Spirito Naturale - Anche l'albero esprime intelligenza e coscienza...

Anche l'albero esprime coscienza ed intelligenza


Il concetto di  spiritualità è una attribuzione di carattere umano. Si dice che solo l'uomo sia in grado di sperimentare coscienza di sé ed intelligenza discriminativa e razionale. Questa capacità possiamo anche definirla "spirito" ...

Allo stesso tempo siccome non esiste cosa su questa terra e nell'universo, che possa dirsi separata -in quanto il tutto si manifesta nella totalità del "tutto"- e la vita stessa è inscindibile nelle sue varie manifestazioni, manifestando radici comuni in tutte le sue forme, di qualsiasi genere e natura, si può intuire che la caratteristica della "coscienza-intelligenza" sia presente in ogni elemento vivo, che dimostra nascita, crescita e morte, sia pur in diversi gradienti.

Facciamo l'esempio della crescita in "intelligenza e coscienza" come avviene nell'uomo. Cominciando dalla sua formazione in quanto unione di spermatozoo ed ovulo, passando per la sua fase embrionale, alla formazione completa degli organi, alla fuoriuscita dal grembo, all'inizio della sua capacità di apprendimento e discernimento... attraverso vari momenti evolutivi che -pur apparentemente differenti in qualità- rappresentano comunque una crescita del medesimo soggetto.
 
Se ciò avviene nell'uomo perché non ipotizzare che possa avvenire in ogni altra forma vitale, pur in una scala differenziata e di diversa qualità? Se accettiamo questa premessa come un presupposto di condivisione della stessa qualità di "coscienza ed intelligenza", ecco che improvvisamente possiamo riconoscere in tutto ciò che è vivo la qualità "spirituale"...
 
Ma ben inteso non in senso religioso... quella è un'assunzione che non ci compete a noi laici ed ecologisti. No, riconosciamo lo "spirito" in quanto capacità della vita di esprimere se stessa in forme energetiche dotate di coscienza.. e qui possiamo fermarci...

Poi, dal punto di vista poetico ed emozionale, perché non descrivere la vita di un albero come espressione spirituale della natura? Cosa c'è di male...
 
Innegabilmente l'albero è vivo e si esprime attraverso le sue funzioni biologiche e manifesta desideri e repulsioni, come noi umani....

Paolo D'Arpini

Indumukhi Iriana: “Le mie esperienze spirituali” – Racconto presentato al Concilio sulla Spiritualità Laica di Monteorsello di Guiglia


Iriana


Cari amici, attendevo con grande entusiasmo questo interessante convegno (Concilio sulla Spiritualità Laica –http://riciclaggiodellamemoria.blogspot.it/2013/06/concilio-sulla-spiritualita-laica.html)
e sopratutto il compleanno della nostra cara Caterina. Ma purtroppo per motivi di trasloco ad un’altra città, non riesco ad esserci con tutti voi. Mi è stato chiesto di scrivere 2 righe sul mio cammino spirituale, che comunque non è che appena iniziato.
Ho provato a scrivere tutto ma in 2 righe non ci sta, nemmeno in 2 pagine , per ciò non mi fermerò sui dettagli. Sono stata una bambina cresciuta in città ma anche in campagna. Le domeniche aiutavo mia nonna a spelacchiare i conigli per aggiungere la carne nella paella (sono valenciana).
Anche se dentro di me avevo dei pensieri profondi, questi non sbocciavano più che nei disegni che mi piaceva fare quando ero da sola. Del resto ero come tante altre ragazze: cercavo il divertimento bevendo, fumando, e mangiavo animali come una cosa normale. Nel 2003 mi trasferii in Italia e niente era cambiato anche se l’arte e l’archeologia qui mi portavano lontano nel tempo ed iniziavo ad interessarmi di cose più costruttive e meno distruttive ehehe. Nel 2009 la mia vita diede il giro definitivo. Feci un viaggio all’antica Avalon in Inghilterra ed alloggiai senza saperlo in un ashram di devoti. Li conobbi persone, musiche e preghiere che non avevo visto in vita mia, tutto con un marcato accento orientale.
Fui invitata ad un festival in Italia (che fortuna, abitavo proprio qui) ed anche se non potete rimanere piu di un weekend, devo dire che fu il weekend più magico e miracoloso della mia vita. Senza sapere cosa era un Gurudeva o chi era Krishna o Radharani, fui spinta a prendere iniziazione. Dopo inizio un periodo di prove molto dure per me, dato che pagai un prezzo caro per ottenere ciò che era più prezioso: una relazione fra me e Dio. Grazie a questa iniziazione, visitai un tempio in Spagna dove lasciai la mia mail per ricevere la mailing list.
Poco tempo dopo, ricevette un invito per un weekend ad Assisi, in compagnia di un signore che io non avevo mai visto ne sentito parlare. Una frase attirò la mia attenzione: “ultimo discepolo vivo di Gandhi”. E cosi mi dissi, ok, non conosco ancora Assisi, deve essere bella, ci vado. Ed incuriosita ci andai a quel weekend dove incontrai il mio secondo maestro, anche lui indiano, ma con cui mi trovavo sinceramente, grazie al suo sorriso ed alla sua dolcezza, molto più al mio agio.
Ricordo che fu un weekend bellissimo, dove mi venne chiesto di tradurre simultaneamente per un gruppo di spagnoli. Cosa provai quando sentii le parole di quel piccolo uomo che sorrideva tutto il tempo, simile al nanetto della Guerra delle Galassie, che non voleva baciamani ne sedersi su nessun palco ne nessuna classe di ammirazione ne essere chiamato Maestro?? Semplicemente, trovai me stessa. Fu come trovarsi davanti ad uno specchio. Non me stessa perché sono al suo livello (neanche in 1000 vite lo sarò), ma me stessa perché tutte le realizzazioni che avevo maturato nei miei anni, erano li, ed sbocciavano dalle sue labbra in forma di parole, e dalle sue mani in forma di libri.
E tutto ciò usciva da un solo posto: dal suo cuore. Poco tempo dopo, lui decise di aprire una casa editrice e mi chiese di tradurre i suoi più di 40 libri allo spagnolo, ed il primo fu già pubblicato prima che lui lasciassi il corpo. Ed allora mi trovai in un bivio: Seguire le rigide regole del gruppo vasihnava o amare Dio in forma libera ed spontanea senza parafernalie? Soffrii di nuovo un duro periodo di pensieri opposti. Ma il tempo tutto aiuta, e finalmente ho potuto inserire ogni pezzo nel suo posto. Soltanto dopo un tempo, ho potuto capire, che anche se il mio Gurudeva mi impauriva con i suoi occhi blu come il giaccio, era necessario conoscerlo, perché grazie a lui conobbi Krishna, mio marito e lui era la chiave per aprirmi la porta per quel invito ad Assisi. Senza lui e senza quel magico weekend a Venezia, non avrei mai conosciuto poi il mio maestro di vita. Ho capito che non c’era nulla d’abbandonare, ma tutto da accogliere.
Ho capito che Dio è Uno, e che gli insegnamenti di tutti e due possono inserirsi nella mia vita e non sono opposti fra di loro. Il mio Gurudeva, Narayana Maharaja, lasciò il corpo il 29 dicembre dell 2010. Padre Anthony se ne andò con 96 anni, 1 anno dopo, il giorno del suo amatissimo San Francesco. Ringrazio tutti e due a cui tengo sempre molto presenti, e ringrazio Dio per avermi dato l’opportunità di soltanto in 1 anno, aver conosciuto queste elevate anime ed aver potuto ricevere le indicazioni per la giusta strada. Prego ogni giorno perché non mi abbandoni. La vita dei devoti, è come il filo di un rasoio, si rischia sempre di cadere. Ma ho capito da me stessa, che quante meno limitazioni ci creiamo e quanto più libera è la nostra forma di amare Dio, meno rischio c’è di cadere, oppure più bassa è la caduta.
Del resto, e di tutti i miracoli che mi sono capitati dandomi prova del Guru e di Dio, inspiegabili alla coscienza umana, non sto a raccontare perché sarebbe troppo lunga….ed spero che non si fermino mai di sorprendermi.
Ma comunque spero di aver potuto trasmettere un pezzettino di quella magia e quel entusiasmo che ho vissuto in quel anno fugace ed importante della mia vita, il 2009.
Come dice Padre Anthony: “Non dire questo è mio perciò è una verità, ma devi dire, questo è una verità, perciò la faccio mia”.
Caterina e Paolo, grazie per il vostro invito e la vostra amicizia, e buon compleanno cara. Ed adesso….andiamo AVANTI cari!

Sempre uniti nell’Uno senza secondo, un abbraccio dal cuore,
Indumukhi Iriana

Iriana  ai piedi di Padre Anthony

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Dal limbo della memoria - Breve saggio sulla Spiritualità Laica


Solo in una sala - Palazzo Baronale di Calcata

Ho tenuto lo scritto che segue per un po' di tempo  nel cassetto, come si dice, per farlo decantare e renderlo quindi più solido e comprensibile. Non che abbia cambiato qualche parola, no, è assolutamente lo stesso di quando l'ho lasciato lì a riposare ... ma credo che quella sosta nel limbo della memoria sia stata sufficiente per renderlo più intellegibile, soprattutto a me stesso. Dico così perché in verità non so bene nemmeno io quello che esce da questa tastiera, a volte i pensieri e le parole vengono trascritte ma mi sono sconosciute, le conosco solo nel momento in cui appaiono davanti sullo schermo.

Lo scopo dello scritto è quello di mettere in chiaro alcuni concetti base su ciò che io chiamo "Spiritualità Laica" che non è certo una nuova filosofia, assolutamente no! Semplicemente è un modo di esprimere qualcosa che c'era già, nella mia via personalizzata del ritorno a casa.

Per una sorta di simpatia che percepisco verso tutte le persone con le quali riesco a condividere emozioni e sentimenti ho pensato che potesse essere utile (per me e per loro) chiarire alcuni aspetti dell'auto conoscenza che ancora si rivolgono alla persona. Poiché (comunque) dalla persona dobbiamo partire in quanto depositaria della prima scintilla di Coscienza dalla quale tutto deriva. Non voglio perciò sminuire il valore di questa persona, e come "questa" anche tutte le altre che pazientemente seguono e precedono.

Conoscere le caratteristiche incarnate, saper individuare le pulsioni che contraddistinguono la nostra persona, è sicuramente utile per non farci imbrogliare dalla mente, per non cadere nella trappola della falsa identità. Infatti tutto ciò che può essere descritto non può essere “noi” ma solo la struttura funzionale del corpo/mente (nella quale ci riconosciamo). Questo apparato psico-fisico è il risultato della commistione di forze naturali (od elementi) e di qualità psichiche (che degli elementi sono espressione). Nella multiforme interconnessione di queste energie gli infiniti esseri prendono forma…. Anche se –in verità- non si tratta di “forze” né di “esseri” bensì di una singola forza e di un solo essere che assume vari aspetti durante il suo svolgersi nello spazio-tempo.

Ma qui occorre descrivere la “capacità separativa” (il divenire) che produce l’illusione della diversità. Essa è il primo concetto che si forma nella mente (in effetti è la mente stessa) contemporaneamente all’apparire del pensiero “io”. 

Attenzione non mi riferisco qui all’Io Assoluto, l’Essere ed esserne coscienti aldilà di ogni identificazione, parlo invece del primo riflesso cosciente (di tale Io) nella mente e che consente l’oggettivazione e la percezione dell’esteriorità attraverso i sensi. In tal modo si attua il meccanismo dissociativo ed identificativo di “io sono questo” e quel che viene osservato “è altro”.  Così il dualismo assume una sembianza di realtà e viene corroborato dalla causalità consequenziale alle trasformazioni che si srotolano nello spazio/tempo. 

Il processo formativo duale è di facile individuazione da parte dell’accorto intelletto (nel  senso di attento) ma questa considerazione è ancora all’interno del riflesso speculare della mente, per cui dal punto di vista della Conoscenza Assoluta anche questa spiegazione (o comprensione) è futile, forse innecessaria e magari addirittura fuorviante… (a causa della tendenza appropriativa del pensiero speculare) e qui ritorno alla necessità di conoscere la propria mente per non rimanere ingannati dalle sue elucubrazioni empiriche, tese cioè a dimostrare una realtà oggettiva.

Qualcuno potrebbe chiedersi a questo punto: “…Allora perché scrivere tutto ciò? Perché leggerlo?” –  Ma la risposta è banale, talvolta prima di gettare l’immondizia sentiamo il bisogno di esaminarla in ogni particolare in modo da non aver poi rimpianti… Purtroppo in anni ed anni di volo basso abbiamo sviluppato un forte attaccamento alla zavorra…!

Paolo D’Arpini



Post Scriptum.

La coscienza individuale è in costante movimento ed evoluzione, seguendo i diversi modi di sviluppo della società od i periodi storici nei quali si manifestano le vicende umane. Ogni transizione assomiglia al superamento di un livello d’apprendimento, un po’ come succede nella spirale del DNA. La coscienza, in questo caso meglio definirla mente, si muove dalle espressioni più semplici a quelle più complesse. Una sorta di testimonianza-memoria dei vari processi sofisticati della vita.

Swami Ramatirtha: "Senza nome né forma - Mi vedi? Chi sono io...?"


Omaggio a Swami Ramatirtha

 
           Mendicante che impera

Quando scrivo non sento mai, o quasi mai, l’impulso di affermare qualcosa di definitivo, di "realmente" corrispondente al mio sentire..  Le mie parole sono semplicemente espressioni, pescate nell’umore del momento e valide al solo fine di poter raccontare una storia apparentemente “sensata”. 

Insomma quel che dico è un raccontino, una descrizione di
un sogno.. e  i sogni sono imponderabili e fantasiosi..


Salvo che non ci si metta Freud, la Smorfia o l’I Ching a dare una spiegazione… una parte di me è pur favorevole a quello che io stesso esprimo. 

Adoro l’idea della scalata come simbolo verso la conoscenza.. e questa è l’immagine che solitamente si da alla crescita, in tutte le tradizioni spirituali. Ma nella mia natura umana (e di conseguenza anche in quella spirituale) permane una fondamentale “pigrizia”  verso l’agire per l’ottenimento  della conoscenza acquisibile. Mi piace molto il detto: “Seduto senza far nulla, viene la primavera e l’erba cresce da sé…”.

In verità il Sé è indescrivibile a parole, è aldilà dei sentimenti e delle emozioni, pur comprendendo sino al più piccolo movimento della coscienza.. Tutto comprende ma di nessuna cosa assume la forma. 


Il Sé è il substrato perennemente presente che consente alle forme di manifestarsi. Ed in questo senso in “esso” non c’è preferenza non esiste scala di valori per cui il Sé possa prediligere un discorso rispetto ad un altro. Non vi sono argomenti nobili e metafisici da preferire rispetto alla materialità  ed alla contingenza empirica. 

Ogni cosa ha il suo valore ed il suo significato nella manifestazione che le è propria e confacente alla condizione vissuta. Perciò l’intensità e il senso di presenza che si sperimenta salendo su una vetta equivale al mio "riposo" contemplativo. Ad ognuno secondo le congeniali
caratteristiche di ognuno.

Oggi stavo rileggendo una poesia sul Sé, lasciatami in amoroso pegno dall’amico fraterno Upahar che il 24 settembre u.s. se ne partito per Arunachala, ed intanto mi chiedo: c’è mai stato un momento in cui io non sia stato me stesso? 


Questo io che così fortemente sento e percepisco, questo io è la sola realtà che conosco, è coscienza assoluta e indivisibile. Tutto ciò che appare in questa coscienza, le immagini che io osservo, tutto ciò che si mostra all’io è un oggetto, questo corpo è un oggetto, la mente è un oggetto, le forme variopinte del mondo sono solo oggetti.. dell’io.

Le qualità, le sensazioni, le attrazioni e repulsioni che appaiono nel campo della coscienza, che io sono, sono solo proiezioni come lo sono i sogni che appaiono al sognatore. Se io non sono chi è? Ma poi… come posso lontanamente immaginare separazione fra l’io e le proiezioni dell’io, tutto si risolve nella stessa realtà, unica ed indivisibile, inspiegabile perché non vi è nessuno a cui poterla spiegare…. Questo
io sono in cui anche l’ipotetico altro si riconosce come io sono….


Ed ecco la poesia...

“Mi vedi? Chi sono io? Sono l’albeggiare della luce divina. Sono l’amore, l’amante e l’amato. Radiando in ogni luogo. Io solo esisto.
Il mio posto è l’assenza di ogni posto. Mi sono nascosto sotto un velo… per meglio godere dello spettacolo.
Dimmi fratello, chi dovrei cercare? Chi potrei trovare?
Io solo esisto. Io sono quell’assoluta essenza priva di limiti,
dinnanzi alla quale l’intelletto ammutolisce, come un bambino.  Certi mi chiamano Allah… altri Signore. Accetto ogni attributo ed ogni nome.
Per me il tempio, la moschea o la chiesa sono uguali.   Né dualità né non-dualità si associano a me. Oltre me nulla era, è o sarà.
Tutte le rose e tutte le spine del mondo non sono altro che me. Sono l’amico ed anche il nemico.  Se c’è una riva da questa parte, sono io.
Se c’è una riva da quella parte, sono io. Sono il legame del sottomesso e la libertà del libero…. È la mia bellezza che tocca il cuore del mondo, sono io che do fragranza alla rosa, brillantezza ai gioielli, i belli debbono a me il loro potere d’attrarre.
Do l’oro al sole e l’argento alla luna, e loro danzano in ubbidienza, e le stelle della Via Lattea brillano chiamandomi, ma dove potrei andare? Sono già presente nei loro occhi! Niente esiste a parte me, nessun mondo, nessun Dio, nessun devoto.
Quando l’uccello del cuore è preso nella trappola degli attaccamenti, tutto questo accade in me solo. Il bene il male che significato hanno per me? Sono colui che si inchina e colui al quale l’inchino viene rivolto. 

Sono il maestro ed il discepolo, dentro ogni cosa trascendo
ogni cosa. Io solo esisto” - Swami Ramatirtha -
 


Paolo D’Arpini


Foto scattata da Upahar  dal titolo:
"Un maestro pazzo"



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Commento di N.L.: “Oggi camminando per la strada ho incontrato un signore, seduto, davanti a sé un piano di lavoro alto una trentina di centimetri da terra e c'erano degli oggetti sul piano ma non capivo esattamente cosa. Avvicinandomi ho notato delle spazzole di dimensioni variabili e diversi tipi di lucido. Un lustrascarpe per bacco! Un lustrascarpe... ho strabuzzato gli occhi, ma non è possibile! Ma in che anno siamo? Io non avevo mai visto un lustrascarpe se non in una rappresentazione visiva del secolo scorso. Era un uomo meraviglioso, irradiava serenità e non so perché ma la prima sensazione che ho percepito è stata quella contraria; forse non sarei riuscita a farmi lustrare le scarpe da quel signore, ma gliele avrei umilmente lustrate io! Perché racconto questa storia? Mah...forse perché la poesia di Swami Ramatirtha mi ha ricordato la meravigliosa sensazione provata oggi....”

Memoria siciliana lontana... di un popolo di "razza" italiana



Anche ora ricordo lo stupore dipinto nei miei occhi di bambino quando, alla fine degli anni ’40 o nei primi ’50 del secolo scorso, mi ritrovai per la prima volta nello sconosciuto universo del Mediterraneo italico, allorché mio padre mi condusse in uno dei suoi viaggi al sud. A quel tempo le locomotive erano tutte a vapore. Nel cielo terso che mi accompagnò sino al traghetto dello stretto di Messina ed oltre, i pennacchi di fumo puzzolente del carbone bruciato si mescolavano all’aria profumata di mille odori esotici e sconosciuti. Le spiagge bianche di Palermo, le palme, i calessi trainati da cavalli nervosi, le vecchie macchine fotografiche a lastra dalle fiammate improvvise, persino i lustrascarpe, i venditori di fichi d’india, i gelatai con le carrette variopinte…
Chi poteva immaginare che quel mondo esistesse ancora? A Roma era scomparso o mai apparso, questo almeno nei miei ricordi. E poi la gente incontrata per strada? Gente scura, alta, magra, dai capelli corvini, facce stagliate… chi erano questi, non assomigliavano per nulla ai visi rotondotti, alle panze molli dei miei concittadini romani. Ma la sensazione di stare in un altro mondo, trovandomi nel sud della penisola, non è unicamente il sentore della mia infanzia, avvenne ancora ed ancora, molto più tardi nei miei viaggi vacanza in Puglia, in Calabria, in isole poco conosciute… e poi di nuovo nelle esplorazioni di Grecia, Turchia… senza interruzione di continuità avevo scoperto le genti mediterranee, avevo scoperto le radici… d’Italia.
In effetti studiando la storia si capiva benissimo che le genti del Mediterraneo sono tutte una famiglia, magari si facevano o si fanno la guerra tra di loro, come succede spesso tra fratelli numerosi e dediti alla spartizione dell’eredità paterna, ma i modi, le abitudini, la bellezza e la bruttezza, le furbizie, le innocenze, le tradizioni erano e sono tutte uguali. Mediterraneo, casa comune. Ed è per questi motivi che pure oggi mi commuovo rileggendo le strofe poetiche di Umberto Romano e la descrizione di lui fatta da Antonio Catalfamo. Voglio condividere con voi queste emozioni.
Paolo D’Arpini

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Italiani mediterranei nelle poesie di Umberto Romano


Gli uomini del sud sono tutti uguali. Osservando per strada il “vu cumprà” arabo vedo nelle fattezze del suo viso, nel modo di camminare, nella delicatezza del gesto e del sorriso i miei concittadini di Sicilia. Esiste un cordone ombelicale che lega il nostro sud agli altri popoli del Mediterraneo, al Medio Oriente in particolare.
Umberto Romano, poeta autodidatta di Rossano Calabro, è andato alla ricerca delle comuni radici culturali. Aisir Abdallah è il nome arabo che si è dato proprio per sottolineare la comunanza delle coscienze, la necessità di una simbiosi. E su questo bisogno di valorizzare il ceppo comune insiste continuamente nel suo volumetto di versi “Spalle al muro” (Ed. a Mongolfiera- Cosenza) che reca oltre ai testi poetici in italiano, la traduzione in francese ed in arabo.
Il poeta si spoglia dei propri panni, veste quelli del beduino. Con lui divide le angosce della vita, il sogno di una rivoluzione che affranchi l’uomo del sud dallo sfruttamento, dal giogo del neocolonialismo. E ritrova la voglia antica del guerriero che aspetta l’ultima battaglia. La strada da percorrere assieme è lunga, irta di spine, anche l’amore è sofferenza: “Con lacrime / bagnai il seno / per umidificarti il cuore”:
La presenza femminile è discreta. C’è la ritrosia della donna mediterranea, descritta nella levità dei suoi movimenti. Una presenza-assenza (secondo la dialettica degli opposti, propria di questo mondo fondato su equilibri sottili, creati dal tempo), che pure lascia il segno: “Esci da queste mura / levati nel cielo / tocca i cuori, annebbia le menti / dolce cantilena liberatoria / di donna non velata di vergogna / ma di rivoluzione”.
I versi sono scabri, graffianti. Umberto Romano è poeta autodidatta ma i suoi versi, forse imperfetti, perché –per dirla con Sciascia- “la perfezione sta alla cretineria meglio che all’intelligenza, l’intelligenza ha sempre, come i tessuti dei Navajos, una qualche imperfezione o fuga..” -Ed ancora- “Se una scimmia si mettesse a battere sui tasti di una macchina da scrivere -continua Sciascia- alla fine verrebbe fuori un sonetto di Shakespeare (variante: dodici scimmie = tutti i libri dl museo britannico)”.
Romano è poeta in senso lato, pasoliniano, se è vero –com’è vero- che la poesia, oltre ad essere attività specifica, è linguaggio della vita, Romano coglie i momenti di poeticità che caratterizzano la vita di ogni uomo. La sua è la preziosa ingenuità del malnato che la società consumistica, non-ostante la funzione omologatrice dei mass-media, non è riuscita a scalfire.

Il volume si chiude con alcuni componimenti indirizzati al poeta tunisino Hichem Ben Ammar con il quale Umberto Romano ha creato una sorta di gemellaggio culturale: “Se un tempo nella tua terra / mi porterai non da visitatore / né da straniero o da profanatore / il mio spirito guerriero / vorrà rivivere per morire insieme / al caldo della polvere calpestata / dal tuo destriero”. Questi sono i versi che Romano ha voluto dedicare all’amico tunisino, sottolineando la solidarietà nella vita e nella morte. 
 Antonio Catalfamo

Tao e spiritualità laica - Getta via la giustizia e raccogli l'umanità, disperdi l'illusione e scopri la verità...


Il dito si muove... interpretando Wang Tzi


In un'ottica taoista: quando non si parlava di femminicidio, le donne venivano rispettate; quando non si parlava di omofobia, nessun omosessuale si suicidava; quando non si poneva una particolare enfasi sull’onestà, c’era onestà; quando non si parlava di animalismo, gli animali erano considerati nostri fratelli minori e parenti; quando non si proclamava a gran voce la conquista dei “diritti” come segno di civiltà, diritti e doveri rappresentavano le facce di una stessa medaglia. E ancora – mi si consenta la rispettosa ironia – quando non si parlava di “spiritualità laica” o di “spiritualità religiosa”, la libertà spirituale prosperava.


“Taglia via la santità, gitta via la prudenza // e il vantaggio del popolo sarà centuplicato // taglia via l’amore degli uomini, gitta via la giustizia // e il popolo tornerà pietoso ed amoroso // taglia via l’abilità, gitta via il guadagno // e non ci saran più ladri e banditi” (Lao-Tzu, Tao Te Ching, 19, Fi 1954).


L’aumentare delle leggi, dei decreti, delle norme, delle definizioni non fa che imprigionare e ridurre ulteriormente l’uomo. Anche in tal senso dovremmo decrescere.


Sinistra e Destra. In una sua riflessione acuta Omraam Aivanhov rileva come esse rappresentino qualità inscindibili appartenenti ad un unicum; per spiegare meglio un simile concetto usa la metafora dell’albero: la sua “sinistra” è la forza che lo induce a condividere e a donare generosamente; la sua destra è la forza che lo concentra sulle radici, sulla propria maturazione e conservazione.


Uscire dalla contrapposizione è fondamentale; diversamente gli uomini continueranno a litigare con le parole “pace”, “bene”, “amore” o “spiritualità” stampate sulle labbra. Bisogna ammetterlo, quale triste spettacolo ci appare essere quello di un albero che combatte con se stesso! Il fluire estatico dell’esistenza ne rimane paralizzato.


Non possiamo fare a meno di giudicare, ovviamente; nello stesso momento in cui si comincia a parlare o a scrivere, inevitabilmente si valuta, si discrimina e si giudica. L’importante, tuttavia, è essere consapevoli della relatività di qualsiasi cosa si possa dire o pensare. 


Quello che è giusto adesso, domani non lo sarà. La giustizia è una realtà che si vive e si onora di momento in momento e non una verità data una volta per tutte. Essere liberi, significa vivere senza pregiudizi e con piena fiducia nel presente. I nostri pensieri e le nostre impressioni – come del resto quelli altrui – vanno naturalmente rispettati, ma non assolutizzati. Secondo il grande insegnamento del Tao, la Natura ultima, su cui le “diecimila cose” si fondano, è paragonabile all’acqua che può assumere tutte le forme senza mai smettere di essere se stessa, acqua. Superfluo forse aggiungere come la maggior parte degli uomini oggi non aspirino alla “libertà; anche costoro vanno rispettati e non li si deve disturbare laddove essi chiedono ad una religione tradizionale di essere orientati verso significati superiori al semplice mangiare e bere. 


In riferimento a quanto si scrive sul Giornaletto di Saul del 23 settembre sulla “spiritualità laica”, affermare: “Certo un processo di disincrostazione dalle illusioni autoindotte è necessario… ad ognuno il metodo per liberarsi dai laccioli separativi della mente” implica il riconoscere che l’uomo non nasce libero e illuminato. Una simile riflessione inoltre rimanda all’aspetto religioso del Cammino; il termine religione è collegato a “relegere” – raccogliere insieme ordinatamente metodi, credenze, obblighi morali –, ma anche a “religare”: legare, unire strettamente insieme l’umano e il divino.


Ecco che allora la “spiritualità laica” diventa necessariamente un’ennesima forma – sia pur aperta alla pluralità – di religione.

In sintesi, non c’è nulla di sbagliato nel praticare una religione; sbagliato è confondere il dito con la luna e pretendere che una forma particolare abbia il sopravvento sulle altre o addirittura il monopolio del Sacro. O, ancora, che identificandosi con l’andare e il perseguire ci si possa risvegliare.


Un pericolo assai insidioso per chi proclama di procedere lungo vie inedite e “nuove” è quello di cadere nel conformismo dell’anticonformismo, nel dogmatismo dell’antidogmatismo, nel fascismo dell’antifascismo.


Perciò, se si vuole non soltanto dire ma anche vivere la libertà,  nulla va dato per scontato ed è opportuno procedere secondo un suggerimento porto nel libro circolare de I Ching, ovvero come una volpe che attraversi un fiume ghiacciato in primavera.


Le mie osservazioni non vogliono essere una critica rivolta a qualcuno in particolare, ma considerazioni di carattere generale ispirate dalle esacerbate conflittualità, rigidità e confusione caratterizzanti il momento attuale. Tanto più che Paolo mi sembra ben consapevole dell’importanza di non confondere il dito con la luna.


Subramanyam



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Mia rispostina:


"Grazie, grazie fratello,  le tue considerazioni mi giovano molto e mi incoraggiano a seguire la via senza via. Il taoismo da te menzionato è la stessa cosa della spiritualità laica, cambia solo la denominazione, forse più idonea ai tempi correnti quest'ultima. 


D'altronde anche Lao Tzi e Wang Tzi parlando del Tao non propugnavano una religione od un percorso, come da te evidenziato e come da me riconosciuto in diversi interventi ed in particolare vedi: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2009/12/29/spiritualita-laica-%E2%80%93-taoismo-una-religione-senza-dio%E2%80%A6/.


Occorre  liberarsi dai preconcetti e dalle sovra-imposizioni culturali e -come dissi una volta ad un amico che mi chiedeva lumi sulla laicità-  comprendere che il laico è tale persino nei confronti della laicità... 


Insomma non bisogna farsi ingannare dalla concettualizzazione, occorre invece risiedere nell'esperienza diretta. E quale è l'esperienza più diretta? Non certo quella dei sensi che è cangiante e "personale" bensì quella della coscienza di sé, che  è la stessa per tutti. Questa coscienza è il "nucleo" della spiritualità laica.. (del taosimo, dello zen, dell'advaita e di altri filoni laici).


Ritornando alla mia considerazione sul "liberarsi dai laccioli e  dalle incrostazione delle illusioni autoindotte" è riferito alla mente che si identifica con uno specifico nome-forma. Per scoprire la assoluta libertà innata e l'assoluta presenza di Sé in tutto ciò che è giocoforza bisogna togliersi il paraocchi dell'illusione che ci fa vedere separati e limitati. Come diceva Shankaracharya, nel famoso esempio, "finché non scompare l'illusione del serpente non può subentrare la consapevolezza  che è solo una corda arrotolata...".


Un caro saluto, Paolo D'Arpini

Riflessioni sulla fisica quantistica...






Dal punto di vista matematico la Meccanica Quantistica (MQ) costituisce un esempio sublime di eleganza e profondità descrittiva del contesto fisico. La teoria si fonda essenzialmente su tecniche di analisi funzionale lineare integrate ad elementi di teoria della misura, teoria della probabilità e logica matematica.

La MQ può essere formulata in maniera rigorosa in due modi diversi.
La prima, di ordine storico, è dovuta a von Neumann mediante l’ausilio della teoria degli spazi di Hilbert e della teoria spettrale degli operatori non limitati su tali spazi.


L’esposizione più moderna, invece, è presentata mediante il linguaggio delle algebre astratte, in particolare *-algebre e C*-algebre.


In termini logici la seconda formulazione può essere considerata come un’estensione della prima e permette, inoltre, di fornire un senso matematicamente rigoroso a località e covarianza delle teorie di campo quantistiche relativistiche, consentendo l’estensione delle teorie quantistiche di campo in spaziotempo curvo.


In questo intervento mi occuperò della prima formulazione.

Uno strumento fondamentale per lo sviluppo della MQ è costituito dal Teorema spettrale per operatori autoaggiunti (generalmente non limitati) definiti in sottospazi densi in uno spazio di Hilbert. Questo teorema, dimostrato per la prima volta da von Neumann, rappresenta, per profondità ed eleganza, un gioiello della fisica matematica.

La MQ e la Teoria della Relatività Speciale e Generale (RSG) costituiscono i due paradigmi attraverso i quali si è sviluppata la fisica del XX secolo e quella dell’inizio di questo secolo. Questi due paradigmi si sono fusi in vari contesti dando vita a teorie quantistiche relativistiche, in particolare alla Teoria Quantistica Relativistica dei Campi, che ha ottenuto straordinari successi sia esplicativi che predittivi in merito alla teoria delle particelle elementari e delle forze fondamentali.


Per esempio, tale teoria ha permesso, all’interno del modello standard delle particelle elementari, l’unificazione della forza debole ed elettromagnetica, confermata poi sperimentalmente negli anni successivi.

È interessante notare che la MQ risulta essere valida per scale di lunghezza lineari notevoli che variano da 1 m (condensati di Bose-Einstein) ad almeno 10-16 m (quarks). Il suo enorme successo sia teorico che sperimentale si manifesta nello studio della struttura della materia solida, nell’ottica, nell’elettronica e persino negli oggetti tecnologici di uso comune ma sufficientemente sofisticati da contenere semiconduttori (quali telefonini, telecomandi, giocattoli, ecc..), sfruttando le caratteristiche quantistiche della materia.

Nonostante questo MQ e RSG mostrano dei “conflitti” in merito al problema della “quantizzazione della gravità” e della struttura dello spaziotempo alle cosiddette scale di Planck (10-35 m e 10-43 s), che sono le scale di lunghezza e tempo ottenute mediante combinazione delle costanti fondamentali delle due teorie (velocità della luce, costante di gravitazione universale e costante di Planck). Esistono alcune difficoltà, sia concettuali che matematiche, non ancora risolte dalla teoria della Rinormalizzaizone quantistica a causa della presenza di infinti che compaiono nei calcoli dei processi relativi alle interazioni fondamentali tra particelle elementari.

Tali questioni irrisolte hanno dato vita a vari sviluppi teorici influenzando la stessa matematica pura, come per esempio la teoria delle stringhe (e brane) e la Geometria non commutativa. Decidere quali di queste teorie abbia senso fisico e riesca a descrivere l’universo a scale piccolissime dipende non solo da questioni di tipo teorico ma anche tecnologico, poiché a tutt’oggi proprio la tecnologia a nostra disposizione non è ancora in grado di sviluppare esperimenti che permettano di scegliere tra le varie teorie proposte.

Altri punti di “contrasto” tra MQ e RSG sono quelli relativi al rapporto tra località di natura relativistica (famoso paradosso EPR) ed entanglement. Gli sviluppi “teorici” di Bell e gli esperimenti di Aspect (ed altri) hanno poi confermato la cosiddetta interpretazione di Copenaghen contro le aspettative di Einstein, dimostrando così le caratteristiche non locali della natura. È utile rammentare che l’esistenza di questi processi fisici non locali non implicano la violazione dei fondamenti della Relatività, infatti, ad esempio, l’entanglement quantistico non permette trasmissioni superluminali di informazioni e la violazione della causalità.

Nell’interpretazione di Copenaghen, che costituisce l’interpretazione standard della MQ, rimangono comunque degli aspetti ancora da enucleare. Infatti, non è ancora chiaro come sia possibile ottenere la meccanica classica come caso limite della MQ e come si possa fissare una “limite” tra i due mondi (classico e quantistico). Rimane inoltre aperto il problema del processo di misura quantistica che è comunque connesso al precedente e che ha portato allo sviluppo di interpretazioni diverse da quelle di Copenaghen, come quella a variabili nascoste di Bohm.


Michele Totta


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Commento di Fabrizio Balzani

"Un luogo vicino dove abito io chiamato la "Città della Luce" c'e un maestro che si arricchisce in maniera enorme, usando la meccanica quantistica come base e dicendo alle persone che esiste un campo quantico dove tutte le informazioni familiari del passato sono immagazzinate.  Lui dice di avere poteri medianici e collegarsi al campo quantico con le costellazioni familiari e dire alle persone informazioni segrete della famiglia di 200 anni fa e cosi' via Persone pagano tantissimo per sapere informazioni di questo campo quantico che gli stanno influenzando la vita in modo negativo, il maestro si chiama U. C.  ed è conosciuto in Italia per poteri medianici , ma tutto parte da una spiegazione di meccanica quantistica, esistono campi di informazioni familiari che possono essere raggiunti medianicamente e quindi dare informazioni passate remote... Ho sempre pensato che  è  un ciarlatano..."



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