Non è la storia a dirci chi siamo... poiché noi lo siamo


Affresco di Carlo Monopoli


Ciao Paolo,
qualche domanda e qualche considerazione, di cui, una fondante. L'Uno può essere inteso alla stregua di Dio ma - e/o - come scopo individuale, cioè come possibile acquisizione umana. 

Nonostante le eventuali distinzioni tra le due opzioni, in ambo i casi si fa loro riferimento per immaginarne un'applicazione terrena, sociale che a loro "corrisponda".  Ciò, se ben intendo, può teoricamente e praticamente avvenire attraverso la consapevolezza condivisa dei nostri Sé, nei quali non faticheremmo a riconoscere l'Uno. A viverlo. A esserlo. L'"io" così svanisce. Così pure l'esteriorizzazione dell'Uno, quindi la Storia. Non era lei dunque a dirci come stanno le cose?

L'Assoluto che necessità ha di percepire se stesso?
Se Illuso e Illuminato sono necessari, non è questo un attribuire alla Storia la Verità?

Se siamo tutti Jnani e non possiamo essere diversamente, non è questo attribuire Verità alla Storia? Cioè non è attraverso una qualsivoglia biografia che possiamo sostenere che siamo tutti Jnani?

In sostanza, l'essere è la Storia. Così mi sembra si possa osservare. Così, eventualmente per l'essere dell'Uno, ammesso si voglia considerare essente l'Uno.

Secondo l'ordine dell'Uno esso si trasmette solo attraverso la Grazia.

Se le pratiche individuali non sono propedeutiche al ritorno, la non pratica - dell'illuso - ha ragione d'essere in  quanto diversamente non può fare, pur nel presunto libero arbitrio che ritiene di godere. Come potrà l'illuso sostenere l'Uno? Se l'Uno non ha necessità di essere sostenuto, perché ha necessità di vedersi riflesso nello specchio dell'esteriorizzazione?

Gioco cosmico, opposti necessari. 

Se l'assoluto non ha esigenze perché ha bisogno del gioco cosmico? Di nuovo, perché illuso e illuminato sono necessari?

Se invece la consapevolezza del Sé non comporta l'accesso all'Uno ma solo il senso di esso, forse ciò comporta una irrinunciabilità alla Storia, lasciando l'Uno come immanente ma non come essere.

Diversamente l'accesso all'Uno, anche solo momentaneamente, non può che avere valore sociale in quanto quell'esperienza è fonte di spinte storiche al bene. 

Allora, è ancora la Storia allora a dirci la Verità?

Grazie per l'ascolto
Lorenzo Merlo



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Risposta:


L'Essere, l'Assoluto, non ha esigenze e non è interessato  a conoscere se stesso, poiché  l'Uno  è inconoscibile a se stesso. In quanto non è oggettivabile.  

Nella proiezione duale dell'esistenza, ovvero dell'Uno che specularmente si trasforma in Due, tale oggettivazione e la conseguente necessità di conoscenza sorge come "urgenza" del riconoscimento di Sé. 

L'io vuole conoscere l'io è può farlo attraverso la sua manifestazione. In tal senso la storia (la memoria forse è termine più corretto)  ha un valore, poiché delinea il percorso nell'esistenza speculare. L'Essere, in quanto unica sostanza, è presente nel percorso che si svolge nella concettualizzazione, nello spazio-tempo, ma continua a mantenere la sua peculiare unicità ed assolutezza.  L'Essere è  la Consapevolezza che consente alla  coscienza,   di svolgere la sua funzione di "riconoscimento" nella esistenza... Ma non perde la sua Natura pur riflettendosi in innumerevoli forme, come il sognatore mantiene la sua Unità pur apparentemente trasformandosi nei personaggi e nelle immagini e nelle sensazioni del sogno. 

Ovvio che anche  questa descrizione, queste parole, sono parte del sogno, come lo chiami tu "storia". Ramana definisce questa capacità dell'Uno di apparire nell'esistenza "saguna" -il manifestarsi- mentre l'Assoluto immobile ed inconoscibile viene definito "nirguna" - immanifesto privo di qualità.

"A che pro?" Tu chiedi...   Ma a chi serve la risposta?

Alla stregua di filosofi sofisti parliamo in vari modi dell'astrazione e della trascendenza del pensiero, utilizzando il pensiero come base. Ci piace così... Ci illudiamo di voler "raggiungere" ciò che già siamo.... C'è meraviglia più grande di questa?

Paolo D'Arpini

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Replica di Lorenzo Merlo:


Ciao Paolo,

Ma come si fa senza storia, senza memoria a trattare l'Assoluto dell'Uno?
Forse (certamente) torneremo all'Uno anche da un coma inconsapevole di ogni sé, ma in quella condizione non lo tratteremmo. Solo trattandolo esso diviene essere. Trattarlo è storia, memoria, biografia.

"L'io vuole conoscere l'io è può farlo attraverso la sua manifestazione. In tal senso la storia (la memoria forse è termine più corretto)  ha un valore, poiché delinea il percorso nell'esistenza speculare."

"Storia unica verità" intende che quando possiamo condividere qualche aspetto delle realtà fisiche e metafisiche lo dobbiamo a lei. E che quanto la costituisce (qualunque essa si voglia considerare tale) ha avuto tutte le ragioni per essere stata. Che se vogliamo altro da quanto è stato è opportuno legittimare il passato, l'altro, piuttosto che colpevolizzarlo, negarlo, rinnegarlo. Nient'altro. E che quando non possiamo condividere, credere, vedere qualcosa, solo attraverso la storia potremo aggiornarci.

Nella precedente ti ponevo quelle domande in quanto evinte dal testo a proposito di Sri Ramana Maharshi. E' lì che si legge "Usando le parole stesse del Maharshi “consente all’Uno di percepire se stesso”. Se come mi scrivi l'Assoluto non ha necessità di conoscere se stesso, come interpretare le due posizioni?

Qualunque certezza, dubbio, consapevolezza, fede, sentimento o intuizione l'uomo possa esprimere, vivere, accade come prodotto  - momentaneo - della sua biografia. Diversamente si dovrebbe riferirsi all'innato. Questo, non è però estraneo alla biografia. Anzi nella sua misura la condiziona. Ma siamo ancora nella storia.

La biografia che afferma una posizione ne ha diritto, così pure la sua antagonista. Al loro confronto possono apparire, essere reciprocamente invere. Ritenere ve ne sia una definitivamente superiore è posizione prevista in ambito razional-positivista. Come perciò non ritenere nel vero colui che nega l'Uno? Senza l'"io" si potrebbe anche fare. Ma senza l'"io" non c'è l'altro cui concedere pari verità.

Posso condividere l'Assoluto e l'Uno ma non quando esso viene espresso. Nell'espressione esso decade a finito, per questo ti ponevo quelle domande.

La stessa percezione dell'Assoluto che non necessita che di supporti cosiddetti biologici ha in questi stessi supporti storici la sua possibilità d'essere.

Infine una questione dedicata al rischio di equivoco.
Si cita l'Uno per fare riferimento ad una condizione esperibile o per cosa?
Personalmente cito l'Uno in quanto raggiungibile, sebbene, come altre volte accennato non in forma permanente in quanto quella condizione è disponibile dalla nostra stessa emancipazione con l'"io" in poi. Momentaneamente in quanto senza "io", senza la separazione dall'altro, dal mondo,  non c'è lotta per la sopravvivenza. E le ragioni storiche la richiedono, anche al martire.
Dunque l'"a che pro?" forse è solo un problema che sorge all'infedele?

Ci illudiamo di voler "raggiungere" ciò che già siamo.... C'è meraviglia più grande di questa?

La mia opinione è che la realtà è maschera. Significa che ogni pertugio dal quale traguardiamo il mondo non può che essere preso per vero pur nella consapevolezza che a breve si chiuderà per spingerci ad un altro.

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Mia rispostina:

Caro Lorenzo, il momento che ci si mette a disquisire sull'io, scindendolo in un io che si riferisce ad un tu, tutte le opzioni sono possibili, poiché si mette in moto un meccanismo speculare dalle infinite possibilità e mutazioni. Che poi resti una traccia di questo percorso, definita "memoria" o "storia" non avvalora però l'insostanzialità del discorso. 

La sola sostanza, che sancisce la sostanzialità, è la coscienza attraverso la quale il discorso si manifesta. 

Se l'io è assoluto, uno in se stesso, ogni discorso decade, resta il silenzio,  l'immanifesto, e  la memoria in tale "stato" non può nemmeno apparire, non ha senso né funzione.  Nulla in verità  è conoscibile nell'uno. La cosiddetta "conoscenza"  è in verità "sogno", percezione  ed identificazione con gli oggetti nel gioco della dualità speculare, nel gioco dell'esistenza spazio-temporale, nella mente. Una palla di cristallo in cui tutto appare, compresa la stessa palla. Una sorta di caleidoscopio in continuo movimento che manifesta innumerevoli forme ed azioni.  Ed in questo la storia e la memoria hanno un "significato", ma è relativo e non può andare oltre la  funzione mnemonica. Un film del film.

Possiamo elucubrare a piacimento su ciò... ma a che pro? 

Cari saluti, Paolo  

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