatia con
grande facilità, nel bene (ad esempio per intuire perchè piange un
neonato) come nel male (soffrire e assorbire ogni genere di emozione
che passa per esempio dalla televisione).

Le culture umane di tutti tempi, da nord a sud, da est ad ovest sono
in fondo esempi più o meno riusciti di riconoscere (consapevolezza) e
coltivare (amare) questa meravigliosa matrice umana complementare.

Immaginate per un attimo una tribù di uomini e donne ai tempi delle
caverne, o se preferite andare un po’ più avanti nel tempo, già
contadini e coltivatori delle terre.

Gli uomini a caccia, o sui campi o presi da qualche costruzione o
occupati in qualche conflitto di territorio (guerre), e le donne che
si occupano del resto: gravidanza, parto, allattamento, accudire i
bambini di varie età, cercare il cibo vegetale e trasformarlo,
scambiare merce (a quale donna non piace girare per i mercati?),
scambiare nozioni utili (qui serve la curiosità) produrre il vestiario
(conciare, tessere, rammendare), occuparsi dei feriti e dei malati
(attraverso la conoscenza delle piante e altri rimedi curativi),
insegnare alla prole, coltivare il bello, ballare, cantare. Il tutto
quasi sempre insieme, in gruppo, perché le donne cantavano sempre
mentre svolgevano i compiti quotidiani spesso pesantissimi e faticosi,
per alleggerire la fatica e condividere e perfino per descrivere ai
posteri i lavori svolti. Poi se necessario aiutavano pure durante la
caccia e nelle guerre. Vi pare poco?

Dopo questo bell’elenco di funzioni potete senz’altro intuire il senso
bio-logico della curiosità multicentrica o multiforme delle vostre
bambine. Assorbono praticamente tutto a mo’ di radar. Qualsiasi cosa
sembra di loro interesse, della serie “non si sa mai dovesse servirmi
un domani”. Se ad esempio avete perso una chiavetta in casa state
sicuri che la troverà la vostra bimba di 4 anni e non il fratello
maschio di 12 anni (che trova invece tutti oggetti di suo interesse:
grandi, pesanti, e… pericolosi).

Metaforicamente il genere donna è rappresentabile dall’elemento acqua;
assorbe tutto, mette in relazione tutto, memorizza quasi tutto e per
sempre (ricordate le recenti conferme sulla memoria dell’acqua?) si
adatta a qualsiasi recipiente, e quando decide e vuole assolutamente
qualcosa si comporta come l’onda che sbatte contro la roccia (magari
un povero marito) e infine se la mangia pian piano, la roccia
ovviamente, e magari ottiene ciò che vuole (il divano in pelle da 3
mila euro) oppure si trasforma in tsunami che fa tabula rasa (quando
volano i piatti per esempio); come pure può sembrare un tranquillo
lago accogliente o un ruscello allegro quando è beatamente innamorata.

Una bambina che cresce in campagna con 5 maschi si trasforma
facilmente nel sesto maschietto (capacità di adattamento), mentre un
maschio che cresce con 10 bambine diventerà difficilmente una femmina.
Principio rigido di qua, principio elastico di là.

Interessanti studi su bambini di 3-4 anni rivelano che la stessa
storiella viene raccontato in maniera molto differente dai maschietti
e dalle femminucce: il maschio riporta soprattutto i fatti, tipo “il
brigante forte, armato fin sotto i denti ha rubato cento sacchi
strapieni di monete d’oro”, mentre le bambine si occupano maggiormente
delle relazioni e problematiche sociali della favola: “il brigante era
nato in una famiglia povera quindi rubava ai signori ricchi per dare i
soldini ai più poveri”.

Altri studi rivelano che il maschio è prevalentemente un’essere
visivo, mentre le donne (quindi pure le bambine) sono prevalentemente
uditive. Pensate ad esempio alla forza che producono complimenti anche
piccoli su noi donne: semplicemente non ci stanchiamo mai a sentirci
dire che il passato di verdure è squisito, mentre per l’uomo vale più
la regola: “è sufficiente dirlo una volta per tutte”.

Esperimenti hanno anche dimostrato che bambine di pochi mesi possono
già osservare un volto umano per molto tempo, mentre i maschietti
preferiscono seguire oggetti/soggetti in movimento (macchinina,
animale, aspirapolvere). In effetti prima di leggere per caso di
queste ricerche avevo notato da tempo che bambine anche piccolissime
mi fissavano quasi volessero farmi una radiografia.

Nel post sui maschi vi ho fatto notare che le mamme delle bambine sono
spesso a terra con i nervi (e quelle dei maschietti sono a terra
fisicamente); spero che ora vi sia chiaro il motivo: la mamma è una
sorta di punching ball, giusto per fare qualche esercitazione sul
concetto delle relazioni umane.
Spesso la mamma è purtroppo l’unica femmina nei paraggi per lunghi
periodi, quindi tocca quotidianamente a lei il ruolo di
training-partner; a scuola arrivano poi finalmente le amichette, con
tutti gli alti e bassi della questione.

Invece basterebbe mettere le bambine nella condizione di stare con
tante donne di tutte le età (un po’ come nei popoli primordiali) e il
problema si spalmerebbe democraticamente su più donne. Purtroppo
oggigiorno molte donne di riferimento sono i personaggi che popolano
la televisione! Ogni telenovela diventa palestra per
assorbire/apprendere comportamenti femminili culturali
discutibilissimi(e qui non mi addentro!) e qui ahimé casca l’asino: in
televisione troviamo spesso il peggio del peggio: invidia, tradimento,
pettegolezzo, falsità, bugie, vendette, protagonismo… sono proprio
finiti i tempi alla pippicalzelunghe dove la forza d’animo,
l’intelligenza creativa, la lealtà e la ricerca della verità erano i
protagonisti.

Ricordatevi: le bambine sono affamate di ogni tipo di relazione
sociale e assorbono come spugne secche; la televisione sputa sempre
qualche disgustosa pappa pronta per il popolo femminile affamato di
relazioni. Aggiungiamo poi nonne, zie, insegnanti e mamme ansiose (in
perenne empatia con le tragiche faccende che succedono nel
pericolosissimo mondo, pronte per essere raccontate con tanto di
empatia colorata alle amiche e vicine di casa).

Ma dove sono le nonne, le zie e le mamme toste che non hanno paura di
nessuno, del sindaco, del poliziotto, del ladruncolo, o del cane che
vuole rubare le galline. Gli esempi autorevoli insomma! Troppe donne
(grazie ad un preciso e sofisticato marketing) si sono trasformate in
noiosi pappagalli ansiosi.

Andiamo vedere nei paesi poveri: chi manda avanti quotidianamente la
baracca (famiglia, cibo, istruzione, a volte la nuda sopravvivenza)
mentre molti/troppi dei maschi bevono, si drogano, giocano a dadi o
peggio nelle guerriglie di turno?
Scusate questo sfogo emozionale, sono disposta a discuterne; ma siamo
messi ancora male e urge un netto cambio di rotta.

Alle bambine in crescita servono assolutamente esempi reali di
coalizione femminile, di coraggio, di etica sociale, e non fiocchi
rosa, scarpine firmate con i tacchi, unghie laccate e pettegolezzi.

Non mi sono purtroppo soffermata sulla capacità di autoeducazione (ci
sono tanti esempi storici) e la mania di fare la maestrina a chiunque
si presta (bimbi piccoli, coetanei imbranati, perfino adulti);
ovviamente sono caratteristiche utili per svolgere al meglio i ruoli
biologici futuri.

In questo senso mi preme invece offrirvi un piccolo consiglio:
smettiamo di cercare di educare i nostri mariti e partner: non sono
più bambini, anche se magari lo crediamo (veramente una pessima e
diffusa abitudine). I risultati, rispetto all’impegno che profondiamo,
sono irrilevanti e non otteniamo altro che una decisa perdita di
tempo. Meglio educare noi stesse.

Cosa possiamo fare allora? Come incanalare al meglio tutte questo mix
di caratteristiche femminili?

Il mio parere è che dobbiamo partire dalle madri, che sono sempre e
comunque il primo riferimento per ogni bambina. Ecco i miei consigli
alle mamme:

•Fate quindi qualche cosa per voi stesse: un corso di danza del
ventre, arti marziali, canto, cucina consapevole (leggete il pasto
nudo!), pittura o cucito;
•Fate più attenzione a come vi esprimete. Le vostre figlie assorbono
il vostro modus parlandi: se brontolate quando fate le pulizie, anche
loro da grandi faranno lo stesso. Mettete su piuttosto una bella
musica e ballate con l’aspirapolvere (proprio qui inizia
l’autoeducazione);
•Imparate qualchecosa sull’agricoltura, iniziate magari con le piante
aromatiche e le piante medicinali: coltivatele sul terrazzo. Prendete
dei libri e studiate. Le vostre figlie vi guarderanno incuriosite e vi
imiteranno;
•Fate gruppo con altre donne, care mamme; o mandate le vostre figlie
da qualche nonna ancora in gamba, e se non c’è, da qualche bella
signora che ancora ragiona con la propria testa, magari per imparare
l’uncinetto o altre arti e abilità come il lavoro della creta. Oppure
unitevi insieme, cercate una brava insegnante e varate dei piccoli
laboratori creativi di cucina, pittura, cucito, canto, scrittura,
ballo etnico;
•Fate escursioni in piccoli gruppi; osservate la natura, imparate i
nomi dei fiori e degli alberi, autoinsegnatevi quello che la scuola
tralascia;
•Cominciate a interessarvi bene di come e cosa mangiano i vostri figli
a scuola. Non mandate giù ogni assurdità. Inserite il cervello,
cercate di comprendere quale regola è veramente utile. Se per esempio
è proibito festeggiare il compleanno a scuola con una bella torta
fatta a casa vostra chiedetevi *per chi* è stata stabilita quella
regola! Poi inventate una soluzione.
In Germania tutti fanno le torte a casa e poi le portano a scuola o
alle feste in strada, e negli alberghi, quelli giusti, trovate i
barattoloni con le marmellate preparate dalla padrona di casa, e pure
le sue torte e crostate, come foste a casa vostra. A me non risultano
vittime di tale *terribile pratica*. Mi viene male se penso a tutte
quelle vaschette di alluminio che si consumano in Italia negli
alberghi e tutte quelle terribili brioches confezionate, il latte UHT
perfino negli alberghi a 4 stelle. Le vostre figlie daranno le stesse
cose ai loro figli se voi non date qualche segnale di disappunto. Se
mostrate coraggio lo insegnate alle vostre figlie (e ai vostri figli);
•I gruppi di teatro sono ottimi: lì il cambio di ruolo è pane
quotidiano e diventa istruttivo. In casa tenete un baule con vecchi
vestiti e costumi (magari autoprodotti), cappelli e ombrelli per i
travestimenti e i giochi di ruolo;
•Attenzione ai libri che scegliete; anche i cartoni, i film
pomeridiani, le telenovele sono strapiene di modelli veramente
negativi per le bambine. A me piacciono molto i libri di Michael Ende;
•Le bambine amano moltissimo le parole: fategli scrivere 100 o più
parole su tanti fogliettini, e poi metteteli in una scatola/cappello.
Si pescano 4-5 parole a caso, poi si crea una storia, una filastrocca,
una poesia. Questo gioco è divertente pure per i grandi;
•Interessatevi di calligrafia: una pratica meravigliosa. Qui
un’indirizzo veramente utile, bello, istruttivo e creativo. Ho fatto
diversi corsi con la bravissima Monica Dengo e la calligrafia mi ha
arricchito moltissimo;
•Se riuscite e avete i mezzi avvicinate le bambine alla musica; canto
in gruppo, uno strumento, frequentate il teatro per ragazzi; ci sono
belle tante cose in giro.
Molti di questi consigli vanno benissimo anche per i maschi,
soprattutto il teatro e la musica, due delle arti umane nobili ed
intramontabili.

Allora? Siete arrivati fino in fondo!?
Grazie per aver letto il papiro. Un articolo molto lungo, ma non avevo
voglia di spezzarlo in due, e non avrei nemmeno saputo stringerlo. Mi
affiora la consapevolezza che ci sarebbe ancora moltissimo da dire…
sarà perché sono una donna!

Sabine Eck

Galileo Galilei ed il viaggio quantico


Galileo Galilei, inquisito


Nel 1623 Galileo pubblica "Il Saggiatore" (dal nome di un bilancino di precisione, contrapposto idealmente alla libra, bilancia approssimativa tal quale, a suo dire, il pensiero aristotelico). 

Curioso a dirsi, per una volta lo scritto non incontra l'ostilità del papa (che all'epoca, dopo la morte del già inquisitore Bellarmino, è Urbano III), anzi una certa benevolenza degli ambienti ecclesiali. Forse perché Galileo include certe posizioni filosofiche le quali benché di origine sperimentale (benché simili al genere dell'"esperimento mentale, poi tanto caro ad Albert Einstein) sfociano in conclusioni in qualche modo compatibili con l'idealismo.


Quali sono, si chiede l'autore, le qualità veramente oggettive del mondo? Per poterle dire proprie degli oggetti esse devono risultare indipendenti dagli accidenti dei sensi. Poniamo il caso del colore di un oggetto: esso dipende dal meccanismo della visione oculare, tant'è vero che se un uomo fosse cieco, o gli fossero stati cavati gli occhi, non vedrebbe alcun colore. 

Non si tratta dunque di una proprietà intrinseca dell' "ente in sé", bensì della specifica relazione sensoriale tra osservatore ed osservato, la quale nemmeno esiste se si immagini il caso in cui l'organo di senso sia eliminato. Parimenti si può dire dei suoni.


Procedendo in modo un po' macabro su questa linea di pensiero lo scienziato pisano immagina cosa accadrebbe se un essere umano fosse privato di occhi, naso, orecchie, lingua, epidermide, e, ormai privo di organi di senso, possa comunque il suo cervello continuare a pensare, non essendo morto.


Che cosa rimane a quel punto che sia studiabile e comprensibile? 

In modo analogo a quanto fece qualche decennio più tardi Locke, Galileo dichiara sopravvivere le qualità cosiddette "primarie", che sono a suo dire la forma geometrica dei corpi, il numero delle parti che li costituiscono, la loro condizione di quiete o movimento, tutti oggetto di studio di matematica, geometria e fisica.


L'argomento, in realtà, appare piuttosto debole ed arbitrario, attraverso il tentativo si separazione tra diverse funzioni organiche umane. Se proviamo a distinguere nella fisiologia umana funzioni primarie (quelle indispensabili alla sopravvivenza) e secondarie, possiamo qualificare primari gli organi della circolazione sanguigna o della respirazione, ma non propriamente il cervello, perlomeno riguardo le sue attività coscienti, come dimostrato dal fatto concreto che un essere umano può sopravvivere (in certi casi anche a lungo, e talvolta riemergendone in secondo tempo) in stato di coma, nel quale l'attività cosciente manca. 

Dunque, è scelta completamente immotivata e arbitraria quella di qualificare primarie le qualità superstiti attraverso l'attività cerebrale cosciente piuttosto che quella visiva o uditiva.

Ma c'è di peggio. Nell'ipotesi espressa di un umano privato degli organi di senso benché ancor vivo con cervello cosciente in funzione, gli elementi citati come primari (geometria, numero delle parti, stato di quiete o moto) vengono a mancare del loro fondamento, ovvero degli elementi sensoriali che permettono la formazione stessa di questi concetti immaginati quali oggetti di studio: non ci si può costruire alcuna idea di forma, partizione, quiete o moto senza poter vedere, toccare o in qualche modo percepire attraverso le relazioni sensoriali, e tutta la teoria delle qualità "primarie" quali oggettive crolla senza scampo.


Naturalmente, si può immaginare che un uomo abbia formato tali concetti prima di venire privato dei sensi, e possa dunque continuare ad elaborarli, allo stesso modo di Beetheoven che continuò a comporre musica (ottima) pur non potendola sentire, poi che era divenuto sordo.


Ma in tal caso, lo stesso ragionamento si può riapplicare anche alle altre qualità (e la citazione non casuale dell'opera di Beethoven lo conferma): una volta formati i concetti dedotti dall'elaborazione delle informazioni originali sensoriali, essi possono venire elaborati e studiati anche quando non vi siano più segnali.


Dunque, in effetti, tutti i concetti ideali si fondano su una origine sensoriale, ed esprimono nient'altro che qualità relazionali tra l'essere umano e l'ambiente, senza alcuna qualità "oggettiva" che possa essere riferita all'oggetto in sé, privato di alcuna osservazione.


Il che risulta sempre più evidente nella fisica moderna, giacché lo studio quantorelativistico di campi e particelle mostra niente altro che una complessa rete di relazioni/trasferimenti energetici, e niente altro.


A Galileo, così come ai filosofi, gioverebbe probabilmente la lettura non solo della fisica moderna, ma anche di opere quali "la politica dell'esperienza", nella quale l'antipsichiatra scozzese Ronald Laing analizzava con cura le fenomenologie del nostro sentire e pensare.


Con le quali direi che la cultura contemporanea farebbe bene a ri-familiarizzare meglio, in modo da riconsiderare la vita e l'esperienza umana nella sua vastità, non comprimibile entro stretti recinti culturali, politici o filosofici. L'intero mondo delle sensazioni e dei pensieri non è che un mondo di relazioni, di una vastità e varietà senza fine, senza le quali peraltro non sopravvivono né esperienza né conoscenza né pensiero.

Vincenzo Zamboni